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Maledetta abilitazione. L'esosa odissea dei prof. tra i corsi universitari

Matteo Fanelli

Tra bandi a numero chiuso, tasse non rimborsabili e costi esorbitanti, il sistema di formazione per insegnanti lascia molte incognite e poche certezze per i futuri docenti italiani. Una storia e una proposta

In questo periodo le università stanno pubblicando i bandi relativi ai percorsi abilitanti per l’insegnamento nelle scuole secondarie di primo e secondo grado. In Italia, infatti, per poter esercitare questa professione occorre essere abilitati. La storia dei percorsi abilitanti è tuttavia abbastanza travagliata. Solo prendendo come esempio l’ultimo quarto di secolo, possiamo dire che in principio fu la Ssis, istituita con decreto nel 1990 ma entrata in vigore effettivamente a partire dall’anno accademico 1999-2000. L’attività della Ssis si svolgeva in due anni accademici, che gli aspiranti insegnanti erano dunque costretti a frequentare oltre gli anni di laurea, e terminò nel 2009-2010. Naturalmente la Ssis aveva un costo, che si aggirava intorno ai 1.500 euro all’anno, quindi si trattava di una spesa di 3.000 euro in totale a cui però andavano aggiunti anche testi, altro materiale ed eventuali spostamenti. Si è arrivato a calcolare che un aspirante insegnante poteva spendere fino a 5.000 euro per completare la Ssis (fonte, Tecnica della Scuola), che comunque non garantiva un posto nella scuola statale, dal momento che per quello occorreva (e occorre) vincere un concorso pubblico.

La Ssis dopo circa un decennio di attività fu smantellata, e al suo posto venne istituito il Tirocinio formativo attivo (Tfa) che si svolse complessivamente in due anni accademici, il 2011-2012 e il 2014-2015. Si trattava di un anno di attività che comprendeva formazione in aula ma anche tirocinio presso gli istituti scolastici. Il costo del Tfa era anch’esso importante, variava da regione a regione ma si è calcolato che il costo medio fosse di circa 2.500 euro (fonte, Valigia Blu). Alla fine, anche il Tfa andò in soffitta per essere sostituito dal percorso triennale di Formazione iniziale e tirocinio (Fit) “che prevedeva l’integrazione tra il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento e un percorso di tirocinio progressivamente retribuito fino all’immissione in ruolo” (Wikipedia). Il Fit tuttavia rimase sulla carta, e nel frattempo non si trovò di meglio che obbligare gli aspiranti insegnanti a conseguire 24 cfu nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e metodologie e tecnologie didattiche. Non erano abilitanti, ma anch’essi avevano un costo, perché la maggior parte degli studenti li conseguiva dopo la laurea, e servivano per poter partecipare al concorso pubblico.

Da questa breve panoramica si può notare che in Italia in ben 25 anni non si è riusciti a trovare una forma strutturata e continuativa per permettere agli aspiranti insegnanti di poter conseguire l’abilitazione. Nessuno fino a ora sembra aver considerato un’ipotesi ragionevole, e cioè che siano previste lauree magistrali abilitanti, così come funziona ad esempio con la scuola primaria. Questo consentirebbe agli studenti, finita la triennale, di poter scegliere questo percorso (e quindi, potenzialmente, questo mestiere) e di uscirne abilitati per l’insegnamento, senza obbligarli a tornare in università dopo aver conseguito la laurea.

Tornando all’attualità, la legge 79/2022 ha istituito l’ennesimo sistema di formazione iniziale degli insegnanti, e il dpcm del 4 agosto 2023 ha definito i percorsi universitari e accademici per il conseguimento dell’abilitazione. Sono previsti diversi percorsi, da 60 cfu, da 36 cfu o da 30 cfu, a seconda che si siano già conseguiti i famosi 24 cfu o che si abbiano tre anni di insegnamento, e altre fattispecie.

Tali percorsi sono svolti dalle università che nei mesi scorsi hanno fatto richiesta per l’accreditamento e oggi stanno facendo uscire i vari bandi. Mediamente, per fare l’iscrizione a questi percorsi, ci vogliono 150 euro, con un piccolo dettaglio: l’accesso  è a numero chiuso. Se non si rientra nella graduatoria? Nei bandi viene specificato che i soldi versati all’inizio “non sono rimborsabili”, al massimo viene previsto che la persona esclusa possa rientrare in un’altra graduatoria. Peraltro, non è possibile fare l’iscrizione in più università (ammesso e non concesso che un aspirante insegnante abbia soldi da buttare), perché nella compilazione della domanda viene richiesto di specificare che non siano state fatte altre domande in altri atenei.

Qualora si riuscisse a entrare, per svolgere il percorso occorre sostenere un costo che varia da università a università. Il costo minimo è di 1.500 euro, ma si può andare anche oltre i 2.000 euro. Il tutto per attività che durano mediamente tre/quattro mesi.

Per capire le contraddizioni di tutta questa situazione, prendiamo in esame un caso specifico, quello del sottoscritto. Io ho portato a termine due percorsi di laurea (diversi aspiranti insegnanti hanno ad esempio un dottorato), ho conseguito i 24 cfu precedentemente previsti e ho tre anni di insegnamento alle spalle. Per conseguire l’abilitazione oggi devo pagare un minimo di 1.500 euro per svolgere tre mesi di attività in cui l’università mi erogherà della formazione in aula. Il tutto senza avere la garanzia di essere immesso in ruolo, ma con la garanzia invece di andare a svolgere un mestiere che è probabilmente tra i più sottopagati in Italia.

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