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il dibattito

A scuola c'è molto da fare invece che telefonare e aspettare foto e messaggi 

Alfonso Berardinelli

Un diritto-dovere degli scolari è imparare che si può vivere per qualche ora “nella realtà” della scuola sospendendo l’uso del telefono. Sbeffeggiare Valditara è un errore

Che compiaciuta disinvoltura, che certezza di essere nel giusto ho trovato negli articoli con cui Paolo Di Paolo su Repubblica e Antonio Gurrado sul Foglio di venerdì 12 sbeffeggiano il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara che intende sospendere dal prossimo anno l’uso dei telefonini nelle scuole elementari e medie. Tono e contenuto dei due articoli sono già perfettamente chiari nelle titolazioni: “La scuola senza smartphone si rifiuta di capire il mondo” e “Fare finta che oggi sia il 1813”.

Povero me, pensavo da anni, parlando con qualche genitore o amico insegnante, che uno dei provvedimenti preliminari per migliorare un po’ la qualità della vita scolastica fosse proprio vietare i cellulari nelle ore di lezione. Vedo invece che per Gurrado e Di Paolo la cosa non è neppure lontanamente concepibile, anzi dannosa e in più ridicolmente “antiprogressista”. Dice Gurrado: “Didatticamente, significa dichiarare fallimento e arrendersi”. Di Paolo dice che un tale divieto nella scuola significa “sospendere la realtà” e mette l’uso dello smartphone accanto al sesso e alla politica, cose di cui a scuola non si parla perché “fanno paura”. E’ come dire che quando leggo un libro, vedo un film o ascolto sinfonie non uso il telefono perché ne ho paura. O meglio sì, ne ho paura perché disturba o impedisce l’attenzione di cui ho bisogno.

Strana idea quella di una vita in cui non si smette mai di fare una cosa per poterne fare un’altra. Non si smette mai di telefonare quando si parla con chi si ha davanti? E non smetto di parlare di politica se visito gli Uffizi o vado a teatro, luoghi nei quali, per esempio, è anche giustamente vietato mangiare, o fare sesso?

Ma già, dimenticavo: esistono ormai folle di alienati per i quali il cellulare è tutta la realtà, o dà realtà a ogni cosa. Ecco: la scuola sarebbe irreale se non ci fossero, se non si continuassero a usare i telefoni. Sembra proprio che gli sbeffeggiatori del ministro non riescano a immaginare neppure per un momento che cosa si cerca di fare a scuola invece che telefonare, che aspettare messaggi, chiamate, foto e notizie dall’intero mondo extrascolastico. Non riesco a credere che Gurrado e Di Paolo scrivano i loro articoli pranzando, guardando film in tv, prenotando biglietti aerei e variamente navigando in rete. Possibile che due intellettuali non riescano a immaginare la vita e la cultura umane senza continua connessione internet? Hanno una specie di fobia per tutto ciò che si è fatto in passato, nel Novecento e per secoli? Se leggo un libro su carta dovrò pur smettere di chiacchierare e chattare. E’ vero che gli adulti che ipocritamente approvano Valditara non fanno invece che tenersi il loro cellulare stretto in mano e non c’è ora del giorno in cui si concedano una pausa. Ma la cretineria degli adulti è un problema diversamente complesso, soprattutto se fra loro c’è chi mette un tablet in mano a figli o nipoti di due o tre anni perché non piangano e non disturbino le loro occupazioni comunicative. La stupidità degli adulti è considerata un loro diritto. Ma diritto-dovere degli scolari a scuola è imparare che si può vivere per qualche ora “nella realtà” della scuola sospendendo l’uso del telefono. Lo zelo telefonico di Gurrado e Di Paolo mi sorprende. Consiglio loro di leggere l’articolo a tutta pagina di Giulio Silvano uscito sul Foglio di sabato 13, in cui si parla tra l’altro del libro di Jonathan Haidt The Anxious Generation, titolo: “Ansia da iPhone. Quanti danni fanno all’umore dei giovanissimi. Vietarli a scuola?”.

Dunque il problema è reale. Ignorarlo è peggio che proporre soluzioni discutibili.

 

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