Rassegniamoci al #siamotuttiporci
Denunciato per molestie, Wieseltier si scusa e chiude la sua rivista. Ormai l’idea è che il maschio è in sé un porco, e che al di là della linea rossa di un contatto protocollabile, tutto quel che fa d’istinto, in relazione a una donna, è male assoluto
Leon Wieseltier è qualcosa di più di un public intellectual. E’ un modello di stile, una persona che pensa il suo tempo con gli strumenti di una rilevante cultura, di una erudizione ebraica che è parallela alla pietà santificante. Famoso il suo Kaddish per onorare il padre, celebri le sue tirate di pensiero su New Republic e altrove, forte il suo modo di leggere i segni del mondo nuovo, tolto il sublime aristocratico cinismo degli Huxley, con asciutta compassione, invece, e perspicuità nella scrittura. Stava per pubblicare una nuova rivista di idee, Idea ne era appunto il titolo, con i soldi, molti maledetti e subito, di una fortuna della Silicon Valley, quella della vedova di Steve Jobs, Laureen, che aveva appena comprato la celebre rivista The Atlantic. Non se ne farà più niente, perché dopo l’esplosione del caso Weinstein un certo numero di collaboratrici e redattrici della vecchia gloriosa rivista che per trent’anni aveva incrociato la sua vita intellettuale e si può dire morale con quella di Wieseltier ha deciso che era stato un molestatore.
A una fece vedere un nudo greco classico in fotografia e commentò dicendo che era l’immagine più erotica in cui mai fosse incappato, traumatizzandola. Un’altra rimediò un bacio che sfiorava addirittura le labbra. Ironizzò sulle gonne strette, e la vittima dice che non ne portò più da quel giorno. Fu investigato dall’editore con cui era in dissidio, ne seguirà uno scisma e il progetto ora abortito di nuova pubblicazione, per attenzioni “inappropriate” (ah, che parola disgustosamente puritana!) verso una collega con cui gli fu vietato di intrattenere di lì in avanti alcun rapporto. Insomma, una storia grottesca, una carneficina forse ironica forse tenera forse un tantino morbosa, quel corteggiamento pesante che oggi le vittime, le donne coinvolte, rendono con la loro denuncia via mail direttamente infamante, non al massimo imbarazzante. Bè, io non c’ero, non so, posso solo dire che Wieseltier si è scusato, ormai le scuse sono il suggello di queste storie, ma con parole che dicono il suo dispiacere nell’apprendere che certi comportamenti erano percepiti come lesivi della dignità un po’ astratta dell’essere femminile che ne veniva toccato.
Ho guardato una sua fotografia. Con quei capelli bianchi diffusi intorno alla testa in un’aura vanitosa e innocua, e lo sguardo pensante con intensità giustificata dagli scritti ma un poco pomposa, questo sessantacinquenne literary editor dell’establishment politicamente scorretto e antimulticulturalista sembra la preda perfetta di una nuova legione di delatrici, ma non un orco, come il cattivo produttore dalla barba mal fatta, l’uomo del sofà, della produzione, della potenza finanziaria che impone qualcosa di estraneo e di intollerabile alla libertà della donna, delle donne che incontra e che lo incontrano per una qualche scrittura a Hollywood. E allora, valutate le storie che si raccontano di lui, nella loro passabile inanità, devo convincermi: è passata l’idea, Idea, che il maschio è in sé un porco, un disonesto, un profittatore di corpi altrui, e che al di là della linea rossa di un contatto rigidamente protocollabile, tutto quel che fa d’istinto, in relazione a un corpo di donna, è male assoluto.
Questa idea non è una buona idea. Sa, con l’automatismo dell’autocritica, di rivoluzione culturale, di quartier generale bombardato, di rieducazione o rehab, come si dice quando il porco si rifugia in una clinica per vittimizzarsi un po’ anche lui. Induce ipocrisia, risposte scurrili dei “maschilisti” che pullulano nel nostro mondo cattolico tollerante e un po’ andante. Impoverisce il linguaggio. Mette la sensualità dell’esistenza dietro la lavagna, costringe le Alte autorità a farsi belle di codici che non sono in grado di rispettare, ma soltanto di imporre in una confusa parodia di giustizia, come la polizia au quotidien. E infine, come ha scritto qui la moglie di un sessantacinquenne che conosco, deturpa invariabilmente la vera dignità di una donna che non usa il suo massimo potere, mandare affanculo chiunque la offenda e prendere la porta. La mutazione goffa e spiacevole di un Leon in un Abbrancaleon, senza che gli siano elevate contro imputazioni, magari da provare, di violenza e almeno tentata estorsione, ecco una storiaccia insulsa che si rifarà viva a breve, c’è da scommetterlo nonostante il nostro cattivo e ipocrita cinismo da balera, in altre storie e storielle magari più vicine al nostro punto di osservazione. Siamo tutti questo, siamo tutti quello, quando è facile a dirsi, ma “siamo tutti porci” è un calembour che attende tristemente di farsi largo nelle nostre redazioni, case editrici, università, scuole, uffici e in altri luoghi eletti. Fino a quella prova contraria che, trattandosi di maschio e femmina, probabilmente non arriverà mai.
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