Gli haters
Bruciare vivi, ovvero la raccolta indifferenziata dei rifiuti. Odio quindi esisto e vengo eletto
“Rosato facciamo questo patto. Se questa legge sarà cassata dalla Consulta noi ti bruciamo vivo, ok?”. Il futuro assessore siciliano ai Rifiuti, candidato alle regionali con il Movimento cinque stelle, ha espresso queste sue intenzioni politiche su Twitter, poi le ha ritirate su Facebook, dichiarando che però non permette a nessuno di strumentalizzare il suo errore. Quale parte del patto sul bruciare vivi potrebbe venire strumentalizzata non è chiarissimo, ma è chiaro invece a quale categoria politica appartenga Angelo Parisi, ingegnere odiatore che si è scusato per le sue parole, dicendo che “è prevalsa l’amarezza”: si dice haters, che però è già troppo, offre una specie di identità a chi si aggrappa ferocemente agli insulti da casa, e grazie agli insulti, sempre più forti, si conquista un’esistenza, un riconoscimento che altrimenti non avrebbe. Angelo Parisi è soltanto un esempio di questo modo di usare internet come se fosse il mondo, ma a forma di secchio della spazzatura indifferenziata, senza nemmeno la necessità di separare i rifiuti. Lancia pure lì dentro, qualcuno aggiungerà altre schifezze, qualcun altro le raccoglierà.
Augurare la morte, il cancro, lo stupro, minacciare azioni violente in nome di un vaghissimo senso di rivalsa o di ingiustizia, dire a tutti: coglione, venduto, schifoso corrotto, servo, vergognati, crepa, va’ in galera, con la forza e la mostrificazione offerte da una tastiera, ma anche con l’esaltazione data dal fatto di leggere il proprio nome, o nickname, da qualche parte, convincersi di avere un seguito, sentirsi un po’ dentro Gomorra, credersi protagonisti di qualcosa di importante e distruttivo, contare i like come si contano gli amici, come si contano i voti. La rivoluzione dell’odio, la rivolta dell’orrore. Non che prima gli haters non esistessero, ma non avevano un nome così bello, così inclusivo di psicosi, frustrazioni, istinti rabbiosi, necessità di colpevolizzare chiunque del proprio malessere, né un partito politico: le loro lettere finivano nel cestino della carta straccia prima di raggiungere il destinatario, la rabbia si sfogava in qualche scritta sui muri, non c’erano premi né titoli di giornale, non c’era un circo dove esibirsi, allo stesso tempo esposti e al riparo, con la rete di salvataggio dell’invisibilità.
Adesso è così semplice, così immediato, non serve nemmeno comprare una busta e un francobollo, si può dire stronzo anche al presidente della Repubblica, con l’illusione gratificante che il presidente, a letto o in bagno o prima di un incontro importante, leggerà che qualcuno gli ha detto stronzo, ci penserà anche un secondo. Sembra forse di avere compiuto un atto di grande coraggio, di avere fatto la storia: è un potere senza precedenti, che incita ad aumentare l’odio, a cercare parole più forti, minacce più terribili. “Ti bruceremo vivo”, è uno slogan politico, lo slogan di un sentimento che sta cercando di mettersi alla guida della contemporaneità. Più sei orribile, più si accorgeranno di te, forse diventerai anche assessore ai Rifiuti per il Movimento cinque stelle, che gran capolavoro.