Il cortocircuito definitivo: trans e femministe litigano sui bagni delle donne
Tra "diritti di tutti" e botte a Hyde Park, entrambe le fazioni, arrogandosi diritti incongruenti, hanno ragione agli occhi di chi li riconosce inalienabili
E’una verità universalmente riconosciuta che le donne, pur nella completa parità di trattamento, abbiano diritto a una specificità di genere. E’ una verità altrettanto universalmente riconosciuta che, in un’epoca di generi fluidi, ciascuno abbia diritto di definire la propria identità sessuale senza lasciarsi condizionare da contingenze sociali o fisiche. A causa dell’insanabile conflitto fra queste due verità universali, l’altro giorno a Londra si è scatenata una rissa fra femministe e transgender.
Le femministe appartenevano al gruppo TERF, sigla che identifica le militanti radicali che escludono dalla definizione di donna chiunque possa dichiararsi appartenente al genere femminile senza esserci nato e vissuto. Un caposaldo della loro ideologia consiste nell’impedire che i bagni per donne siano utilizzati anche dalle transgender; ritengono infatti che la specificità di genere debba garantire spazi per sole donne, la cui sacralità va tutelata dall’apertura a individui che non siano completamente identificabili come tali. Le transgender appartenevano a gruppi più sfaccettati. C’erano le attiviste dell’associazione Lgbtq+ della Goldsmiths University, il gruppo Action for Trans Health e le Sisters Uncut, ovvero “sorelle senza tagli”. Un caposaldo della loro ideologia consiste nel rivendicare che la libertà di genere debba garantire accesso agli spazi per sole donne a chiunque si senta donna o si sia sottoposto a un percorso, anche doloroso, per divenire tale.
Le femministe si erano ritrovate allo Speakers’ Corner di Hyde Park per apprendere la sede, tenuta segreta, di una conferenza sul gender in programma di lì a poco. Le transgender hanno dapprima intonato cori contro il TERF e poi iniziato – lo testimonia un video diffuso dai tabloid con un certo compiacimento – a menare le mani. A giudicare dalle escoriazioni, ha avuto la peggio una sessantenne che si definisce “femminista critica sul gender”, colpita mentre stava chiacchierando con un’autrice transgender, Miranda Yardley, la quale sostiene che le donne trans non siano donne e sarebbe dovuta intervenire alla conferenza segreta assieme a Julia Long, che invece si definisce “femminista lesbica e difensore degli spazi per sole donne”. La polizia, accorsa sul posto, non ha arrestato nessuno.
Del resto, poveri agenti di Scotland Yard, cos’avrebbero potuto fare? Dovunque si voltassero, c’era una minoranza inferocita da questo cortocircuito progressista. Le femministe rivendicano il diritto alla propria identità di genere, che implica che solo loro possano servirsi del bagno delle donne. Le transgender rivendicano il diritto alla propria identità di genere, che implica che anche loro possano servirsi del bagno delle donne. Arrogandosi diritti incongruenti, entrambe le fazioni hanno ragione agli occhi di chi li riconosce inalienabili. Le transgender infatti si sentono vittime di una discriminazione che impedisce loro di utilizzare spazi riservati alle donne, in barba al principio della libertà di genere. Le femministe si sentono vittime di una discriminazione che impedisce loro di poter proteggere gli spazi riservati alle donne, in barba al principio della specificità di genere. Ovviamente le femministe hanno protestato rinfacciando alle transgender di praticare, come i più spregevoli maschi, l’aperta violenza sulle donne; le transgender hanno protestato rinfacciando alle femministe di praticare, come i più spregevoli maschi, la discriminazione di genere. Alla fine, trovato un accordo sulla spregevolezza del genere maschile, l’assembramento di Hyde Park si è sciolto pacificamente.
I guardiani del bene presunto