l'intervista
Più studi classici, più apertura mentale? No, e invece sì. Una ricerca ribaltata
A margine del dibattito sul latino. Il professor Brunello (Unipd) ha firmato con altri ricercatori uno studio che negava il collegamento tra studi classici e apertura mentale. Per poi tornare sui suoi passi. "E le competenze che escono dal liceo classico sono spendibili sul lavoro"
“In realtà la versione aggiornata dello studio su liceo classico e apertura mentale ribalta il risultato del paper precedente”. Il professor Giorgio Brunello, ordinario di Economia all’Università di Padova, comincia bene. L’oggetto della ricerca a cui si riferisce non riguarda direttamente la discussione di questi giorni – riforma della scuola e latino alle medie – ma si inserisce nell’annoso dibattito sull’utilità degli studi classici e sulla loro spendibilità nel mondo del lavoro.
“Nel paper del 2023, Do Classical Studies Open Your Mind? – firmato con Piero Esposito, Lorenzo Rocco e Sergio Scicchitano – la risposta che davamo era negativa: non solo gli studi classici non hanno effetti positivi su consapevolezza e apertura, ma espongono allo sviluppo di nevrosi. Uno dei problemi da affrontare in questo tipo di ricerca è quello dell’effetto causale difficile da identificare: ho frequentato il classico e quindi sono più aperto mentalmente? Oppure sono aperto e quindi decido di iscrivermi al classico?”. Bisogna tener conto di “fonti di variabilità esogena” nella scelta della scuola. C’è poi – almeno per i profani – il problema di misurare una caratteristica della personalità, “ma per quello esistono i metodi utilizzati dalla psicologia, test a risposta multipla”.
Senza entrare in dettagli tecnici, il punto è che “presentando in giro il paper, sono emerse criticità nel metodo di raccolta e analisi dei dati che ci hanno indotto a ripetere in parte la ricerca – si parla qui della sofisticata tecnica econometrica delle “variabili strumentali” – e così facendo siamo arrivati al risultato opposto”, presentato in un nuovo articolo a giugno 2024, scaricabile dal sito dell’Università di Padova. “Per cui ci risulta che sì, gli studi classici hanno effetti positivi su apertura mentale, estroversione e amicalità, mentre sembrano non averne di negativi su coscienziosità e stabilità emotiva”, e vengono così coperti tutti i cosiddetti Big Five, i cinque tratti principali che descrivono la personalità.
Un risultato forse spiazzante per chi volesse approcciarsi alla questione evitando la chiacchiera da bar, come purtroppo spesso scade il dibattito vitale sull’istruzione. “Ma la ricerca funziona così, a partire dalla peer review di ogni pubblicazione scientifica, con revisori anonimi chiamati a mettere in discussione tutto. Bisogna essere ben coscienti dei limiti delle scienze sociali, avere l’umiltà di tornare sui propri passi e ammettere che anche queste nuove conclusioni sono parentetiche”.
Ad ogni modo sono conclusioni utili per il mondo del lavoro: “Tutte le principali agenzie di consulenza evidenziano quanto siano importanti le competenze non cognitive, cioè quelle sociali e relazionali legate ai tratti della personalità. Non a caso, nel mondo anglosassone non traducono dal greco e dal latino come facciamo nei nostri licei, ma valorizzano molto lo studio dei classici in questa direzione”. Anche se, lo studio lo evidenzia, non sempre i tratti della personalità favoriti dal liceo classico impattano sui salari in modo positivo o uniforme. Nonostante vengano correlati a capacità critiche e di lavoro in gruppo. Gli studenti del classico risultano anche avere una maggiore probabilità di completare l’università.
Sul latino alle medie, “se la questione fosse il miglioramento delle performance degli studenti”, conclude il professor Brunello, “la soluzione è una sola, concorda tutta la letteratura scientifica internazionale: bisogna lavorare sulla qualità del corpo docente. A prescindere dai programmi che si decide di adottare”.
Un ottimo antidoto