Rapporti alla mano /15
La scuola che cambia
Gli insegnanti aumentano, gli studenti diminuiscono: bene, ma fino a un certo punto. Gli squilibri nord-sud, i bassi stipendi dei docenti e i troppi contratti a tempo determinato minano la qualità dell’istruzione in Italia
Carlo Cottarelli svolge una preziosa attività, sia come autore di ben documentati ed equilibrati articoli giornalistici, sia come autore di libri (da ultimo, ha scritto “Dentro il palazzo”, Mondadori, 2024), sia come creatore e collaboratore dell’“Osservatorio sui conti pubblici italiani”, attivo dal 2017 nell’Università cattolica di Milano, ora presieduto da Elena Beccalli e diretto da Giampaolo Galli. L’Osservatorio “promuove, attraverso analisi, ricerca e comunicazione, una migliore gestione della finanza pubblica e una maggiore comprensione dei conti pubblici nel nostro Paese”, con gli obiettivi di “favorire la trasparenza dei conti pubblici attraverso l’analisi della normativa; analizzare i vantaggi derivanti dalla riduzione del debito pubblico e dalla lotta agli sprechi, all’evasione fiscale e alla corruzione; sostenere un sistema di tassazione più efficiente e meno distorsivo; promuovere una spesa pubblica snella, moderna e incentrata all’economia di mercato sia a livello centrale che a livello locale”.
Il mito delle classi pollaio in Italia
Tra gli ultimi contributi dell’Osservatorio vi è uno studio intitolato “Il mito delle classi pollaio in Italia”, redatto da Rossana Arcano, Alessio Capacci e Carlo Cottarelli e pubblicato il 14 giugno 2024. In questo studio si spiega che negli ultimi sessant’anni il numero degli insegnanti italiani è triplicato, mentre il numero degli studenti è aumentato solo del 20 per cento. L’andamento di insegnanti e di studenti ha proceduto pressoché parallelamente per molti anni, ma negli ultimi dieci anni si è aperta una forbice.
La situazione è così riassunta nello studio dell’Osservatorio: “Contrariamente a quanto si possa pensare, le classi italiane sono tra le meno affollate tra i principali paesi del mondo. Nel corso degli ultimi decenni, l’aumento del numero di insegnanti da un lato e la riduzione della popolazione studentesca dall’altro ha portato l’Italia a posizionarsi sotto la media Ocse sia per numero di studenti per classe che per numero di studenti per insegnante. L’aumento nel numero degli insegnanti è proseguito anche negli ultimi anni. In quest’ultimo periodo l’aumento è stato particolarmente forte per gli insegnanti di sostegno (+80,5 per cento rispetto all’anno scolastico 2014/2015) e il numero di studenti con disabilità per insegnante di sostegno è sceso ormai sotto la soglia fissata come obiettivo nel 2007. Tuttavia, questa categoria risente della media di contratti precari e di un’insufficiente formazione specifica”.
A questo va aggiunto che non c’è una correlazione dimostrata tra successo scolastico e basso numero di studenti per classe. Analisi comparate smentiscono questo assunto o, quantomeno, lo limitano a contesti territoriali contrassegnati da elevata incidenza di fattori quali povertà educativa e divario sociale ed economico.
Insegnanti di sostegno e personale a tempo determinato
Lo studio fa anche una comparazione con altri paesi, giungendo alla conclusione che “nel 2020/2021 la dimensione media di una classe nella scuola primaria e secondaria di primo grado era, rispettivamente, di 18 e 20 studenti, contro una media Ocse di 21 e 23 studenti” e che “il dato italiano è più basso anche rispetto a quello di molti altri paesi europei come Spagna (pari a 19 e 23 studenti), Germania (21 e 24) e Francia (21 e 25), nonché della media europea (20 e 22), degli Stati Uniti (21 e 22), del Regno Unito (27 e 25) e del Giappone (27 e 32). Il dato italiano è simile a quello di alcuni paesi nordici come la Finlandia (19 e 19), il cui sistema educativo è spesso ritenuto tra i migliori al mondo”.
Di questa situazione ci sarebbe da gioire, se non si accompagnasse a due inconvenienti. Il 23 per cento del personale della scuola è costituito da insegnanti di sostegno e un altro quarto da personale a tempo determinato (le due cifre si sovrappongono in parte).
Un altro fattore critico riguarda i piani di assunzione. Per il 2024/25 si conta sui due concorsi straordinari (uno per infanzia e primaria, l’altro per medie e superiori) da 44.654 posti (di cui 29.066 comuni e 15.588 sul sostegno), che dovrebbero concludersi in tempo per le immissioni in ruolo di settembre, per riportare le supplenze totali sotto le 200 mila. Ma qui si innesta un altro moto contraddittorio: la maggior parte delle disponibilità di posti si registra al Nord, mentre le domande di partecipazione al concorso a cattedra sono arrivate soprattutto dal Sud. Per l’attività di sostegno, in alcune regioni vi sono più posti che candidati.
