Un'indagine

Dal tribunale del web al linciaggio. Cosa c'è dietro l'aggressione della prof di Castellammare di Stabia

Ruggiero Montenegro

Una violenza che racconta molti dei cortocircuiti del nostro tempo, tra gogne mediatiche, genitori che perdono il senso del proprio ruolo e istituzioni scolastiche declassate. "I social hanno avuto un ruolo. Bisogna ristabilire un patto di corresponsabilità", dice Acerra direttore dell'Usr campano che ha mandato gli ispettori a Scanzano
 

“Quella professoressa deve morire”, grida una mamma mentre aspetta suo figlio davanti alla scuola. Poco dopo un’insegnante alza le spalle. Come va? “Non benissimo, si respira un’aria tesa. Preferisco non parlare”, risponde prima di infilarsi di fretta in macchina. Sono scene, voci e umori che nell’ultima settimana si sono avvertiti spesso qui. Siamo davanti al plesso Catello Salvati dell’Istituto comprensivo 2 Panzini, nella periferia di Castellammare di Stabia. E’ mercoledì 20 novembre. Accanto al cancello d’ingresso, due macchine bruciate. Sono lì da almeno tre mesi. 

Questa è la scuola media finita al centro delle cronache per una vicenda tutta ancora da chiarire, ma già capace di raccontare molti dei cortocircuiti di questo tempo, tra derive dei social network e violenza, contraddizioni, paura e senso di impunità.


 

 

Una chat, poi un post su Facebook – “L’urlo di una madre” – divenuto subito virale e l’accusa pesantissima di presunte molestie sessuali commesse da una insegnante di sostegno su alcuni minori hanno scatenato il raid punitivo. Per qualche giorno l’ingresso della scuola è stato presidiato dai carabinieri, dopo che circa trenta genitori e famigliari degli alunni, pare ci fosse anche qualche nonno, sono entrati nei locali scolastici e hanno linciato una docente tra i corridoi. Cercavano giustizia fai da te, forse una vendetta. In molti, nei dintorni dell’istituto, pensano che fosse giusto così. Sui cancelli della scuola lunedì scorso sono stati affissi striscioni di solidarietà alle mamme e contro i dirigenti scolastici. “Non siamo pazze, non c’entra la camorra. Non ci hanno voluto ascoltare”, si giustifica Teresa Manzi. I suoi figli frequentano il Salvati. E’ lei, o almeno così dice, l’autrice del post virale. La donna era presente anche il giorno della spedizione che il 14 novembre è costata alla vittima un trauma cranico mentre il padre della professoressa, intervenuto per difenderla, dovrà operarsi per un polso rotto. La docente aggredita intanto ha respinto ogni accusa di molestie: “Non verrà fuori nulla di compromettente dal mio cellulare”.

 

Cercavano giustizia fai da te, forse una vendetta. In molti, nei dintorni dell’istituto, pensano che fosse giusto così. Sui cancelli della scuola  sono stati affissi striscioni di solidarietà alle mamme e contro i dirigenti scolastici. Due inchieste aperte: una per l’aggressione alla docente e l’altra sulle presunte molestie sessuali sui ragazzini
 

 

L’agguato è avvenuto nel quartiere di Scanzano, rione ai piedi della collina che sta alle spalle di Castellammare. In città un cliente del bar Cirillo, lo descrive come “un quartiere terribile. Andate a vedere, è qua vicino”. Nei suoi vicoli, tra bandiere che celebrano il ritorno della Juve Stabia in serie B e bacheche religiose ricavate nei muri, c’è poca gente, pochi esercizi commerciali e qualche hotel che guarda dall’alto il centro della città. Il quartiere è la roccaforte del clan D’Alessandro, affiliato alla camorra. Ma la violenza andata in scena tra i corridoi della scuola non si può spiegare solo così – e d’altra parte proprio l’istituto Salvati era stato premiato qualche mese fa dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara per l’utilizzo dei fondi europei per i Pon estivi.

