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Rapporti alla mano /24

La scuola che non funziona. Dati e idee

Sabino Cassese

Troppi, in gran parte precari, non sempre preparati. Insegnanti di sostegno: uno strumento per l’inclusione degli studenti o dei docenti? Una spia, più in generale, delle condizioni dei nostri servizi pubblici

La scuola è l’organizzazione più importante della società e la sua struttura è la più vasta e complessa dello Stato. E’ quindi una spia del funzionamento dei servizi pubblici e della capacità delle amministrazioni. Le sue dimensioni e funzioni stanno rapidamente mutando ed è quindi utile valutare come un organismo così complesso riesca a seguire (e a guidare) il mutamento sociale.

 

L’Osservatorio sui conti pubblici italiani

Gli alunni delle scuole diminuiscono e gli insegnanti aumentano, ma ancor più dell’aumento degli insegnanti che occupano i posti comuni è interessante l’aumento degli insegnanti di sostegno. Un contributo fondamentale su questo tema è fornito da un breve, documentato ed efficace studio dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani, intitolato “Gli insegnanti di sostegno in Italia: numeri da record e formazione insufficiente”, redatto da Carlo Cottarelli e da Gianmaria Olmastroni, pubblicato il 24 gennaio 2025. 
Prima di procedere, è bene ricordare che cosa sia l’Osservatorio sui Conti pubblici italiani.

Questo organismo dell’Università cattolica di Milano “promuove, attraverso analisi, ricerca e comunicazione, una migliore gestione della finanza pubblica e una maggiore comprensione dei conti pubblici nel nostro paese, allo scopo di favorire la trasparenza dei conti pubblici attraverso l’analisi della normativa in materia; di analizzare i vantaggi derivanti dalla riduzione del debito pubblico e dalla lotta agli sprechi, all’evasione fiscale e alla corruzione; di sostenere un sistema di tassazione più efficiente e meno distorsivo; di promuovere una spesa pubblica snella, moderna e incentrata all’economia di mercato sia a livello centrale che a livello locale”. Lo hanno sostenuto nel 2023- 2024 Allianz s.p.a., Arca Fondi s.p.a. Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici (Ania), Deutsche Bank s.p.a., Fondazione Bpm, Fondazione Cariplo, Fondazione Arvedi Buschini, Fondazione Passadore, Google, Intesa Sanpaolo s.p.a., Pirelli & C.s.p.a., UniCredit s.p.a.


Alunni con disabilità e insegnanti di sostegno

Gli insegnanti di sostegno servono per gli alunni con disabilità, che rientrano nella categoria più ampia degli alunni con bisogni educativi speciali (Bes). Bisogna quindi partire dal numero degli alunni con queste caratteristiche. Questi, secondo gli ultimi dati resi noti dall’Osservatorio, sono 312.235. Erano, sette anni fa, 216.452 su un totale di circa 7 milioni e 300 mila alunni. Dunque, vi è una percentuale che oscilla tra il 4 e il 5 per cento di studenti disabili. Questa percentuale in realtà è anche maggiore se si considera che il bisogno educativo speciale può ricomprendere anche disturbi specifici dell’apprendimento ed altre problematiche psicologiche, sociali che richiedono differenti strumenti di sostegno. 

A loro volta, gli insegnanti di sostegno sono 217.796 e in 10 anni hanno registrato un aumento del 163 per cento. Se si valuta che il numero totale degli insegnanti delle scuole statali è di circa 900.000, si può dire che circa un quarto è costituito dagli insegnanti di sostegno.

 

               

 

Il rapporto insegnanti di sostegno-alunni con disabilità è di circa lo 0,70 per cento, cioè vi è più di un’insegnante di sostegno per ogni due studenti, un rapporto superiore a quello stabilito dalla legge del 2011 che è dello 0,50 per cento (un insegnante di sostegno ogni due studenti con disabilità). Di conseguenza, quello italiano è un sistema scolastico con molti più insegnanti di sostegno di altri paesi comparabili, anche se gli indicatori di successo dei programmi di inclusione non corrispondono al grande investimento che lo stato fa per l’inclusione scolastica.

