Vittimismo scolastico
Il disagio della scuola non sono solo i voti e i cellulari, ma la Legge del senso
Un intervento di Recalcati fuori dal budino sociologico corrente. Il punto è che la scuola è una istituzione ormai in crisi non più in grado di educare
Honi soit chi malamente pensa che il disagio dei giovani, qui intesi studenti delle medie superiori, non sia un dato reale e drammatico, per quanto non decifrabile per intero. Ma c’è qualcosa di vergognoso, o almeno di sciatto e facilotto, anche nella rappresentazione corrente che si dà spesso del problema, lisciando la psiche dei sedicenni che si sentono “schiacciati” dalla scuola e “inadeguati” a stare in classe, “una generazione che sta gridando il proprio malessere” (Massimo Ammaniti). Giornali e addetti variamente autorizzati sgranano il rosario grossolano della sociologia psicoterapeutica: è colpa dei voti, degli smartphone, è colpa del Covid (passato da due anni, e gli studenti che si beccarono il lockdown hanno già passato la maturità) è colpa dei prof inadeguati. Tutte parzialità vere o verosimili, che però annegano in un budino insipido e deresponsabilizzante – il mondo va male, ragazzi miei, vi rubano il futuro – in cui contano in sostanza solo due cose: dare la colpa alla scuola – “Basta con i prof in cattedra, arroccati dietro il programma”, ha detto Ammaniti, che non si sa bene dove li abbia visti – e, nella contingenza politica, al governo della “svolta autoritaria”.
A questo vezzo si adegua giocoforza anche lo psicoanalista Massimo Recalcati ieri su Repubblica (l’accusa a una scuola “nostalgicamente disciplinare, pre-Sessantotto”), ma a parte questa critica politica obbligatoria firma un commento interessante, e in contrasto con il budino corrente: “Il disagio della Scuola è un disagio che non può essere ridotto né a quello degli studenti né a quello degli insegnanti né, tantomeno, a quello delle famiglie”, scrive.
E’ invece la scuola in quanto istituzione a essere in crisi. In contrasto con un vittimismo spesso esagerato, da parte dei giovani ma anche degli adulti, spiega che “la vita della Scuola” dovrebbe avere un compito più alto, cioè quello di trasmettere quello che Recalcati chiama “il senso della Legge” e che è molto più del rispetto delle regole. “Il senso della Legge implica la trasmissione del senso dell’impossibile: non si può essere tutto, fare tutto, godere di tutto, avere tutto, sapere tutto. Se questo senso non si iscrive nel cuore del figlio – se l’impossibile viene negato – si afferma il principio perverso – oggi totalmente egemonico – che tutto sia possibile.
La conseguenza maggiore che è sotto gli occhi di tutti coloro che si occupano del disagio giovanile è la caduta del desiderio, il suo appassimento”. Ecco rimessa al centro la parola che manca sempre nel budino sociologico e politico: l’educazione, intesa come trasmissione di un senso. Ma per far questo, aggiunge Recalcati, occorre anche un nuovo ruolo per gli insegnanti. Invece “lo Stato è il primo a non riconoscerne il valore, a proletarizzarne le condizioni di vita, a umiliarne la professionalità”. E senza questo, senza “aver incontrato un testimone effettivo del desiderio di sapere”, non c’è scuola né cura del disagio. Fuori dal budino. Bene.