Molestare stanca

Spericolato atto d’accusa del bon vivant Taki Theodoracopulos contro l’ipocrisia puritana di sinistra che ha trasformato l’uomo in orco. Con una postilla politica sulla grande guerra a Murdoch

“Sweetheart, c’era anche lui alla festa con Harvey!”, dice Taki Theodoracopulos, ridendo, alla moglie, la principessa Alexandra Schöenburg-Hartenstein, che emerge dall’altra ala del salotto assieme a un parrucchiere francese e fingendo un’espressione scandalizzata esclama: “Oddio, mi dispiace tanto”. Poi si rieclissa per un altro ritocco all’acconciatura, “che così sembro mia madre”. “Mi hanno detto che quella sera Harvey ci provava con tutte, ma se devo dirti la verità non mi ricordo niente, avevo bevuto troppo”, ammette Taki, e i pochi testimoni oculari che quella sera erano sobri possono giurare che non è una giustificazione. L’ereditiere greco e bon vivant globale classe 1936 non conosce domanda troppo indiscreta e argomento di conversazione sul quale non possa farsi una risata, ma Weinstein non era che una inevitabile conoscenza occasionale. E’ andato a qualche sua festa, si sono visti alcune volte a Cannes, in barca, durante il Festival, “un inverno a Gstaad gli ho presentato un po’ di persone, non conosceva nessuno, mi rompeva i coglioni per andare a cena insieme tutte le sere, e io gli dicevo ‘calmati però, lo sai che sei troppo di sinistra per i miei gusti’”, e certo sapeva quel che tutti sapevano, cioè il modo insistente, pressante e perfino ricattatorio con cui il produttore caduto in disgrazia si rapportava al sesso femminile, “ma non avevo mai sentito della violenza, e se devo dirti la verità non ne ho sentito nemmeno oggi che il caso è scoppiato: mi pare che tante donne gli abbiano detto di no e se ne siano andate incolumi. Era un maiale? Credo di sì, ma qui stiamo assistendo alla grande festa dell’ipocrisia dei benpensanti: nessuno ha il coraggio di dire che tutti nella vita cercano di persuadere gli altri a fare delle cose, che tutti fanno scambi e compromessi per ottenere ciò che vogliono”.

 

Troppo di sinistra per i miei gusti. Era un maiale? Credo di sì, ma qui stiamo assistendo alla grande festa dell'ipocrisia dei benpensanti

Per dare l’idea della voracità di cui tutti sapevano racconta che una volta a una festa avevano puntato la stessa ragazza, Weinstein era riuscito a farsi dare il numero di telefono ma più tardi Taki s’era offerto, con successo, di riaccompagnarla a casa: “Quando eravamo al dunque abbiamo sentito il messaggio di Harvey in segreteria telefonica che cercava già di fissare un pranzo per il giorno dopo. La mattina l’ho chiamato io: ‘quanto sei veloce?’ gli ho detto”. Ora Weinstein gli fa un po’ pena, e non per la fine che ha fatto: “Con tutto il potere che aveva e i soldi che diceva di avere, lo stesso faceva una fatica bestiale a portarsi a letto le donne: è davvero molto triste. Anche perché, e non è un dettaglio, molti di questi uomini accusati sono accomunati da una particolare bruttezza fisica, sono ripugnanti”. E di colpo passa al registro della commedia: “Dicevo a un mio amico ieri che se ci annoiamo a organizzare la prossima festa di Natale invitiamo Harvey, così non viene più nessuno!”.

 

Ma qui siamo molto oltre il caso Weinstein. Si è innescato l’inesorabile meccanismo di weinsteinizzazione del maschio, l’uomo è sotto processo, l’uomo di potere è condannato prima ancora di esaminare le prove, ogni rapporto fra i sessi si risolve inesorabilmente in un gioco di oppressione e patriarcato, dagli armadi e dai diari si riversa sulla rete una valanga continua di vecchi ricordi di molestie mai confessate, circolano online liste private in cui ognuna può dettagliare ciò che subito dallo shitty man di turno, non c’è giorno che passi senza un nuovo uomo dei media o dello spettacolo venga sbattuto in prima pagina nei panni dell’orco e sia subito inghiottito nell’oblio. Il protocollo prevede le scuse immediate e senza distinzioni degli accusati: non c’è linea difensiva che possa reggere un attacco che ormai si sta estendendo anche ai complici silenziosi, quelli che sapevano e non hanno denunciato. Dustin Hoffman è soltanto l’ultimo in ordine cronologico, accusato di comportamenti inappropriate datati 1985 e 1991, ché la purga del molestatore ha una dimensione essenzialmente archeologica. Per i comportamenti molesti l’intellettuale Leon Wieseltier ci ha rimesso il suo nuovo giornale, Idea, finanziato da Laurene Powell Jobs, il commentatore Mark Halperin è stato cacciato da Msnbc, Ben Affleck è stato lambito dallo scandalo per via di una toccatina di troppo, il capo della sezione news di Npr, Michael Oreskes, si è dimesso per malefatte commesse negli anni Novanta, quando dirigeva l’ufficio di Washington del New York Times, il giornale che ha dato il via alla valanga del sexual harassment. Perfino George H.W. Bush, 93enne con il Parkinson costretto sulla sedia a rotelle, si è dovuto scusare per aver toccato il sedere a un’attrice mentre erano in posa per una fotografia. Kevin Spacey ha fatto di tutto questo la versione minorenne e gay friendly. La Cnn tiene una lista dettagliata degli uomini colti in fallo, e con realismo dice che è incomplete.