Ci sono infatti, in questa vicenda di provincia, altri fattori. Gli stessi che si ritrovano in altre storie di cronaca, e non solo in provincia di Napoli: la difficoltà da parte di alcuni genitori di mettere in discussione il proprio figlio, c’è la gogna e l’assenza di ogni forma di garantismo. Il rifiuto dell’autorità, scolastica e non solo. Basta un’accusa. “E un cattivo uso dei social potrebbe essere stato un altro degli elementi”, aggiunge Ettore Acerra, il direttore generale dell’Ufficio scolastico campano, parlando con il Foglio. Forse non è un caso che tutti i genitori della scuola di Scanzano con cui abbiamo parlato in due giorni abbiano fatto riferimento spesso a chat e social network. Ad agosto la docente aggredita ha subito l’hackeraggio dei suoi profili digitali. La scorsa settimana, su mandato del ministero dell’Istruzione, dall’ufficio diretto da Acerra è stata disposta un’ispezione nella scuola di Castellammare per cercare di fare luce su quanto accaduto. “Si tratta di un episodio di violenza criminale: questo è un punto di partenza che non dobbiamo mai dimenticare. Il linciaggio di una persona indifesa è un atteggiamento delinquenziale”, è la premessa di Acerra. Dell’ispezione in corso non può dire molto, perché nel frattempo la magistratura ha aperto due indagini: una per l’aggressione alla docente e l’altra sulle presunte molestie sessuali sui ragazzini. Poi il direttore generale torna a soffermarsi sul ruolo delle piattaforme digitali. “Dalle dichiarazioni della dirigente, ma anche da quelle delle madri, hanno avuto certamente un peso. Una di queste mamme, lo ha dichiarato al Corriere, avrebbe rilanciato un post i cui contenuti riprendono sostanzialmente quello che si diceva in una chat dei genitori. Ed è chiaro che quando le notizie girano sui social senza filtri e senza che la scuola abbia la possibilità di dare alcun riscontro, tutto questo diventa pericoloso”, prosegue Acerra, che il mondo della scuola lo conosce bene. Ha insegnato ed è stato dirigente anche in Liguria e in Piemonte. “Il problema di far circolare informazioni senza sapere se siano vere o false è proprio questo, si rischia di lasciar spazio alle peggiori rivendicazioni”.

Le mamme che abbiamo sentito davanti all’istituto insistono nel dire che delle presunte molestie a sfondo sessuale ci sono le prove, messaggi e audio “che non si possono ripetere” mandati dall’insegnante in una chat definita “La saletta”. Ma queste prove non le mostrano né a noi, né ai tanti altri giornalisti che in questi giorni giravano intorno all’istituto. 
“Molto spesso in queste chat vengono dette falsità, magari per dare una giustificazione a certi comportamenti”, dice al Foglio Francesco De Rosa. Ha seguito la vicenda da vicino in quanto presidente dell’Associazione dei presidi della Campania. A complicare ulteriormente il quadro infatti c’è anche la circostanza che la docente aggredita, pochi giorni prima dell’incursione punitiva, avrebbe chiesto la sospensione di un alunno trovato in bagno a fumare. Per questo anche l’ipotesi di una ritorsione, come causa scatenante dell’assalto, non può essere esclusa. Lo stabiliranno i magistrati. Ma intanto: “Con una chat è anche facile costruirsi il racconto che si vuole far passare. E’ fin troppo facile”, aggiunge De Rosa. Su questo tema ha un’idea molto chiara: “I gruppi dei genitori e degli alunni finiscono quasi sempre per fare danni. Certo, talvolta permettono di scoprire situazioni di cui il personale scolastico non era a conoscenza. Ma il più delle volte non va così. Le chat andrebbero gestite con la massima oculatezza, con una grande senso di responsabilità. Troppo spesso non succede. Non si può dare in pasto ai social e ai media una notizia di questo tipo. Poi arrivano i genitori a farsi giustizia da soli. E’ inconcepibile, inaccettabile”.

Secondo la versione delle mamme degli alunni, la scuola sarebbe stata informata delle presunte molestie sessuali ben prima che avvenisse la spedizione punitiva. Si aspettavano provvedimenti che invece non sono arrivati. La preside dell’istituto Salvati, Donatella Ambrosio, smentisce. “Non posso rilasciare dichiarazioni”, ci risponde al telefono. Nei giorni precedenti però aveva spiegato di non essere a conoscenza di nessuna presunta violenza. “Hanno detto, sempre nelle stesse chat, di aver segnalato le presunte accuse alla preside. Ma non è vero niente”, è sicuro il capo dei presidi della Campania. “La dirigente – afferma De Rosa – mi ha garantito non aver ricevuto alcuna notizia”. Una versione che arriva anche dal direttore dell’Urs Acerra, secondo cui la scuola è venuta a conoscenza delle accuse la mattina stessa del linciaggio: “I genitori sono arrivati alle 9 e alle 10,30 c’è stata l’aggressione. E’ passato così poco tempo che era impensabile si potesse intervenire”.

