Shibumi è un manuale zen per occidentali, camuffato da bestseller di spionaggio
La recensione del romanzo di Trevanian, nell'unica rubrica che vi dice come parlare di libri (senza perdere tempo a leggerli)
Shottini è un'idea di Andrea Ballarini. Video e editing di Enrico Cicchetti
Per diventare un autore di culto bisogna fuggire i mass media. Certo, ci vuole determinazione per resistere alle lusinghe della celebrità, ma se si punta a entrare nella storia questa è la via. In letteratura un esempio su tutti è Salinger, l’autore del Giovane Holden.
Lo scrittore di cui parliamo oggi ha mantenuto il mistero sulla sua identità per quasi tutta la vita. Stiamo parlando di Trevanian. No, non era armeno, bensì statunitense e il suo vero nome era Rodney William Whitaker e ha pubblicato otto romanzi sotto pseudonimo. Qualcuno si era anche convinto che fosse Robert Ludlum, fino a che lui stesso non inviò una lettera ai giornali dicendo di non sapere chi fosse Ludlum e che del Novecento aveva letto Proust e poco altro.
Il libro di cui parliamo oggi è il suo capolavoro: “Shibumi. Il ritorno delle gru”.
Pubblicato nel 1979 – ma come tutti i veri intellettuali, ogni tanto vi piace andare a ripescare qualche chicca dal passato – in Italia è uscito con il titolo “Il ritorno delle gru”, perché i nostri responsabili editoriali pensavano che Shibumi potesse essere confuso con una marca di auto giapponesi. Poi è stato ripubblicato, sempre da Bompiani, nel 2011 con entrambi i titoli.
Shibumi è un ideale della cultura del Sol Levante e indica un’estrema raffinatezza dissimulata sotto forme comuni. Il ritorno delle gru è, invece, la fase finale dell’antichissimo gioco del Go gioco e indica la cattura dei pezzi nemici.
Perché tutti questi riferimenti al Giappone?
Perché sotto le forme di un thriller di spionaggio, in cui sono canonicamente coinvolti terroristi internazionali e servizi segreti, Shibumi è un’efficace rievocazione del Giappone bellico e postbellico, nonché uno dei modi più interessanti per un occidentale di accostarsi allo zen.
Ora, poiché abbiamo tutti fatto le medie, sappiamo che chiedere che cos’è lo zen? è quanto di meno zen esista. Infatti per avvicinarsi a questa disciplina, l’unica è praticare un’arte zen (tiro con l’arco, cerimonia del te, disposizione dei fiori ecc.) o leggere storie zen da cui si possa trarre una morale, come quella che induce a batter le mani per sentire il suono di una mano sola e cose così. A questo proposito per attestare che possedete una vasta cultura, ricordatevi di citare “101 storie zen”, di Adelphi: che, se proprio volete, si legge in un’ora.
Il protagonista di Shibumi è Nikolaj Hel, figlio di una nobildonna russa, nato a Shanghai negli anni Trenta e allevato nella cultura orientale da un generale giapponese. Nikolaj fin dall’infanzia, scopre di avere qualità mistiche che gli consentono di astrarsi in una zona extraspaziotemporale. Intelligentissimo, molto dotato per le lingue, per via di una serie di vicissitudini di cui potete fare tranquillamente a meno di parlare – quindi inutile perdere tempo a leggerle – Nikolaj, molto critico nei confronti dei valori occidentali, finisce per diventare il killer meglio pagato del mondo.
Coinvolto in un intrigo spionistico che ruota intorno al commando di Settembre Nero delle Olipiadi del 1972, Nikolaj è spinto a lasciare il suo buen ritro in un fighissimo castello dei paesi baschi francesi e a rituffarsi nella mischia per sfruttare la sua conoscenza dell’hoda korosu, un’arte marziale occulta detta del “nudo uccidere” in cui oggetti comuni diventano armi mortali e che Trevanian, come spiega in una nota, si rifiuta di descrivere meglio perché già altri suoi romanzi sono poi stati utilizzati per compiere dei reati.
Tutta l’ultima parte del romanzo, che è interamente scandito dalle sei fasi tradizionali del go (ricordatevi di dirlo), è dedicata a un’ampia, e ben integrata nella trama, descrizione di un’esplorazione speleologica in una delle grotte del paese basco (molto attuale, grazie alla recente vicenda dei ragazzini intrappolati per giorni nelle grotte thailandesi).
Insomma, una bella lettura molto più ricca e complessa di quel che appare, che sfrutta le forme canoniche del best seller per esprimere tutto il disappunto e la delusione per la banalità della vita moderna. Una lettura da non fare, ma di cui vantarsi per fingere di essere esperti di filosofia orientale senza passare da fanatici.
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