Rapporti alla mano /16

Pochi laureati, troppi lasciano la scuola: bisogna capire che l'istruzione è un bene sociale

Sabino Cassese

Istruiti si vive meglio, ma non solo: si contribuisce anche ad avere una società più attiva e consapevole. Eppure, dal numero dei laureati agli abbandoni scolastici, in Italia tante cose ancora non vanno

È necessario essere istruiti per avere maggiori probabilità di vivere meglio. Ho già sottolineato su queste pagine che la salute, la longevità, la struttura familiare, la partecipazione politica, la ricchezza, dipendono oggi dal livello di istruzione, che ha preso il posto di quello che una volta era il censo, la ricchezza derivante da patrimoni ed eredità. Gli studi del 1964 di Gary Becker hanno dimostrato la correlazione tra studi e reddito. Enrico Moretti ha dimostrato che i benefici della formazione universitaria non si limitano alla dimensione economica, riguardano anche la salute, il matrimonio e molti altri aspetti della vita privata.
 

Ma il livello di istruzione dei cittadini è importante anche da un altro punto di vista, perché serve ad avere una società più attiva e sveglia, più consapevole, più partecipe alle vicende collettive, e di conseguenza anche una classe dirigente meglio selezionata e quindi, complessivamente, un paese meglio funzionante.

Il ritorno occupazionale dell’istruzione

È importante stabilire, innanzitutto, il rapporto tra istruzione e occupazione. L’ultima indagine dell’Istituto nazionale di statistica - Istat su “Istruzione e ritorni occupazionali” ha accertato che  “tra i 25-64enni, il tasso di occupazione dei laureati è 11 punti percentuali più alto di quello dei diplomati (84,3 per cento e 73,3 per cento, rispettivamente); il gap sale a 15,7 punti tra gli under 35 che hanno conseguito il titolo da uno a tre anni prima (75,4 e 59,7 per cento)” e giunge alla conclusione che vi è un “evidente ‘premio’ occupazionale dell’istruzione, in termini di aumento della quota di occupati al crescere del titolo di studio conseguito”. Dunque, l’istruzione serve agli individui per trovare una occupazione (o un migliore lavoro).

Il numero di laureati italiani è basso

Date queste premesse, è fondamentale che il numero di laureati sia alto. Ma qui vengono in luce i problemi del nostro paese. Infatti, la stessa indagine dell’Istat dimostra che “nonostante [che] in Italia, nel 2023, la quota di giovani adulti in possesso di un titolo di studio terziario sia leggermente cresciuta, attestandosi al 30,6 per cento, resta lontana dall’obiettivo europeo (45 per cento), è decisamente inferiore alla media europea (43,1 per cento nell’Ue27) ed è molto al di sotto dei valori, comunque in crescita, degli altri grandi paesi (51,9 per cento Francia, 52 per cento Spagna e 38,4 per cento Germania)”. L’Istat attribuisce questa disparità alla limitata disponibilità, in Italia, di corsi terziari di ciclo breve professionalizzanti, erogati dagli Istituti tecnici superiori, che in altri paesi europei forniscono una quota importante dei titoli terziari conseguiti.
 


La causa va cercata anche nella mancata attuazione dell’articolo 34 della Costituzione, che, dopo aver stabilito che “la scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”, aggiunge che “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più  alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. Le borse, gli assegni e le altre provvidenze sono rimaste una promessa, e i capaci e meritevoli non hanno potuto realizzare il proprio diritto, costituzionalmente garantito, di raggiungere i gradi più alti degli studi.
 