 

La regola e le deroghe

La norma del 2011 che regola gli insegnanti di sostegno stabilisce – come già notato – che l’organico degli insegnanti di sostegno è di un docente ogni due studenti con disabilità, ma con la possibilità di istituire posti in deroga. Essa prevede la possibilità di “istituire posti in deroga, allorché si renda necessario per assicurare la piena tutela dell’integrazione scolastica”. Ma solo il Veneto rispetta lo standard di un insegnante di sostegno per due studenti. Tutte le altre regioni applicano la deroga

 

               

La relativa procedura parte dal Consiglio di classe e dal dirigente scolastico e arriva all’Ufficio scolastico regionale, che decide. Questo non è un organo dell’ente regione, ma un ufficio statale. Le sue decisioni non possono quindi essere addebitate agli enti regionali.

Ci si può chiedere: è possibile che la deroga diventi, di fatto, la regola? C’è qualcuno che controlla perché si rende necessaria la deroga? A quasi un quinquennio dall’approvazione del decreto interministeriale (n. 182/2020) che definiva criteri e parametri per l’accertamento della condizione di disabilità in età evolutiva, ai fini dell’inclusione scolastica, c’è chi vigila che vengano emanati da Aziende sanitarie locali – Asl – e scuole gli atti che dovrebbero individuare puntualmente le competenze professionali e la tipologia delle misure di sostegno da attribuire, così almeno da contenere il ricorso alla deroga? O siamo in presenza di un diritto malleabile, ciò che sarebbe accettabile se, con la schiera di inutili controllori di cui disponiamo, ve ne fosse qualcuno che verificasse gli scostamenti, ne accertasse il bisogno e la ragionevolezza, e decidesse quali lo sono e quali non rispondono a esigenze funzionali?

 

Gli stabili e i precari

Il 59 per cento degli insegnanti di sostegno è precario, cioè non ha un contratto a tempo indeterminato, contro il 14,5 per cento degli altri insegnanti. Questo divario non sarebbe grave di per sé (gli alunni con disabilità possono cambiare e diminuire), se non incidesse sulla rotazione, per cui, a causa della precarietà, il 59 per cento degli alunni con disabilità ha cambiato insegnante di sostegno rispetto all’anno precedente. Questo comporta che la funzione è svolta male e che, quindi, pur essendoci abbondanza di insegnanti di sostegno, il servizio educativo non è ottimale.

 

La mancata specializzazione

Il quadro non sarebbe completo se non si considerasse la qualità degli insegnanti di sostegno, che la maggior parte dei dirigenti scolastici ritiene impreparati. Questo è in larga misura dovuto alla circostanza che un terzo degli insegnanti di sostegno a tempo determinato non ha la specializzazione richiesta per lo svolgimento della funzione che è loro affidata.

 

Il divario e i divari

Si parla tanto del divario Nord Sud, ma vi sono tanti altri divari, ed uno di questi emerge dall’indagine dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani, che mostra un dato che stupisce. Molise e Piemonte sono accomunati nel ricorso agli insegnanti di sostegno: ne hanno quasi uno per ognuno degli studenti con disabilità.

 

La meridionalizzazione dello Stato

Se si considerano le statistiche per zone geografiche, si nota che si fa ricorso agli insegnanti di sostegno in particolare nel Centro-Sud, con l’unica eccezione del Piemonte. Poiché è difficile che vi siano tanto forti squilibri tra studenti per regioni, non è azzardato ritenere che, più che per il sostegno ai giovani alunni delle regioni del Centro-Sud, gli insegnanti di sostegno vengano assunti per dare un sostegno all’occupazione. 

Continua così quella tendenza che fu osservata già all’inizio del secolo scorso, che si chiama della meridionalizzazione dello Stato. Antonio Gramsci, in un articolo intitolato “La conquista fascista dello Stato”, pubblicato nel maggio del 1925 su “Lo Stato operaio” osservava: “Per il modo come l’Italia ha raggiunto la sua unità, per le differenze esistenti tra la costruzione sociale dell’Italia settentrionale e quella dell’Italia meridionale, la composizione della burocrazia ha in Italia una particolare importanza. Nel 1870, subito dopo l’unificazione del regno, gli alti funzionari, gli alti ufficiali erano piemontesi e la massa dei dipendenti dello Stato era stata caoticamente reclutata nelle varie regioni. Questa composizione della burocrazia non tardò però a modificarsi profondamente. Nell’Italia settentrionale, a misura che l’Italia si sviluppa, gli elementi della piccola borghesia trovano nelle aziende private impieghi preferibili a quelli offerti dallo Stato e in breve le file della burocrazia divennero un monopolio o quasi dei piccoli borghesi meridionali. Grazie a questo processo, le classi medie ed i ceti intellettuali del Mezzogiorno furono sottratti all’influenza dei clericali, contrari all’unità del regno e antiprogressisti per natura, e passarono sotto il dominio della massoneria, che è stata per qualche decennio il solo partito organizzato della nuova borghesia italiana unitaria e perciò ostile al Vaticano, progressista e perciò anticlericale. L’assorbimento degli elementi più attivi del mezzogiorno allontanò la minaccia di una nuova divisione dell’Italia, minaccia particolarmente grave negli anni della miseria, della fame e rafforzò alquanto le basi dell’Unità”.