 

Quando Oreskes era al Nyt i suoi capi sapevano delle sue molestie
alle colleghe, ma hanno taciuto. Oggi però fanno la morale
a tutti gli altri

Una breve trattazione separata merita il regista James Toback, accusato da centinaia – letteralmente – di donne di aver distribuito parti in cambio di sesso, che è un vecchio amico di Taki. Lo ha fatto anche recitare nella parte di se stesso nel film sperimentale Seduced and Abandoned, con Alec Baldwin, Ryan Gosling e Roman Polanksi. Taki ha scritto che Toback “ha trasformato il più grande scrittore greco dai tempi di Omero in una star di Hollywood”, e quando gli si chiede conto delle turpitudini contestate all’amico, lui sfodera prontamente l’aneddoto: “Qualche settimana fa eravamo su un taxi su Madison Avenue, stavamo andando a cena insieme con non so chi, quando ha aperto la portiera ha visto una bella ragazza sul marciapiede ed è subito andato a presentarsi. Le dice che vuole assolutamente darle una parte nel suo prossimo film, che può fare davvero strada, ma lei se ne frega, dice che sta dodici ore al giorno davanti a un computer, non le importa niente del cinema e di Hollywood. Lui saluta e torna indietro dicendo ‘ci ho provato’. Capisci cosa voglio dire? Si tratta di un uomo sfacciato che usa i mezzi che ha, e fra questi non c’è sicuramente la bellezza fisica, per persuadere le donne ad andare a letto con lui. Per evitare questo tipo di molestia basta dire di no”.

 

Dicevo a un mio amico ieri che se ci annoiamo a organizzare la prossima festa di Natale invitiamo Harvey, così non viene nessuno!

Ma cosa sta succedendo oggi in questo antichissimo triangolo uomo-donna-potere? Per trovare alcuni indizi bisogna andare nella maisonnette di questo playboy impenitente e senza filtro, autore per una vita della column High Life dello Spectator, sconfinato database di aneddoti veri o presunti sull’alta società da New York a Londra passando per Vienna e Parigi, il judoka della terza età che Vanity Fair stava per mettere su un ring contro Vladimir Putin per cavarne un racconto patinato, ma poi si è scoperto che gli intermediari della geniale operazione erano anche meno affidabili degli emissari di Trump. A differenza del mondo che frequenta, Taki è un arciconservatore di genere paleo, sodale di Pat Buchanan, con cui ha fondato il magazine The American Conservative, un prototrumpiano periodicamente assillato da accuse di razzismo e supremazia bianca che lui con garbo rigetta come bullshit. L’amico Gianni Agnelli lo chiamava “il mio fascista preferito”. Siamo su Park Avenue, il regno dei radical chic e della old money delle famiglie che hanno blasone oltre che portafogli, e se le pietre di questi palazzi potessero parlare forse direbbero che Weinstein è un’educanda. Taki ha un funny feeling, una sensazione strana, sulla grande purga del maschio americano, che trasecola quasi in un teorema di potere: “E’ molto difficile provarlo, ma sono convinto che tutto sia nato dai poteri che osteggiano la famiglia Murdoch, a partire dal New York Times. Pensaci. Tutto è iniziato con una serie di scandali sull’impero della famiglia, a partire da Roger Ailes e Bill O’Reilly. Nessuno ha detto mezza parola in difesa di O’Reilly, i Murdoch hanno capito immediatamente che aria tirava e hanno offerto patteggiamenti favolosi per chiudere subito la questione. Il problema è che si è aperto il vaso di Pandora, la cosa è sfuggita di mano e ci sono finiti dentro tutti, anche quelli che all’inizio avevano cavalcato le accuse. Il caso di Oreskes è molto imbarazzante: i capi del New York Times, il giornale che adesso fa la morale a tutti, sapevano delle sue avances alle colleghe e non hanno fatto nulla, e non saranno mai puniti. C’è chiaramente un double standard. Non dico che ci sia chissà quale cospirazione o regia occulta, soltanto mi sembra che questa rivoluzione in cui virtualmente tutti gli uomini occidentali sono sotto processo sia nata da una battaglia di potere nel mondo dei media e del cinema americano, che sono strettamente legati alla politica. Weinstein era quello più facilmente sacrificabile per il mondo liberal, anche perché era molto meno ricco di quel che diceva, ma quando poi parte la caccia alle streghe ci finiscono dentro tutti. E attenzione: nella mia vita non ho mai, dico mai, visto una caduta come quella di Weinstein”.