Anche questi passaggi dovranno essere ricostruiti dalle indagini di vario livello. Quel che però emerge in ogni caso è la mancanza di fiducia verso l’istituzione, nessun riconoscimento per il principio d’autorità e di legalità, per i suoi tempi, per le sue modalità e garanzie. Una dinamica che tuttavia non riguarda solo i fatti di Castellammare, va oltre. Molti recenti casi di cronaca ne offrono una prova. Tra il gennaio 2023 e il febbraio 2024 sono stati registrati almeno 133 episodi di violenza nei confronti del personale scolastico di vario grado, ha ricordato pochi giorni fa il capo della Polizia Vittorio Pisani. In 70 casi le aggressioni sono avvenute da parte degli studenti mentre le altre, probabilmente ancora più gravi, sono state compiute dai genitori. Si tratta comunque solo delle violenze accertate, tramite referti in ospedale o denunce. E’ probabile che altre non siano documentabili e dunque il numero è verosimilmente più alto, ha specificato Pisani. Una tendenza preoccupante che ha indotto il Parlamento, lo scorso febbraio, ad inasprire le pene per chi commette reati di questo genere. Una risposta legalitaria, tipica di questa maggioranza di governo, che intercetta il problema ma difficilmente può rappresentare da sola una soluzione.

 

“Con una chat è  facile costruirsi il racconto che si vuole far passare. E’ fin troppo facile. I gruppi dei genitori e degli alunni finiscono quasi sempre per fare danni”, dice Francesco De Rosa, capo dei presidi della Campania. Emerge in questa brutta vicenda la mancanza di fiducia verso la scuola, nessun riconoscimento per il principio d’autorità e di legalità, per i suoi tempi, per le sue modalità e garanzie

 

“Un altro dei problemi fondamentali è quello di ricostruire il rapporto tra famiglie e istituzioni”, ragiona quindi Acerra. “Bisogna cercare di ristabilire un patto di corresponsabilità, e questo riguarda in particolare la scuola a cui spetta anche il compito di curare i rapporti con i genitori. Le famiglie – continua il direttore generale dell’Usr campano – devono però riconoscere all’istruzione una funzione di guida. Altrimenti, se questo non avviene, si corre il rischio di andare oltre”. Quanto alle cause, e ai rimedi, su tutto questo Acerra non si sbilancia. “La risposta non è facile e non vorrei semplificare troppo. E’ una questione che abbraccia molti aspetti, riguarda l’ambito valoriale, i rapporti nelle famiglie e la cultura generale. Non c’è una sola ragione, ma tutte dovrebbero essere affrontate”.

Con un approccio trasversale, che non risparmia nemmeno il ruolo dei media e dell’informazione. Di questo è convinto il capo dei presidi della Campania De Rosa. “Molto spesso anche le televisioni agiscono male. In queste situazioni finiscono per amplificare troppo alcune notizie, mettendo alla gogna persone che non sono colpevoli finché la loro colpevolezza non viene provata”, sottolinea De Rosa, a cui la vicenda di Castellammare offre purtroppo molti spunti. Per giorni in televisione si sono visti screenshot di conversazioni, sono andati in onda messaggi audio privati. “Noi non siamo gossip, la scuola non è gossip, e non possiamo essere trattati in questo modo. Sta accadendo fin troppo spesso, riducendo a pettegolezzo questioni serie. Non va bene”. Ma non è tutto. Perché secondo il presidente dei dirigenti scolastici campani questo tipo di racconto favorisce pure il pericolo dell’emulazione. “Se passa il messaggio che sia così facile, potrebbe venire in mente a chiunque di aggredire un insegnante. Perché i media non vengono a raccontare anche le cose positive, quelle che accadono ogni giorno? La collega di Scanzano mi ha riferito che non riusciva entrare o uscire da scuola perché c’erano le telecamere, per riprendere e fare processi. Tutto questo non aiuta nemmeno a ricreare quella serenità di cui la scuola ha bisogno per lavorare bene”, conclude De Rosa con parole che suonano come una sorta di appello.

La sensazione però è che questo clima pesante, intorno all’istituto di Scanzano, resterà ancora per un po’. Ma nel frattempo almeno le volanti dei carabinieri non ci sono più e anche le telecamere piano piano sono andate via.

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