Prima di Gramsci, Filippo Turati, illustrando il programma di azione socialista alla Camera, in occasione della presentazione dell’ultimo governo presieduto da Giolitti, il 26 giugno 1920, affermava: “La questione degli uffici e della burocrazia è una cosa sola con la vessata questione del Mezzogiorno. Il Mezzogiorno è il gran vivaio, e quasi il solo vivaio, di tutta la burocrazia italiana, di tutti i gradi, dal capodivisione ora mai alla guardia carceraria. La difficoltà del problema burocratico è là; si tratta, al lavoro parassitario, malsano, turbolento, di sostituire, in Italia, la possibilità del lavoro produttivo… Nell’Alta Italia, regione industriale, si può dire che non vi sia un solo alunno dei nostri politecnici, delle nostre scuole superiori, ed anche delle medie, che aspiri a un ufficio di Stato. Questi uffici sono diventati uffici di collocamento per quella che chiamerei — se la frase non fosse troppo barbina — la mano d’opera cerebrale disoccupata, inadatta a qualunque utile servizio”.

Il fenomeno della meridionalizzazione è continuato negli anni 60: “Una delle caratteristiche sociologiche più significative dei quadri direttivi dell’Amministrazione italiana è costituita dal fatto che la maggioranza dei funzionari proviene da una particolare area geografica, e cioè il Mezzogiorno. Benché il Mezzogiorno abbia una popolazione di circa 19 milioni, rappresentante il 38 per cento della popolazione italiana, la percentuale dei funzionari delle carriere direttive di origine meridionale era, alla fine del 1961, di circa il 63 per cento toccando punte del 70-75 per cento in certe amministrazioni come, ad esempio, nel ministero delle Finanze o nel ministero dell’Interno. Siccome è molto probabile che la graduale “meridionalizzazione” del pubblico impiego sia continuata progressivamente dopo i1 1961 non è escluso che oggi la percentuale dei funzionari di origine meridionale superi il 65 per cento del totale”, osservava Luciano Cappelletti nel volume “Burocrazia e società”, del 1968. 

 

Inclusione degli studenti o inclusione degli insegnanti?

L’esplosione dell’organico in deroga (un vero ossimoro), costituito da insegnanti di sostegno precari, discende dall’intersezione di molti interessi. Da un lato, quello delle famiglie con figli con disturbi psico-fisici o di apprendimento che richiedono non solo la certificazione del bisogno educativo speciale, ma soprattutto la concessione dell’insegnante di sostegno, indipendentemente dal fatto che questo sia lo strumento di inclusione più adeguato. Con quanta ponderazione gli organi competenti rilasciano tali certificazioni?  Dall’altro lato, quello degli aspiranti insegnanti che, attraverso il posto di sostegno, “costruiscono” un curriculum di anzianità professionale che permetterà loro la stabilizzazione in ruolo. 

Questi sono sintomi di problemi sociali. Quello delle famiglie sempre più spesso in crisi che non riescono a seguire i figli negli studi (per cui si preferisce la delega alla scuola dell’inclusione). Quello della fame di posti al Sud che spinge i laureati a bussare alle porte della scuola pubblica per trovare un posto di lavoro. 

Questi squilibri fanno sorgere numerosi interrogativi: quello italiano è uno Stato giusto o, invece, uno Stato che, per ridurre alcuni squilibri di tipo occupazionale, ne crea altri? Vi è un pericoloso aumento di giovani disabili, oppure l’assunzione precaria, a tempo determinato, di insegnanti di sostegno serve solo ad alleggerire le tensioni sul mercato del lavoro, con la conseguenza di creare sacche di precarietà che poi vengono riassorbite dallo Stato? Come vengono determinati obiettivi e standard di inclusione se la regola è che essi non vengono rispettati? Si può continuare ad attribuire all’impiego pubblico il compito di ridurre le tensioni sul mercato del lavoro e in particolare nel Mezzogiorno? Fino a qual punto si può utilizzare uno strumento per l’inclusione degli studenti per uno scopo diverso, quello dell’inclusione degli insegnanti?