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il commento

 Il futuro della ricerca passa pure dalle università telematiche

Luigi Marco Bassani

I numeri dimostrano che gli studi online non sono di serie B. Il dibattito fogliante sugli atenei italiani

La qualità dell’università è una delle variabili principali dalle quali dipende il futuro. Si può quindi concordare con Andrea Graziosi quando definisce l’istruzione superiore “una questione di interesse nazionale” (il Foglio dello scorso 6 gennaio)

 

L’università è una combinazione di didattica e ricerca assai sofisticata, che necessita non solo dello sviluppo delle attività accademiche, ma anche della promozione dei risultati acquisiti. I suggerimenti di Graziosi sono in tal senso largamente condivisibili: premiare “apertura, mobilità e internazionalizzazione”, “assicurare che assunzioni e promozioni del personale docente siano le migliori possibili”, “aiutare gli atenei a pianificare il futuro su base pluriennale”. Lo storico contemporaneista ha forse ragione anche nel sottolineare che il numero di laureati non può essere l’unico indice per valutare la performance del nostro sistema universitario. 

 

Ma quando si parla di università in Italia non si può mai dimenticare che, dopo la Romania, questo paese ha il più basso numero di laureati in percentuale sulla popolazione, anche se i romeni hanno più laureati nelle materie scientifiche. In breve, o si comprende che ci troviamo di fronte a un fallimento epocale, oppure si continuano a raccontare storielle consolatorie.

 

Per Graziosi, “occorre sempre dubitare di obiettivi quantitativi basati sul falso presupposto che si abbia a che fare con unità omogenee”. I laureati, insomma, non sono tutti uguali. Verissimo. Ma si potrebbe aggiungere che le stesse lauree non sono tutte uguali, visto che hanno obiettivi differenti e servono a garantire agli studenti la libertà di perseguire il proprio progetto di vita, il quale a sua volta dipende dalle ambizioni, dai vincoli e dai limiti di ogni individuo sovrano.

 

Non solo gli individui e le lauree sono ben differenziati, ma neppure le università sono tutte uguali. Ciascuna ha una sua vocazione e, nel rispetto degli standard di qualità stabiliti dall’ordinamento, risponde a una domanda di formazione precisa. E’ il caso delle università telematiche che, riconosce vivaddio Graziosi, “rispondono a una domanda di tipo particolare e svolgono una funzione positiva per il loro bacino naturale”. Subito dopo questa ovvia ammissione, Graziosi sostiene però che per quanto riguarda le università online le “idee sbagliate e alcune caratteristiche del nostro mercato del lavoro e della nostra normativa ne ampliano impropriamente le dimensioni, producendo danni gravi”. 

 

Le università telematiche – come riconosce Graziosi – sono vittime di un pregiudizio, ossia sono percepite come “soluzioni apparentemente meno impegnative e di maggior successo sul breve periodo”. A sfatare questo mito bastano i semplicissimi dati sugli esami superati: le telematiche hanno tassi di promozione di gran lunga più bassi di quelli dell’Università degli studi di Roma. Francamente la speranza di mettersi in tasca una laurea facile vale anche per molti atenei e corsi di laurea tradizionali, ma poi gli studenti si scontrano con una realtà che richiede ovunque impegno e sacrificio. Visto che le telematiche hanno per la gran parte un pubblico di lavoratori studenti, vi è da immaginare che la loro consapevolezza delle difficoltà sia maggiore rispetto a quella di coloro che escono dalle scuole superiori italiane.

 

Ma, una volta superato il pregiudizio, è bene fondare il giudizio sui dati reali, che derivano sia dagli obblighi a cui le università telematiche sono tenute per legge, sia dal loro stesso interesse a fornire agli studenti un titolo pienamente spendibile nel mondo del lavoro. Al contrario delle università presenziali, proprio calibrare gli insegnamenti per il mondo del lavoro è la vera mission aziendale delle telematiche.

 

In ogni caso, non è affatto vero che gli studenti delle telematiche siano privati del confronto con i docenti: l’ultimo decreto impone almeno il 20 per cento di didattica presenziale, una soglia peraltro raggiunta e talvolta superata già prima di questa normativa.

 

Ce ne vorrebbe di più? Può darsi, ma per avere un termine di paragone, basti dire che nelle università tradizionali la percentuale dei non frequentanti si attesta attorno al 70 per cento al secondo anno e raggiunge il 90 per cento nei successivi. Dopo il primo anno di presenziale rimane davvero pochissimo. Di contro, gli studenti online sono sempre tenuti a seguire almeno l’80 per cento delle lezioni quale requisito minimo per poter sostenere l’esame. E nel loro percorso sono assistiti da una figura cruciale, quella del tutor, da sempre presente nelle università telematiche e non prevista negli atenei tradizionali. Oggi proprio il tutor riceve un giusto riconoscimento nell’ultimo decreto, che ne rafforza la qualifica e l’impegno.

 

L’obbligo di seguire le lezioni deriva anche da quella disponibilità dei corsi che solo l’erogazione asincrona, accessibile in ogni momento del giorno, può offrire. Per molti studenti, specie se lavoratori o provenienti da famiglie a basso reddito di territori disagiati, spesso la scelta non è tra frequentare l’università in presenza o online, ma tra iscriversi a un ateneo digitale oppure rinunciare alla formazione. E a meno che non si voglia sostenere che solo chi è nato in una famiglia abbiente possa concretamente fruire del diritto all’istruzione, il ruolo delle telematiche diventa davvero fondamentale.

 

Non si deve pensare che il contributo di questi atenei allo sviluppo sociale e collettivo venga solo dalle attività didattiche. La ricerca svolta dai docenti delle telematiche è preziosa al pari di quella delle università tradizionali: lo confermano sul piano formale i requisiti per la selezione del personale docente (identico per università tradizionali o telematiche) e dai programmi di dottorato (i quali sono sottoposti al medesimo sistema di accreditamento delle università tradizionali). Ma lo confermano soprattutto, sul piano sostanziale, per fare solo un esempio, i trentuno Progetti di rilevante interesse nazionale vinti da studiosi del gruppo Multiversity (Unipegaso, Mercatorum e San Raffaele).

 

In sintesi, le telematiche sono un pezzo ormai rilevantissimo e ineliminabile del sistema universitario. La domanda che dovremmo porci è come si possa migliorare la qualità delle attività didattiche e di ricerca delle università (tutte), al fine di costruire un sistema di formazione superiore che almeno non sia una palla al piede per un paese che è già bloccato da mille regole clientelari sedimentatesi nell’ultimo secolo e mezzo.   

   

Luigi Marco Bassani è professore ordinario di Storia del pensiero politico, Unipegaso

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