Lo strabiliante Gian Carlo Fusco, cacciaballe di proporzioni omeriche
La recensione di “Duri a Marsiglia”, nell'unica rubrica che vi dice come parlare di libri (senza perdere tempo a leggerli)
Shottini è un'idea di Andrea Ballarini. Video ed editing di Enrico Cicchetti
Oggi parliamo di Gian Carlo Fusco. Nato a La Spezia nel 1915 ha avuto una vita avventurosissima, resa ancora più strabiliante dal suo carattere, perché Gian Carlo era un cacciaballe di proporzioni omeriche. Solo che il livello delle storie che raccontava era tale che il fatto che fossero vere o frutto della sua immaginazione era assolutamente irrilevante. Non a caso è stato ritenuto il maggior narratore orale del secolo scorso. Purtroppo di quei racconti è rimasto solo qualche spezzone televisivo.
I suoi primi articoli compaiono sulla Gazzetta di Livorno nel 1950 e da lì approda poi al Mondo di Pannunzio, che in quel periodo ospitava la crème degli scrittori e dei giornalisti: Flaiano in primis, ma anche Moravia, Brancati, Maccari, Sciascia eccetera. Il successo di Fusco è immediato e molti dei suoi pezzi finiscono raccolti nel 1958-9 nel volume “Le rose del ventennio” uno straordinario ritratto del fascismo visto dalla prospettiva delle persone qualunque. Nel 1956 diventa il primo columnist d’Italia, quando ancora non si sapeva nemmeno cosa fossero le column e “La colonna di Fusco” è subito una delle principali attrazioni di quel giornale allora all’avanguardissima che era il Giorno.
Ma la capacità formidabile di Giancarlo, oltre a quella di inventarsi trascorsi da pugile (lo era stato in effetti, ma giusto il tempo di rimetterci i denti davanti), ballerino, macrò, membro della malavita e via così era di fare propri anche i ricordi degli altri che poi rivendeva da quel geniale intrattenitore che era, incastonati in favolose affabulazioni nei locali di Viareggio, di Milano o di Roma. Su Fusco circolano migliaia di aneddoti, molti raccontati da lui stesso. Per esempio, una volta, durante una cena del mondo del cinema pare che abbia messo in giro la voce secondo la quale il commendator Rizzoli, produttore geniale, ma non certo un intellettuale, lo avrebbe avvicinato per chiedergli: “Senta Fusco, ma quel Tolstoj lì, l’è minga el Dostoevskij?”
Insomma, Fusco è un personaggio troppo strepitoso e complesso per poterlo riassumere in pochi minuti, ma vi consiglierei un documentatissimo libro di Dario Biagi, “L’incantatore”, pubblicato da Avagliano qualche anno fa che ricostruisce la pazzesca vita di Giancarlo Fusco. Visto però che questa rubrica spiega come non leggere i libri, recuperatevi il bel documentario di Salvatore Allocca da titolo “L’incantatore di serpenti”.
Ma veniamo al libro di oggi. Nel 1974 Fusco dà alle stampe per Bietti un romanzo pseudo-autobiografico (nel senso che è probabilmente tutto inventato e forse non è nemmeno mai stato a Marsiglia) dal titolo “Duri a Marsiglia”, ripubblicato da Einaudi nel 1987 e nuovamente nel 2005. Il libro racconta le avventure di un Fusco diciottenne che, insofferente delle milizie fasciste, nel 1933 espatria a Marsiglia dove assume il nome di Charles Fiori e per una serie di mirabolanti vicissitudini – che voi non conoscerete mai perché non leggerete il romanzo – finisce per affiliarsi alla famiglia malavitosa dei calabresi che si divide la piazza di Marsiglia con i catalani e i corsi. La trama è esaltante e se vi piacciono i noir francesi con Jean Gabin e quelle atmosfere intrise di fumo di Gitanes, con il coltello sempre sul punto di essere sfoderato vi piacerà da pazzi. È l’idealizzazione di una malavita romantica che non esiste più, superata dalla crudezza degli anni Settanta e che ha anticipato di venti anni certi aspetti dei noir romantici di Jean Claude Izzo. Con in più un gusto per il riciclo dei luoghi comuni che sa molto di postmoderno. Ma parleremo ancora di Giancarlo Fusco.
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