Una terza causa del basso numero di laureati in Italia è probabilmente da individuare nello scarso impegno di tutto il sistema scolastico nell’attività di orientamento. Vi sono numerose iniziative, locali e nazionali, ma non un impegno coordinato. Questo è necessario perché, nel passaggio dall’istruzione superiore a quella universitaria, occorre fare scelte che riguardano anche materie e discipline sconosciute per gli studenti che provengono dalle scuole superiori. Questi non possono sapere che cosa voglia dire studiare ingegneria, medicina, diritto, scienze politiche. Si tratta di una lacuna che può essere colmata soltanto con iniziative di orientamento, che spieghino che cosa vuol dire fare il medico, l’avvocato, l’ambasciatore e quali materie e discipline occorre studiare per accedere a queste professioni.

Gli abbandoni scolastici sono alti

Una quarta causa del basso numero di persone in possesso di un titolo di studio terziario è costituita dall’alto numero di persone che abbandonano la scuola prima del completamento del percorso di istruzione e formazione secondario superiore.
 

L’Istat rileva che “in Italia, nel 2023, la quota di 18-24enni con al più un titolo secondario inferiore e non più inseriti in un percorso di istruzione o formazione è pari al 10,5 per cento, in diminuzione di un punto percentuale rispetto al 2022. Nonostante i notevoli progressi, il valore resta tra i più alti dell’Ue (la media europea è pari al 9,5 per cento): l’Italia, terz’ultima nel 2021, nel 2023 diventa quint’ultima (con valori inferiori alla Romania, Spagna, Germania e Ungheria). Il fenomeno dell’abbandono scolastico è più frequente tra i ragazzi (13,1 per cento) rispetto alle ragazze (7,6 per cento)”.
 


Questo fenomeno è tanto più grave in quanto – come osserva l’Istat, una delle priorità dell’Unione europea nel campo dell’istruzione e della formazione è la riduzione dell’abbandono scolastico. Il nuovo Quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione ha fissato l’obiettivo europeo, per il 2030, di ridurre gli abbandoni a un valore inferiore al 9 per cento

Il valore di una società più istruita

L’istruzione non serve soltanto al benessere individuale, ma – come osservato all’inizio – serve anche al benessere di una società. La relazione tra livello di istruzione e progresso sociale fu ampiamente discussa nel corso dell’Ottocento, nella prima parte del secolo in Francia e nella seconda parte del secolo in Italia. In momenti diversi, nell’uno e nell’altro paese, si pensò che, per assicurare la partecipazione attiva dei cittadini alla vita pubblica, occorresse allargare il suffragio facendolo diventare universale e si ritenne che il suffragio universale potesse essere raggiunto automaticamente con l’adempimento dell’obbligo scolastico (allora il titolo di istruzione elementare). Di qui l’idea che bastasse allargare il diritto di voto a tutti quelli che avessero un titolo di studio primario per raggiungere l’obiettivo del suffragio universale. In Francia la riforma disegnata durante la Restaurazione da quel grande studioso e ministro che fu François Guizot riuscirà a realizzare in parte questo obiettivo, mentre in Italia le riforme scolastiche ottocentesche furono sempre troppo timide per realizzare questo obiettivo e quindi si giunse al suffragio universale nel secolo successivo per altre strade.
 

A distanza di più di un secolo, le cose sono cambiate, nel senso che il bisogno di istruzione si estende fino al livello terziario, ma il problema è lo stesso, quello di avere una società meglio istruita, sia per il benessere individuale, sia  per quello sociale.
 

È ora che le forze politiche si rendano conto che l’istruzione è un bene sociale, che serve a migliorare il benessere individuale, ma anche quello della comunità in cui si vive e che, se non si consente a tutti di raggiungere i livelli più alti di istruzione, cominciando dai capaci e meritevoli, si tradiscono due promesse costituzionali, quella già citata dell’articolo 34, ma anche quella del secondo comma dell’articolo 3 della Carta costituzionale, secondo la quale “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.
 



Sabino Cassese è il vincitore della 13esima edizione del “Premio internazionale Capalbio piazza Magenta” nella categoria della saggistica politica. Il premio, che gli è stato conferito per il suo recente “Miseria e nobiltà d’Italia” (Solferino) gli sarà consegnato a Capalbio il prossimo 30 agosto.

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