Vi facciamo due conti in tasca
I modelli di pagamento con abbonamento sono diventati un salasso? Ecco qualche possibile risposta
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Vi facciamo due conti in tasca
Leggete questo articolo di TechCrunch, che abbiamo consigliato anche nella scorsa newsletter. L’autore, Danny Crichton, spiega che i modelli di pagamento con abbonamento, gli unici apparentemente sostenibili nel business digitale, ormai sono diventati così ubiqui da costituire un salasso duro da sopportare per l’utente medio. Basta fare due conti. Lui li fa per l’America, noi facciamoli per l’Italia.
Mettiamo che siete abbonati a Netflix (10,99 euro al mese con abbonamento medio), a Spotify (9,99 euro), ad Amazon Prime (3 euro; su questo siamo fortunati, gli americani pagano dieci dollari al mese), e a Sky (le offerte variano, ma immaginiamo una spesa media di 60 euro). E' un pacchetto piuttosto standard di entertainment. Sono 83,98 euro al mese. Se volete aggiungere gli audiobook sono altri 10 euro (di più se volete la versione americana di Audible, molto più fornita), e così via.
Mettiamo ora che siate persone che vogliono tenersi informate. Vi abbonate a due quotidiani italiani, diciamo la Stampa e il Foglio (con link aziendalista). Siete persone smart e vi basta l’abbonamento digitale. Sono 16,5 euro euro al mese per testata, 33 euro al mese. Se vi manca la carta, tuttavia, di euro al mese ne dovete sborsare il doppio, circa 63 – e siete fortunati, perché il nostro Foglietto vuole bene ai suoi lettori e non costa tanto: se al posto del Foglio volete il Corriere, la spesa aumenta. Per non parlare dei giornali stranieri. Ma per i nostri conteggi, diciamo 33 euro al mese.
Per usufruire di tutti questi servizi, vi serve a casa un abbonamento a un servizio di Adsl o fibra. Diciamo 30 euro al mese. Per usufruirne su mobile, avete bisogno di un piano internet per lo smartphone, mettiamo altri 20 euro – stima estremamente conservativa. 50 in tutto.
Sicuramente poi avrete finito lo spazio di archiviazione sull’iPhone, e avete comprato qualche giga sulla nuvola con iCloud, Dropbox o Google Drive. Facciamo altri 10 euro al mese. L’abbonamento di Microsoft Office costa 8,25 euro al mese. Se usate Photoshop dovete sborsare ancora di più, aggiungiamo l'abbonamento ai servizi cloud della Playstation per vostro figlio, magari una VPN per la sicurezza online. Usate un antivirus? Presto perfino Facebook avrà una versione a pagamento.
Ora, è vero che spesso questi abbonamenti sono condivisi i famiglia o tra amici, per non parlare della pirateria. Ma diciamo che per avere un pacchetto abbastanza fornito di media, servizi ed entertainment su digitale bisogna spendere circa 200 euro al mese. (E abbiamo escluso i servizi di food delivery, quelli di car sharing e così via). Contando che lo stipendio medio di un lavoratore italiano è 1.500 euro, è una bella sommetta – difficilmente sostenibile, tanto che nessuno che guadagni quella cifra usa davvero tutti i servizi elencati qui sopra.
Prova numero uno: il regime attuale di abbonamenti non è sostenibile per l’utente medio.
Adesso leggete questo articolo appena uscito sul New York Times. L’autore, Kevin Roose, racconta che siamo nell’epoca d’oro dei servizi digitali non sostenibili. Roose fa l’esempio di MoviePass, un servizio che esiste solo in America e funziona così: per 10 dollari al mese vai al cinema tutte le volte che vuoi. Il servizio ha avuto un successo strepitoso e MoviePass ha ottenuto milioni di utenti in poco tempo, ma l’azienda deve rimborsare quasi per intero il costo del biglietto alle catene di cinema tutte le volte che un iscritto va a vedere un film, e sta perdendo soldi vertiginosamente.
