La guerra dei debitori
Gli squilibri nei conti esteri alimentano le tensioni fra i paesi?
Potrebbe essere imputato di materialismo storico, se non addirittura di vetero-marxismo, chi credesse che le tensioni politiche globali che agitano il nostro tempo siano il riflesso degli squilibri dei pagamenti esteri che tuttora persistono fra i diversi paesi. E tuttavia è suggestivo osservare la coincidenza in virtù della quale il più grande dei debitori - gli Usa - è al tempo stesso quello che oggi, più di altri, alimenta le tensioni commerciali puntando l’indice verso le sue controparti che abitano l'altro lato del bilancio, ossia i suoi creditori. La Cina, quindi, ma anche il Giappone, peraltro assai più creditore globale della Cina, e soprattutto i creditori europei, una famiglia composita dentro la quale c’è innanzitutto la Germania, ma anche l’Austria, il Belgio, la Danimarca, la Finlandia, il Lussemburgo, l’Olanda, la Norvegia, la Svezia e la Svizzera. Una pattuglia già nutrita alla quale dal 2012 si sono aggiunti anche i paesi europei che prima erano debitori, fra i quali ci siamo anche noi italiani. Poi ci sono i paesi dell’Asia avanzata, quindi Hong Kong, la Corea del Sud, Singapore e Taiwan, e infine gli esportatori di petrolio, un mondo composito dove si trovano insieme paesi che vanno dall’Iran, all’Arabia Saudita, all’Azerbaijan, passando dalla Russia. Se la bilancia dei pagamenti globali fosse un campo di battaglia, le truppe sarebbero già schierate e le alleanze sarebbero sorprendenti. Ma per fortuna non è l’economia a determinare la politica. Forse, semmai, il contrario.