
(foto LaPresse)
Il caso
Ricercatori in rivolta. In (quasi) 600 firmano una lettera per chiedere contratti più flessibili: Pd e Cgil in imbarazzo
Negli atenei cresce il fronte dei ricercatori che criticano il solo contratto nazionale di ricerca: "ci danneggia". Ma i dem e il sindacato fanno le barricate contro il progetto del governo
La notizia è che i ricercatori universitari usati da Cgil (e dal Pd) per cavalcare l’opposizione al governo, adesso chiedono al governo di andare avanti opponendosi alla precarizzazione innescata proprio dal modello universitario propagandato dal sindacato (e dal principale partito d’opposizione). La scorsa settimana una decina di ricercatori ha scritto una lettera alla ministra dell’Università Anna Maria Bernini. Obiettivo? Rendere esplicito il malcontento della categoria per l’introduzione, nel nostro ordinamento, del solo contratto nazionale di ricerca. Uno strumento che è andato a sostituire tutti gli altri, più flessibili, a partire dagli assegni di ricerca. Secondo i ricercatori, però, strumenti come i contratti nazionali di ricerca “appaiono pensati soprattutto per ricercatori che hanno già potuto costruirsi un curriculum scientifico competitivo, e per questo rischiano di tagliare fuori i più giovani. I neo-dottorati si troveranno costretti a competere per lo stesso contratto con ricercatori aventi anni di esperienza alle spalle. Molti di loro si troveranno costretti ad abbandonare la carriera accademica per cercare opportunità più remunerative o, in alternativa, a rivolgersi a enti di ricerca esteri”. Esattamente quanto era stato denunciato dalla Conferenza dei rettori italiani. E da molti dei vertici degli atenei, come il rettore del Politecnico di Bari Francesco Cupertino, che al Foglio aveva ammonito: “Ridurre le tipologie contrattuali dei ricercatori non diminuisce la precarietà, ma l’aumenta”. Proprio per questa ragione la ministra aveva presentato un ddl che mirava a introdurre nuove tipologie contrattuali nel cosiddetto periodo del “pre-ruolo”, salvo poi sospenderlo dopo le veementi proteste registrate in alcuni atenei. Fatto sta che, come ha potuto verificare il Foglio, quella che era partita come una lettera di pochi ricercatori, nel giro di pochi giorni ha riscosso centinaia di sottoscrizioni: al momento sono 541, in crescita costante, e vedono adesioni da ogni parte d’Italia, dall’Università di Palermo all’Istituto superiore di sanità. Passando per importanti enti di ricerca come l’European Space Agency, l’Eurac Research, Enea, l’Accademia del Lincei e il Consiglio nazionale della ricerca (Cnr).
“Quale futuro si vuole costruire per i tanti giovani che non possono accedere ai contratti di ricerca? Può una sola tipologia di contratto essere sufficiente per risolvere il problema del precariato?”, chiedono ancora nella loro lettera i ricercatori. E sul punto è stata la ministra Bernini a fornire la versione del governo. Intervenendo a un evento a Napoli, la scorsa settimana, Bernini ha spiegato che la richiesta dei ricercatori è che ci siano fondi per post doc e altre tipologie contrattuali “che siano riconosciute all’estero e dall’estero, che siano interoperabili”. I ricercatori “mi hanno mandato una lettera molto accorata e li riceverò ed Elena Cattaneo, famosa ricercatrice e senatrice a vita, mi ha ugualmente sollecitato a portare avanti un progetto che preveda altre tipologie contrattuali perché più opportunità ci sono e meglio è per i ricercatori”, ha aggiunto la ministra. Che ha anche ricordato la dotazione da 38 milioni di euro per stipulare nuovi contratti. E ieri è tornata sull’argomento presentando un piano da 50 milioni di euro per attrarre ricercatori ora all’estero, all’interno degli Stati generali dell’Università organizzati da Forza Italia.
Solo che contro il ddl in discussione in Parlamento si è schierata fortemente la Cgil, che per contrastarne l’iter ha addirittura mandato una lettera alla Commissione europea, denunciando la presunta volontà del governo di precarizzare ancor di più l’accademia. Una sponda che la Cgil ha offerto al Partito democratico, visto che il Contratto nazionale di ricerca ha come “genitore” il senatore dem Francesco Verducci, che lo introdusse tramite emendamento all’allora decreto “Pnrr 2”, all’epoca del governo Draghi, quando ministra dell’Università e della Ricerca era Maria Cristina Messa. E infatti i parlamenti del Pd al ddl Bernini si sono sempre opposti, issando barricate, incuranti delle posizioni nel frattempo espresse da chi, come i rettori, queste questioni le maneggia quotidianamente. Tenendosi al riparo da qualsiasi forma di pregiudizio ideologico.
Chissà che alla fine le quasi 600 firme, in crescita di ora in ora, non possano servire al sindacato e al principale partito di opposizione a capire che su una questione che li tocca da vicino (entrambi hanno sempre rivendicato di parlare a nome dei “precari della scuola e dell’università”) forse è meglio lasciar perdere l’opposizione fine a se stessa. Anche perché quelle centinaia di persone prima o poi potrebbero trovare il coraggio di accusare chi non ha fatto niente per la loro condizione. Ancor più precaria oggi di ieri.

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