Non è la sola: per offrire servizi a prezzi accessibili, moltissime aziende operano in perdita. Spotify non ha mai fatto un profitto in tutta la sua storia, Netflix, Uber e Airbnb sono sempre sul filo delle perdite, perfino giganti come Amazon di recente hanno dovuto alzare i prezzi dei loro abbonamenti. Tutte queste società, da MoviePass in su, perdono volontariamente denaro perché sanno che, una volta ammassata una base consistente di clienti fedeli, potranno cominciare ad alzare i prezzi, oppure cominciare a incassare vendendo per esempio i dati degli utenti. Ma per una compagnia che riesce ad arrivare al profitto, migliaia falliscono.
Roose scrive che l’economia è “piena di aziende che non fanno profitti”, e intravvede in questo un rischio sistemico. Ma per i nostri scopi ci basta arrivare alla:
Prova numero due: il regime attuale di abbonamenti non è sostenibile nemmeno per la gran parte delle aziende che lo pratica.
E dunque? Dunque se conoscessimo la risposta avremmo trovato la soluzione a tutti i problemi dell’economia digitale – purtroppo non l’abbiamo. Una possibilità è che il sistema degli abbonamenti si stabilizzi, che si trovi un compromesso tra costi per gli utenti e servizi erogati, e che alla fine la strada rimarrà questa. L’alternativa è che, esattamente come è fallito il modello del “tutto gratis su internet” (lasciando in piedi pochi giganti come Google e Facebook, che però hanno estremizzato le loro pratiche di sfruttamento del dato), allo stesso modo fallirà il modello del “tutto in abbonamento a 10 euro”. Rimarrà in piedi qualcuno, gli altri moriranno. Forse il Graal dell’economia digitale deve ancora essere scoperto – ma finora nessuno ha nemmeno immaginato come potrebbe essere.
Valley e altre Valley
Cosa è successo questa settimana
- Ricordate la settimana scorsa quando Google ha presentato Duplex, un nuovo assistente virtuale che fa telefonate da solo ed è indistinguibile da un umano? Ecco, comprensibilmente la gente ha dato un po' giù di matto per questa nuova invenzione. La domanda più frequente è stata: è giusto che io parli con una macchina senza sapere che è una macchina? Google ha detto che risolverà la questione. (Qui c'è un riassunto con molti link).
- Duplex presenta però moltissimi altri problemi. Per esempio: come la mettiamo con le intercettazioni?
- A proposito di cose inquietanti. La strabiliante Boston Dynamics ha diffuso un video del suo nuovo robot che corre su un prato. Guardate come scorrazza contento, sembra quasi che stia inseguendo un essere umano. (Scherziamo, il robot è radiocomandato, ma il video è strabiliante e sottilmente inquietante per davvero).
- Ancora Google: dentro all'azienda, questa settimana, c'è stata una piccola rivolta interna perché molti dipendenti non vogliono una collaborazione con il Pentagono.
- Se volete comprare spazio sul cloud da Google, il nuovo servizio (con prezzi più bassi) si chiama Google One.
- Per qualche ora i servizi della domotica di Nest, azienda controllata da Google, sono rimasti offline. Questo non significa che la gente è rimasta fuori di casa perché la serratura smart non funzionava: funzionava ma non era smart. Problema limitato, che mostra però quanto questi sistemi siano ancora deboli.
- Apple ha avviato una partnership con Goldman Sachs per creare una carta di credito.
- L'azienda di Cupertino non è mai stata così vicina alla valutazione stellare di mille miliardi di dollari. Ma occhio, Amazon è dietro di poco.
- Facebook ha pubblicato un report sulle attività di monitoraggio dei contenuti all'interno del social network – il primo del suo genere. Sono elencati tutti gli account e i post falsi che il social ha cancellato dall'inizio dell'anno a oggi. Sono una tonnellata.
