(LaPresse)

L'ultimo miglio

Trovare un posto anche a scuola per i cantautori

Carlo Maria Simone

Accogliere la musica nella letteratura e in classe. Se non se ne fa carico la scuola, allora chi? "Se la letteratura è educare alla liberazione, allora i cantautori dovrebbero trovare spazio nella letteratura". scrive Marcello Bramanti

Cos’hanno in comune De André, Guccini e De Gregori? Che fra qualche anno non li ascolterà nessuno. Nicchie di aficionados a parte. Dura veritas, sed veritas. Una volta chiesi a un mio alunno se conoscesse i Club Dogo: mi rispose che era roba vecchia, li ascoltava suo papà. Pensare che Battiato e Dalla andranno incontro a miglior sorte solo perché sono Battiato e Dalla è da ingenui: quanti ragazzi italiani oggi avrebbero mai letto un verso di Dante e Leopardi, se non glielo avessero fatto leggere a scuola? E’ di quest’ultima, infatti, il compito di proporre quel che ha valore; anche per crearci gli anticorpi verso ciò che valore non ne ha.


Ecco allora che merita attenzione il recente lavoro di Marcello Bramati, L’ultimo miglio. Motivi e modi per accogliere i cantautori nella letteratura e in classe, con prefazione di Massimo Bubola (Mimesis Edizioni). Bramati ha un grande pregio: conosce ciò di cui parla. Perché insegna e lo fa bene. E chi lo legge su Panorama sa che la sua è una delle poche voci in circolazione capaci di parlare della scuola con competenza e realismo. E’ il tipo di professore che i vostri figli si meriterebbero e che al ministero dovrebbero ascoltare. Per esempio, leggendo L’ultimo miglio.
 

“Se la letteratura è smascherare, educare alla liberazione, dare voce tramite la parola ornata a chi non ce l’ha e a chi non riesce a esprimere così bene ciò che pensa e ciò che vede, ecco che i cantautori devono trovare spazio nella letteratura”, scrive Bramati. Come dargli torto? Forse che Gaber e Guccini non han nulla da dire sulla storia dei loro anni? O che De André non riveli con nitidezza di poesia chi è l’uomo? L’intuizione di Bramati è interessante, e non fa sconti né all’università – che dovrebbe osare di tracciare i confini di un canone, separare zirconi da diamanti – né al ministero – le cui ultime, insipienti indicazioni su cosa fare nelle ore di Italiano risalgono al 2010 – né tantomeno ai docenti – chiamati a innovare, tentare, aprirsi. Proprio a loro è dedicato l’ultimo capitolo, in cui Bramati propone varie piste già testate sul campo per inserire in modo ragionevole alcuni brani di importanti artisti italiani all’interno del programma, per esempio – ma non solo – in quella materia oscura che ha il nome di Educazione civica. Chapeau.


Chi storce il naso, come l’avrà storto a vedere il Nobel per la Letteratura assegnato a Bob Dylan, rifletta. Se non se ne farà carico la scuola, allora chi? E se la scuola ha già altro a cui pensare, a che pensa? E soprattutto, con quali ragioni ci ostiniamo a pensare che poesia e musica vadano su strade parallele (e che la musica non abbia diritto di cittadinanza scolastica)? Mi farei due chiacchiere con Ulisse, a Scheria, dopo che pianse per aver ascoltato l’aedo Demodoco (un cantautore dell’epoca); o con una dama in una corte medioevale, negli anni che ci hanno inventato ballate, sonetti e canzoni; oppure con Mozart e Da Ponte mentre ci allestivano il Don Giovanni. Ci prenderebbero per pazzi.