 

Lo scontro di potere si innesta, dice Taki, su uno “stravolgimento culturale della relazione fra uomo e donna, che è letta necessariamente come una relazione fra schiava e schiavista” , e questa è l’opera delle “fottute femministe che da decenni fanno il lavaggio del cervello all’America intera sull’oppressione, e siamo arrivati al punto che anche il corteggiamento è una molestia”. Accanito oppositore del femminismo, Taki si definisce un esponente del movimento pro women: “Amo le donne, le corteggio, mi offro, ma non mi sognerei mai di costringere nessuna a fare ciò che non vuole. Si è perso un certo buonsenso nel valutare le cose, una certo realismo direi. Una sera tardi mi ha chiamato una editor del giornale, che è una persona che conosco bene ed è anche molto attraente, voleva sapere che fine aveva fatto il mio articolo. Le dico che lo sto scrivendo, ma che sono ubriaco, quindi non è semplice finirlo. Lei mi fa: ‘Ma come ubriaco?’ e io ‘sì, vuoi venire a controllare?’. La mattina dopo le ho fatto avere un biglietto in redazione scusandomi per aver suggerito, anche se con un’iperbole da ubriaco, un invito notturno a casa mia. Mi ha chiamato ridendo, ha detto ‘sei pazzo’, non era minimamente offesa né aveva frainteso alcunché, perché era tutto chiaro nelle cose. E’ la stessa idea per cui mio padre entrava nella sua fabbrica tessile e diceva a quella ‘bel vestito’ oppure ‘con quel trucco non troverai marito’, faceva complimenti e osservazioni, e tutte le prendevano come tali, nessuna s’è mai sognata di lamentarsi, e non perché era il padrone. Oggi invece quando si parla di uomo e donna non c’è più quel livello di comprensione, di rapporto umano, è tutto un fatto di diritti, di avvocati, di oppressioni. Che palle”.

 

All’origine dello scandalo c’è uno scontro di potere che si innesta
su uno “stravolgimento culturale della relazione fra uomo e donna”

C’è qualcosa di eminentemente americano e puritano, secondo Taki, in questa diseducazione sentimentale, “in Europa, specialmente nell’Europa mediterranea, ancora c’è la possibilità di avere rapporti non completamente viziati dallo schema femminista”, dice, lui che di recente ha scritto sul Taki’s Magazine, gestito dalla figlia Mandolyna, un atto d’accusa contro la sua amata New York, il “bagel raffermo” che ha sperperato il suo glamour e la sua energia per seguire le noiose illusioni egalitarie della correttezza politica. Per reagire all’uomo che ci prova, il molestatore senza violenza che oggi è sul banco degli imputati (non c’è dubbio su qual è il posto che merita quello violento), le donne hanno a disposizione la più femminista delle opzioni: dire no. Inevitabilmente si materializza un aneddoto conclusivo: “Tanti anni fa mia moglie ha ricevuto una sontuosa offerta di lavoro da Vogue Italia. Dopo il colloquio le hanno subito offerto il posto e lei si è trasferita immediatamente a Milano da Parigi, dove allora eravamo molto spesso. Dopo qualche giorno la vedo ritornare a Parigi: ‘Cos’è successo?’. Mi dice: ‘Cosa vuoi che sia successo?, il mio capo voleva che andassi a letto con lui, io ho rifiutato e mi sono licenziata’. Io un po’ volevo andare lì e spaccargli la faccia, devo confessarlo, ma lei ha insistito: ‘lascia perdere non ne vale la pena, ho detto di no e me ne sono andata’”.