La vita disperata ma mai grave di Romain Gary
La recensione di “Vita e morte di Emil Ajar”, nell'unica rubrica che vi dice come parlare di libri (senza perdere tempo a leggerli)
Il libro di cui parliamo oggi è Vita e morte di Emil Ajar, e lo ha scritto nel febbraio 1979 Romain Gary che lo ha spedito al suo editore, Robert Gallimard, il più importante editore francese, due giorni prima di uccidersi, il 30 novembre 1980. E Gallimard lo ha mandato in libreria il 17 luglio 1981 lanciando il più grosso sasso nella piccionaia letteraria francese del XX secolo. Ne parliamo qui non per i particolari meriti letterari dell’opera, ma perché a tavola raccontando questa storia ve la potrete tirare da veri connaisseur della letteratura contemporanea. Ma facciamo un piccolo passo indietro.
Chi era Romain Gary? Era un ebreo lituano nato a Vilnius col nome di Roman Kacev. Arrivato in Francia a tredici anni, dopo gli studi di giurisprudenza si arruola in aviazione, entra nella France Libre di De Gaulle e combatte associato alle Force aériennes françaises libres; dopo la guerra gli danno la Legion d’onore (che non è che in Francia la dessero proprio via come il miglio ai piccioni) e intraprende la carriere diplomatica diventando il console generale di Francia in California.
Nel 1956 vince il Goncourt, il più importante premio letterario di Francia con Le radici del cielo, un bel romanzo protoecologista in difesa degli elefanti d’Africa. Poi sposa in seconde nozze Jean Seberg – sapete la biondina con i capelli alla maschietta di À bout de souffle? Quella. Intanto continua a pubblicare altri romanzi, anche di un certo successo, ma come ha magistralmente sintetizzato Alberto Arbasino, in Italia la carriera degli scrittori attraversa tre fasi: brillante promessa, solito stronzo, venerato maestro. E in Francia deve essere la stessa cosa, perché Gary, senza parere è finito nella seconda categoria, con il rischio di non approdare mai alla terza: i critici ormai lo liquidano come uno scrittore risaputo, che non ha più niente di nuovo da dire, “a fine carriera” – scrive un critico importante – e questa cosa a Gary, proprio non va giù e allora concepisce un piano diabolico, la madre di tutte le sòle.
Chiede a un cugino, tale Paul Pavlevitch, di prestargli il suo nome, anzi il suo pseudonimo (come vedremo Gary ha una passione per gli pseudonimi): Emil Ajar, per pubblicare un romanzo. Il nuovo autore riceve subito un’attenzione meno prevenuta e così Gary, insiste pubblicando altri tre romanzi a nome di Ajar (oltre a un bel po’ d’altri testi con vari pseudonimi per la gioia dei biografi in un gioco di scatole cinesi in cui non si capisce più chi è chi e chi è scritto da chi), ma lo scherzo gli scoppia tra le mani perché La vita davanti a sé (La vie devant soi, sempre ricordare il titolo originale), libro delizioso e veramente toccato dalla grazia, che rivela al mondo il crogiolo meticcio di Belleville vent’anni prima di Pennac, vince il premio Goncourt del 1975. Peccato che, per statuto, il Goncourt può essere vinto una sola volta nella vita dallo stesso scrittore.
Gary, però non accenna a svelare la burla, anzi per evitare di essere smascherato, perché qualche critico meno torpido degli altri comincia a notare delle corrispondenze tra l’opera di Gary e quella di Ajar, rilancia e convince il cugino Pavlevitch a impersonare Emil Ajar anche con i media francesi. Questi, quindi, comincia a rilasciare interviste a giornali e tv come il celebre vincitore del Goncourt. Insomma, la cosa è talmente fuori controllo che a un certo punto Pavlevitch ci prende gusto e chiede a Gary di mandargli il manoscritto di La vita davanti a sé, casomai qualche giornalista volesse vederlo. Gary subodora la fregatura e gli manda solo le fotocopie.
E la cosa va avanti così per anni. Ve la faccio breve: il matrimonio con la Seberg finisce, anche perché lei nel frattempo, depressa, si suicida. Gary comincia a sentire il peso degli anni, e forse è anche un po’ stufo dello scherzo... Morale: il 28 novembre spedisce il manoscritto di Vita e morte di Emil Ajar al suo editore Robert Gallimard, dove è spiegata per filo e per segna la colossale burla, poi scende ad acquistare una vestaglia in un negozio di Place Vendôme, risale a casa in rue du Bac 13, e si tira un colpo di pistola. Notare bene due particolari. Primo: lascia scritto di non trarre deduzioni affrettate, perché il suo gesto non ha alcun rapporto col suicidio della Seberg, di un anno prima, – e questo la dice lunga su che tipo di uomo gentile fosse Gary. Secondo: la vestaglia che ha acquistato era scarlatta perché chi avesse scoperto il corpo non restasse troppo sconvolto da quell’invasione di rosso.
Le ultime parole di questo libro riassumo perfettamente il modo di intendere la vita, disperata ma mai grave di Romain Gary: “Mi sono davvero divertito. Arrivederci e grazie. Romani Gary, 21 marzo 1979”.
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