Le Trabant dopo sessant'anni sono diventate cose per hipster (democratici)
Il 7 novembre 1957 l'azienda automobilistica della Ddr lanciava il suo primo modello, la P50. Una macchina che ora rivive tra i giovani benestanti della Germania Ovest
Un'attesa di tre anni. Trentasei mesi che sembravano infiniti e tanti iniziavano a essere i musi lunghi, gli scontenti, i disillusi dal mancato miracolo, dalla realizzazione del sogno motoristico della Ddr, la Repubblica democratica tedesca. Certo a muoversi ci si muoveva, c'era la AWZ P70, quello che chiamavano "macinino", un auto da 800 chili e 80 chilometri orari di velocità massima, fatta nei vecchi stabilimenti dell'Audi con pochi mezzi e poca fantasia. E poi IFA F8, un ferro vecchio fatto sui modelli pre Seconda guerra mondiale, che andava piano, consumava molto e perdeva la traiettoria in curva con una certa facilità. Il resto era qualche rimasuglio di Auto Union o Wolkswagen risparmiate chissà come dai bombardamenti. Intanto però il mondo iniziava a correre e il tanto sbandierato progresso socialista non si vedeva. C'era un paese da motorizzare e farlo in modo veloce, serviva un'idea, un'illuminazione, una automobile del popolo e per il popolo, un motore sociale che potesse trasportare i socialisti tedeschi verso il sol dell'avvenire.
Arrivò la Trabant. Era il 7 novembre del 1957 e il primo lotto di cinquanta esemplari venne consegnato ai primi cinquanta fortunati estratti. E che fortuna che il caso abbia voluto premiare con i primi modelli proprio illustri cittadini che si erano prodigati nel supporto della Repubblica democratica tedesca. Perché se nel mondo occidentale la fortuna è cieca, in quello socialista invece ci vede benissimo. L'est della Germania faceva rombare i diciotto cavalli contenuti nei 499 centimetri cubici della P50 esattamente nel quarantesimo anniversario della rivoluzione d'ottobre, quella che portò il comunismo al potere. La Trabant come un passaggio di consegne. Dalla Russia con rumore, nonostante tutto fosse rigorosamente fatto nella Germania orientale, con ingegneri democratici, materie prime democratiche, motori democratici, ma vidimati democraticamente dalla Madre Russia.
Sessant'anni fa il sogno a motore della Ddr iniziò a muoversi. "Tante piccole macchiette invasero le strade. E tante all'inizio non erano davvero, ma poi lo divennero. Un paese che si compiaceva nel girare dentro scatole di sardine", raccontò a Muro abbattuto Stefan Heym, scrittore scappato dal Reich e convinto socialista a tal punto di rientrare nel 1952 nella Ddr per "rompere le palle" ai governi perché "più autoritari che comunisti".
La Trabant era sparita, inghiottita dal progresso e dalla storia, eclissatasi nei meandri della periferia automobilistica. La Trabant è fallita, come fabbrica, nel 1991, perché antieconomica, perché in perdita, perché mantenuta in vita dallo stato. La Trabant è fallita, come macchina, già negli anni Settanta, perché allora fu chiaro che le P50, P60, e poi la 601 e la 1.1 erano auto per il popolo, ma i progettisti con il popolo non erano molto in sintonia. Auto di vecchia concezione, rumorose, con uno sterzo difficile da manovrare e molto, molto scomode. "Ricordo ancora la via da Schwarzenberg a Techentin. Il percorso è lungo circa 450 chilometri. Una distanza che può essere comodamente coperta in quattro e mezzo o cinque ore al massimo con un auto normale. Forse anche in meno con le auto di oggi. Ma a metà degli anni Ottanta, quando andavo in vacanza con i miei genitori dai miei nonni, ci volevano almeno sette ore" ricorda sul Sueddeutsche Zeitung, il giornalista e scrittore Thomas Harloff. Racconta di un'automobile scomoda, al limite del mal di schiena, che andava piano e male, che qualche volta decideva di non partire, ma che essendo costruita in modo dozzinale era facile da sistemare anche da chi era a corto di competenze motoristiche "ma sapeva aggiustare molte cose".
La Trabant era sparita. E' più viva che mai. Perché se dall'Est è stata cancellata, scacciata, ripudiata, ad Ovest è tornata, accettata, voluta. Dai sedili nei quali si affonda, dalle portiere che cigolano escono giovani ragazzi dai pantaloni buoni per l'acqua alta a Venezia, calzini a fantasia, camicie sgargianti e parka militari. Hipster, ma democratici, figli dell'Occidente che dell'Occidente si bullano e girano su ferri vecchi, un tempo schifati ora di moda. Le Trabant hanno conquistato la Ruhr, Amburgo, i centri ricchi della Sassonia. La Baviera no, ma lì sono tradizionalisti e innamorati della loro bandiera a quadri bianco e blu con i due leoni e lo scudo regionale al centro. Le scatole di sardine di Stefan Heym hanno superato la Ddr e sono diventate simbolo di quanto più occidentale ci sia al mondo, la passione per il vecchio, per il vintage, per tutto quello che è scomodo ma bello, puro gusto estetico, edonismo.
(foto LaPresse)
Negli ultimi dieci anni il numero di reimmatricolazioni di Trabant in Gemania è salito da poche decine a diverse migliaia, dicono i dati della motorizzazione tedesca. Carcasse di auto dimenticate nei fienili o parcheggiate senza targa chissà dove per non pagare le tasse di demolizione sono state rimesse in sesto e in moto. E senza nemmeno troppa fatica. Perché il motore andava poco, ma era basilare, facile da riparare o da sostituire, perché soprattutto il pianale era solido e la superficie esterna, se non lasciata troppo alle intemperie o in zone marine, reggeva bene il tempo. Il Duroplast, il composto chimico che coprivano le auto, un misto di polvere di resina e cotone, infatti si macchia ma regge bene il tempo in assenza di sale. A tal punto bene da sembrare perfetto e mascherare le sue falle, ossia il fatto di non essere perfettamente impermeabile. Le particelle d'acqua passano, raggiungono lo scheletro dell'auto e lo iniziano a corrodere. Un ammasso di acciaio (messo male) in movimento.
E pagato caro.
Il costo di una Trabant infatti negli ultimi dieci anni è aumentato del 77 per cento (dati dell'Istituto di statistica tedesco) e ora raggiunge, per i modelli più vecchi e messi meglio, anche i sei/sette mila euro. Ma per girare a settanta all'ora verso il sol dell'avvenire in molti sono disposti a pagarli.