No bagel
La lista delle richieste degli studenti nelle università e l'escalation pianificata
Maschere antigas, tavole di legno per le barricate, cibo vegano, elmetti da skate, prodotti senza glutine e torce. Vietati i bagel, simbolo dell'ebraismo newyorchese
La protesta anti israeliana nata alla Columbia, che si è allargata nelle ultime settimane a vari campus nel mondo, si sta facendo sempre meno pacifica. Dopo aver titubato a lungo, i presidenti di molte università americane hanno chiesto il sostegno delle forze dell’ordine. A New York dopo che sono stati occupati degli edifici della Columbia, la polizia ha usati delle granate stordenti. Alla University of California a Los Angeles (Ucla) gli agenti hanno iniziato a smontare gli accampamenti e ad arrestare gli studenti dopo che si sono rifiutati di lasciare libero accesso a chi doveva andare a lezione. Uno dei gruppi che ha organizzato l’accampamento losangelino – Students for Justice in Palestine (Sjp) – ha fatto una lista del materiale necessario per i manifestanti: chiedono dalle maschere antigas alle tavole di legno per le barricate, dal cibo vegano agli elmetti da skate, dai prodotti senza glutine alle torce. Nella lista si chiede esplicitamente di non mandare bagel. Tenere fuori dagli accampamenti il cibo simbolo dell’ebraismo newyorchese, portato dagli immigrati polacchi ashkenaziti che fuggivano dai pogrom, per alcuni è un chiaro segnale di insensato antisemitismo. E questo proprio nei giorni in cui il New Yorker pubblica un articolo su come sia iniziata una bagel reinassance nelle città. Durante lo scontro tra polizia e studenti alla Ucla, i portavoce del Sjp, che parlano degli agenti come di “aggressori sionisti”, hanno detto che le due ore di lotta con la polizia sono state “un microcosmo del genocidio in corso a Gaza”.
In alcune università gli ultimi seminari e gli esami si faranno in remoto, perché il campus viene considerato un luogo pericoloso. Ma dopo le minacce, dopo i professori ebrei tenuti fuori dal campus – come nel caso di Shai Davidai, apertamente anti Netanyahu, ma spaventato per l’esaltazione di Hamas che ha visto a Manhattan – si teme il peggio. Al Suny College of Environmental Science qualcuno mercoledì sera dalla strada ha sparato verso una finestra, e un proiettile è stato trovato nel dormitorio, incastrato in un muro. Nessuno è rimasto ferito. La polizia sta investigando. Gli studenti oltre al cessate il fuoco chiedono boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni da parte delle università, università che spesso prendono grossi fondi da parte di paesi amici di Hamas come il Qatar. Ma oltre al boicottaggio altri gruppi, non necessariamente di studenti, vogliono un conflitto aperto con “gli imperialisti”. Molti rivoltosi si sono inseriti nelle proteste inizialmente pacifiche dei campus, persone che non hanno niente a che fare col mondo accademico. Dei 133 arrestati alla New York University, 68 non erano studenti. Stessa cosa in molte altre scuole. Questi agitatori sfruttano la naïveté anticoloniale dei ventenni iscritti ad Antropologia per portare la manifestazione ormai globale a nuovi livelli di violenza. Il passaggio dai cartelli con l’anguria – simbolo della solidarietà alla Palestina – ai proiettili sembra essere il chiaro desiderio di alcuni di questi gruppi. Al Cal Poly, il politecnico statale della California, dove è stato occupato un edificio, i manifestanti dicono che “il movimento pro Palestina deve essere un movimento contro la polizia”. Il nemico è sempre più ampio.
Nel nuovo manifesto di Palestine Action US – network di attivisti nato in Inghilterra con il boicottaggio di prodotti tecnologici made in Israel – si chiede un’esplicita escalation, si chiede di far nascere un conflitto nel territorio americano tramite azioni di guerrilla urbana. “Non esitate a prendervi dei rischi”, dice il testo che hanno diffuso in America. “Noi negli Stati Uniti non siamo esonerati dalla resistenza” contro il nemico imperialista sionista, e pure contro quello americano. “Non siamo sufficientemente naïve da pensare che la rivoluzione avverrà attraverso mezzi ‘pacifici’”.
Sul New York Times il giornalista progressista Nicholas Kristof ha detto che pur ammirando “l’ambizione morale” degli studenti che manifestano, ha paura che “la tolleranza per antisemitismo, caos, vandalismo ed estremismo” e le azioni aggressive “possano fare peggio al popolo di Gaza” che si cerca di aiutare mostrando solidarietà. “Hamas è un’organizzazione terroristica misogina, omofobica e antisemita”, una “catastrofe per Gaza, ed è difficile per me vedere come sia possibile che chiunque sostenga la Palestina possa legittimarla, e legittimare la violenza”.