Mai rovinare le scuse con un coming out. Il caso Kevin Spacey
Le parole dell'attore sono state interpretate da qualcuno come un espediente per sviare le accuse di pedofilia, da qualcun altro come la necessità di un gay di dover chiarire al mondo cosa gli piace fare in privato
Nel 1986 Kevin Spacey invitava il collega Anthony Rapp a una festa da lui, al termine della quale provò a farci sesso senza riuscirci: Spacey aveva 26 anni, Rapp 14. Nessuna denuncia, ma trent’anni dopo diventa molestia sessuale raccontata dall'attore quarantaseienne che non ha mai più rivisto Spacey se non attraverso i di lui successi (un Tony Award, due Oscar, direttore creativo di opere teatrali, sei stagioni di House of Cards), mentre Rapp ha una parte in cui interpreta un personaggio gay in Star Trek Discovery. Più Spacey aveva successo più cresceva la frustrazione, la rabbia e i mal di pancia di Rapp che si dice tutt’oggi molto confuso.
Nel 1986 esce uno dei tanti capolavori di Stephen King: IT. C’è una scena nel romanzo che è esclusa sia dalla miniserie tv sia dal recente blockbuster di Andrés Muschietti, e che oggi troviamo disturbante: i ragazzini, dopo aver sconfitto le loro paure, sono intrappolati nei tunnel e l’unica bambina, Beverly Marsh, dice loro che l’unico modo per salvarsi e fare sesso con lei. Oggi sarebbe una gangbang tra minori, boicotteremmo King e il tribunale del popolo lo tratterebbe come "M" il mostro di Düsseldorf. Invece per King era un espediente narrativo per raccontare il passaggio dall’età infantile a quella adulta: “E' passato del tempo da quando ho scritto quella scena e oggi c’è una sensibilità diversa”.
Mai rovinare le scuse con una giustificazione, o con un coming out. Gli americani amano tantissimo le scuse ma ancor di più giudicarle. Quelle di Spacey non si sono fatte attendere: ha rilasciato una dichiarazione su Facebook nella quale si dice dispiaciuto, di essere stato ubriaco, di non ricordarsi. Ha poi aggiunto che in questi trent’anni ha fatto sesso con donne e con uomini e oggi vive la sua vita sessuale da gay. A qualcuno è sembrato un coming out per sviare le accuse di pedofilia. (Il coro è andato da Billy Eichner a Dan Savage nel far notare che alcol e omosessualità non giustificano niente). Qualcun altro avrà pensato che quando ti danno del molestatore e tu per una vita non hai fatto coincidere l'identità sessuale con quella professionale, senti di dover chiarire al mondo cosa ti piace fare in privato.
King, intervistato dal Times, torna sulla faccenda della scena sessuale con una risposta perfetta: “È affascinante che ci siano così tanti commenti che riguardano la scena sul sesso e così pochi sui bambini morti. Vorrà pur dire qualcosa, ma non sono sicuro di cosa”. Forse che l’America puritana ti preferisce morto che leggere, o peggio vedere, ragazzini che esplorano la propria sessualità. L’età del consenso italiana parte dai quattordici anni e non sorprende che la notizia di un attore che ci ha provato con un altro venga percepita come un fatto di gossip, la curiosità sulla sessualità di Spacey e sul suo coming out.
Sì, in questa storia non c’entra l’età del consenso (che negli Stati Uniti varia dai sedici ai diciotto anni, in Messico dodici anni). Rapp racconta la vicenda come un approccio non desiderato e rifiutato che ancora oggi rappresenta una ferita aperta. Basta questo. I tempi cambiano, le sensibilità pure, ma le leggi che puniscono la violenza sessuale esistono e c'erano anche trent'anni fa. Ma sulla scia del caso Weinstein abbiamo deciso che denunciare via Twitter, senza indagini, senza processo, sia un atto coraggioso. Non sorprende che il sito scandalistico TMZ titoli “Kevin Spacey accusato d’aver tentato di molestare un quattordicenne”, Repubblica “L’attore rivela: sì, sono gay”, e che su Twitter la notizia diventi “Kevin Spacey è pedofilo”. Quel che può essere stato un approccio sessuale maldestro diventa inequivocabilmente tentato stupro. Questo vorrà pur dire qualcosa, non siamo sicuri di cosa.
Politicamente corretto e panettone
L'immancabile ritorno di “Una poltrona per due” risveglia i wokisti indignati
Una luce dietro il rischio