Sotto processo non è il maschio stupratore ma la figura del maschio in quanto tale
Weinstein ma non solo. La resa alle circostanze e la fuga dalle responsabilità è stata indecente più delle accuse di abuso ed è una prova di ferro del carattere fanatico della grande crociata antimaschile andata in scena nel circo delle nuove molestie
Mi sono domandato che cosa sarebbe successo se Harvey Weinstein avese replicato a brutto muso che lui è un famoso tombeur de femmes, un seduttore dongiovannesco, un uomo potente che sforza le sue Zerline (“vorrei e non vorrei, mi trema un poco il cor”), uno che magari merita l’inferno dei peccatori incalliti ma attende un giusto processo per accertare che cosa siano penalmente come siano provate o dimostrabili le famose manipolazioni attraverso cui riceveva attrici vogliose di ottenere una parte, partecipare a un sogno artistico e commerciale, e poi a dir loro le avrebbe abusate o stuprate. E per il resto fanculo, fanculo, fanculo, e “questa donna pagata io l’ho”, visto che i casi di patteggiamenti per denaro non sono pochi.
Che cosa sarebbe successo se la caccia alle streghe non lo avesse messo, con un filtraggio di testimonianze e di immagini isteriche, nelle condizioni del mostro che deve scusarsi, poi esprimere vera contrizione, poi riabilitarsi in una clinica dell’Arizona (ma che ritrovato mai hanno i medici contro le pulsioni sessuali brutali di un maschio infoiato che fa il dongiovanni?).
Se non avesse dovuto precipitarsi fuori della sua casa di produzione, autolicenziarsi per salvare il salvabile, rinnegato da un fratello e socio che a sua volta è poi incorso in denunce di maltrattamenti vari, in un fosco clima da caduta degli dèi, con i poliziotti di Manhattan che vogliono arrestarlo senza tentennamenti e il capo della procura della stessa città che invita alla prudenza perché ci vogliono le prove, e già nel 2015 una denuncia di Ambra Battilana non aveva avuto seguito giudiziario per fumosità varie (Cyrus Vance, il district attorney che ci va con le molle per casi risalenti a anni fa, è lo stesso che sbattè in galera sotto l’incalzare di una denuncia immediata dopo il fatto Dominique Strauss-Kahn, ma si rifiutò di imbastire un processo perché nella denuncia emersero elementi di interesse e di tendenze estorsive nonostante l’atto sessuale consumato in una stanza di albergo fosse provato dall’analisi del Dna).
Che cosa sarebbe successo se Kevin Spacey avesse replicato che le sue sono questioni private di un dongiovanni gay, che è vittima di indecenti accuse di “abuso ambientale” da parte di gente che pensa di fare giustizia imputandogli di avere “intossicato” il set di House of cards (intossicato: ma vadano a raccontarla ai giudici di un tribunale), se quei codardi di Netflix, avanguardia del turbocapitalismo nella comunicazione politicamente corretta, avessero detto a giornali e tv bavosi che Spacey è il più grande, che non intendono affatto separarsi da un simile talento, che aspettano risultanze giudiziarie chiare prima di esprimere una qualunque valutazione, e intanto ciack, si gira. Che cosa sarebbe successo se il ministro della Difesa britannico avesse detto che non è serio cacciare il capo civile di un esercito con l’atomica per aver fatto piedino anzi ginocchino a una donna che non si sente affatto traumatizzata per questo e mette on line l’immagine delle sue ginocchia dicendo con ironia che sono ancora intatte. E se Theresa May avesse invitato a non far ridere il governo di Sua Maestà con queste storie e pettegolezzi da stampa gialla. Che cosa sarebbe successo se non fosse dilagata in Francia, in un clima di resa ideologica al moralismo sottoculturale, una specie di celebrazione della delazione la più disordinata come “liberazione della parola delle donne”.
Il fatto grave, che dà da pensare, che mette perfino un puritano peccatore ma passabilmente signorile come me in imbarazzo, e lo costringe a scrivere queste cose, è proprio l’inchinarsi rispettoso o meglio codardo alla caciara indecorosa che travolge non i maschi strupratori ma la figura del maschio in quanto tale, e le sue pulsioni fuori controllo, ed esalta una visione ridicola, anzi grottesca, della donna che fa appello alla polizia au quotidien, che si sente manipolata e abusata dovunque avvengano palpeggiamenti ormai equiparati a stupro e violenza contro la persona, il che è comico. La verità è che siamo tutti intimiditi, tutti potenziali carnefici, tutte potenziali vittime, e non perché lo si sia stabilito con procedure accettabili di accertamento, in particolare quelle giudiziarie su querela di parte, ma perché lo comanda l’ideologia, il rovesciamento ideologico, che non poteva tardare, della favola dell’amore e della galanteria e della seduzione e del dongiovannismo e del rapporto di potere tra i sessi, rapporto di scambio, in una storiaccia di orchi e animali da sacrificio.
Quanti sono i potenti che hanno rinnegato ogni possibile dignità personale nella autodifesa? Come si sono comportati di fronte al dilagare di accuse non sempre, per essere eufemistici, caratterizzate da serietà e responsabilità? Vi ricordate l’isterismo del caso Barilla, quando la casa del Mulino Bianco fu travolta dallo scandalo perché nelle sue strategie di comunicazione – così disserro, e al massimo era una stronzata, non una cosa da far venire giù il mondo – la famiglia tipizzata della coppia con bambini che mangia biscottini friabili non poteva prevedere un’unione gay, e invece dovettero subito piegarsi, per la logica del mercato e del marketing, a una pietosa autocritica e siamo finiti con gli spot etero-omo a maketing unificato in men che non sin dica? Forza, diciamolo. La resa immediata alle circostanze e la fuga dalle responsabilità è stata indecente più delle accuse di abuso, è non un indizio ma una prova di ferro del carattere fanatico e antigiuridico della crociata antimaschile, e magari antigay, che è il portato di una sottocultura incartata nella sua onnipotenza, mentre il presidente degli Stati Uniti è stato eletto nonostante il suo groping verso le attricette e le pin up e il ministro della Difesa a Londra se ne va nel disdoro per un ginocchino di anni e anni fa. Che indescrivibile orrore orwelliano è questo. I bruti sono bruti, i cafoni sono cafoni, le denunce sono diverse dalla delazione postuma, e la libertà della parola femminile non c’entra un tubo, c’entra la strana e contorta voglia di vivere in un mondo di buffonesche precettistiche corrette, punto.
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