- Facebook sta inoltre pensando di iniziare a giocare con le criptovalute per attivare sistemi di scambio di denaro.
- Ancora video, ancora robot. Il primo insetto robotico spicca il volo. Pochi millimetri, ma considerate che è un robot!
- E ancora robot! In Giappone hanno fatto un Transformer vero. Significa: un'automobile che diventa un robot. E cammina pure. Con una persona dentro.
- Tutte le città americane vorrebbero ospitare il secondo quartier generale di Amazon, ma la città che ne ha già uno non è contenta.
- Berlino vs. Google.
- Se con la tecnica genetica CRISPR si poteva giocare a fare dio, ora che c'è il CRISPR 2.0 cosa si può fare?
- Tesla perde un importante dirigente in favore di Waymo.
- E si espandono le inchieste su un incidente di una delle sue automobili – l'autopilota era inserito sì o no?
- Almeno ci sono i soldi di George Soros.
- Ok, lo so che lo stavate aspettando: Yanny o Laurel?
- Se non avete idea di cosa stiamo parlando, qui c'è un riassuntone di Wired.
- E qui uno spiegone del New York Times.
- (Io sento Laurel).
VIDEO BONUS
Ci siamo chiesti: dopo tanti video di robot e illusioni sonore forse sarà meglio rendere più seria l'atmosfera con una registrazione vintage di una vecchia lezione (favolosa) di Steve Jobs – o meglio continuare con l'atmosfera ludica? Beh, il compianto Jobs ce lo teniamo per la prossima volta, perché qui c'è un video che spiega come si fa a finire tutto Super Mario in meno di cinque minuti e fare il record del mondo. (Scherzi a parte è un video serio che spiega un lavoro di precisione e astuzia clamoroso).
LONG READ, METTETEVI COMODI
Nella sezione "Video Bonus" vi abbiamo tolto il piacere di un gran video con Steve Jobs (arriva la settimana prossima), ma intanto godetevi questa bella testimonianza di John Carmack, lo sviluppatore di alcuni dei più importanti videogiochi di tutti i tempi, che per molti anni ha lavorato con il fondatore di Apple. Carmack cerca di rispondere a una domanda che gli fece sua moglie: "Perché abbandoni tutto quello che stai facendo quando Steve Jobs ti chiede di fare qualcosa? Non sei così con nessun altro". La risposta è bella e piena di aneddoti agrodolci.
L'Intelligenza artificiale è ancora indietro, ma c'è una disciplina in cui batte la stragrande maggioranza degli esseri umani – oltre agli scacchi, ovviamente: il Fantacalcio. (Clicca sull'immagine per guardare il video).
Intervista a sir Jony Ive sugli orologi (fatta da una patinata rivista di orologi).
Intervista a Francis Fukuyama su Facebook e democrazia (!).
Alcuni studenti universitari hanno trovato un modo per portare l'ad blocking alle estreme conseguenze.
Ma quindi la carne cresciuta in laboratorio (dunque con le stesse proprietà della carne, solo che non viene da un pezzo di animale tagliato) può essere chiamata carne o no?
Gli assistenti digitali che stanno invadendo anche le nostre case sentono suoni (e dunque rispondono a comandi) che noi non possiamo sentire. Quanto ci dovremmo preoccupare?
Pezzone del New Yorker su quanta ragionevolezza c'è nell'essere spaventati a morte dall'intelligenza artificiale.
Il Gdpr, la regolamentazione europea sui dati, farà infine scoppiare la bolla dell'adtech, dice il blog dell'Università di Harvard.
Il nuovo protezionismo non è quello sui commerci di acciaio: è quello sui contenuti digitali.
Nel 1996, età preistorica, un articolo del Wall Street Journal spiegava i grandi pericoli dell'èra digitale: raccolta indiscriminata dei dati personali degli utenti, hackeraggi e creazioni di backdoor, utenti poco avvezzi all'uso degli strumenti digitali. Ricorda qualcosa?
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