Si valuta che a settembre lasceranno la scuola 31 mila persone, quasi 22 mila docenti e più di 9 mila unità di personale tecnico-amministrativo. L’organico docenti resterà invariato, nonostante si stimino 116 mila alunni in meno tra i banchi a causa del calo demografico (dati pubblicati dal Sole 24 Ore del lunedì 21/02/24). A crescere, invece, è il numero degli studenti con disabilità (338.000 circa, nel 2022/2023. Il 7 per cento in più rispetto al dato del 2021/2022, secondo il rapporto Istat sulla “Inclusione scolastica degli alunni con disabilità 2022-23”). Un ulteriore fattore critico è costituito dalla assegnazione delle sedi, perché – come è naturale – molti aspiranti insegnanti aspirano alla “scuola di prossimità”.
Molti e mal pagati. Lo squilibrio tra quantità e qualità
Non finiscono qui i problemi della scuola italiana. Ve ne sono altri, messi in luce dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e dall’Unione europea. L’Ocse, in uno studio intitolato “Uno sguardo sull’istruzione in Italia, 2023”, ha osservato che “gli insegnanti tendono ad avere un’età avanzata. Il 60 per cento del personale docente della scuola secondaria superiore ha cinquant’anni o più, mentre la media dell’Ocse è solo del 40 per cento. Gli stipendi medi effettivi degli insegnanti corrispondono a solo il 69 per cento degli stipendi di altri lavoratori con un livello di istruzione terziaria, il che potenzialmente riduce l’attività della professione per i nuovi candidati”.
La Commissione europea, Direzione generale dell’Istruzione, della gioventù, dello sport e della cultura, nella “Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione 2023”, ha notato che “il sistema di istruzione italiano si trova ad affrontare una carenza di insegnanti qualificati, il che comporta un aumento costante del numero di contratti a tempo determinato. Negli ultimi anni è stato possibile coprire soltanto metà dei posti vacanti disponibili all’inizio di ogni anno scolastico mediante nomine a tempo indeterminato, a causa della mancanza di candidati con le qualifiche richieste in alcune materie.
Nell’anno scolastico 2021/2022, su 125 mila posti disponibili solo 73 mila sono stati assegnati a docenti con contratto a tempo indeterminato. Nello stesso anno, il numero di supplenti assunti a tempo determinato è stato pari a 225 mila, ovvero quasi un quarto del totale, rispetto ai 135 mila dell’anno scolastico 2017/2018. Gli insegnanti a tempo determinato, nella maggior parte dei casi, non hanno nessun diritto automatico di essere riconfermati nello stesso posto l’anno scolastico successivo. Di conseguenza il tasso di ricambio è elevato, con impatti negativi sulla continuità dell’insegnamento. Vi è un notevole disequilibrio a livello geografico e didattico tra la disponibilità di insegnanti qualificati che possono essere assunti con contratto a tempo indeterminato e le esigenze di personale nelle scuole. Ciò comporta una carenza per alcune materie e regioni e un eccesso di offerta per altre. Le carenze sono più critiche per materie come scienze e matematica, lingue straniere e sostegno all’apprendimento, e interessano principalmente le regioni settentrionali. Per contro, gli insegnanti qualificati in attesa di assunzione sono solitamente specializzati in materie umanistiche e risiedono nelle regioni meridionali (Gavosto, 2022)”.
Il calo demografico creerebbe, a invarianza di stanziamenti di bilancio, uno spazio finanziario per migliorare il trattamento economico degli insegnanti rendendo questa professione più attrattiva per bravi giovani laureati anche nelle materie Stem. Questa politica retributiva andrebbe legata alla formazione continua degli insegnanti e al loro reclutamento esclusivamente tramite procedure concorsuali selettive che non siano il mascheramento di stabilizzazioni di docenti precari.
Il governo della scuola è sfuggito di mano ai governanti?
Gli studenti diminuiscono, gli insegnanti aumentano. I docenti sono molti e malpagati. I posti sono nel Nord, gli insegnanti nel Sud. La quantità aumenta, la qualità diminuisce. I precari vengono titolarizzati, ma si creano subito nuovi precari. La somma di tutte queste contraddizioni fa pensare che il governo della scuola sia sfuggito di mano ai governanti. In altre parole, che la scuola sia nelle attuali condizioni non perché vi sia stato o vi sia un disegno perverso o sbagliato, ma perché chi l’ha governata in tutti questi anni non è riuscito e padroneggiare tutti i fattori che contribuiscono a formare un sistema scolastico nazionale e ha agito ascoltando ora l’uno ora l’altro, tappando ora un buco ora l’altro, in un moto contraddittorio che ha dato risultati contraddittori. A ciò si aggiunge la forte resistenza al cambiamento della categoria degli insegnanti e delle loro organizzazioni sindacali. Inoltre, non va sottovalutato che la classe politica al governo – in ogni stagione – non è insensibile al peso elettorale degli insegnanti per la loro elevata consistenza numerica. Ciò conduce a privilegiare le istanze degli insegnanti (emblematica è l’oscillazione tra restrizione e riallargamento delle maglie della mobilità), piuttosto che la qualità del servizio educativo a vantaggio degli studenti e delle loro famiglie.