L'Alice nera del Calendario Pirelli che vuole intercettare lo spirito del tempo

Marianna Rizzini

La presentazione a New York dell'edizione 2018, ispirata al romanzo di Lewis Carroll, con fotografie del britannico Tim Walker e con modelle, modelli, attrici, attori, rapper e drag queen rigorosamente di colore. Ma non è una scelta “black pride”

New York. Fuori ci sono, in ordine sparso: il freddo, il vento, il caso Weinstein, i commenti al caso Weinstein, il caso Trump-Russia (mezzo risolto), la meraviglia della New York gelata con il sole e i preparativi per la parata dei reduci di guerra. Dentro c’è il Calendario Pirelli, edizione 2018. Calendario da presentare al mondo il 10 novembre, dopo le anteprime viste dai non-neofiti. E quest’anno, cosa che i neofiti (eccoci) apprendono poco prima di partire, il Calendario è ispirato ad “Alice nel paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll, con fotografie del britannico Tim Walker e con modelle, modelli, attrici, attori, rapper e drag queen rigorosamente di colore. Ma non è una scelta “black pride”, quella di Walker, spiegano lo stesso Walker, la set designer Shona Heat e lo stylist Edward Enniful.

 

E però di correttezza politica s’ammanta l’opera. Come l’anno scorso, ma in senso diverso: lì si trattava di bellezza senza trucco, fotografata in bianco e nero da Peter Lindbergh senza photoshop, con Nicole Kidman, Uma Thurman e Julianne Moore con le lentiggini e le rughe e i capelli al naturale. Raccontare la realtà senza infingimenti, era stato il cuore dell’edizione precedente ma, spiegano gli habituès, anche per il presente e il futuro l’idea è di andare oltre il modello di Calendario Pirelli anni Ottanta e Novanta, inoltrandosi in territori sconosciuti, sperimentando sulla diversità (estetica? sociale? razziale?). E dunque la parola magica – sperimentare – nel caso di Walker significa prendere Alice e “capovolgerla”, dice, ma non nella direzione di Tim Burton nel film con Johnny Depp-Cappellaio Matto surreale. Voleva “andare al cuore dell’immaginazione” di Carroll, Walker, ispirandosi al primo illustratore del libro, sir James Tenniel. E il capovolgimento pare intanto cromatico-stilistico: il rosso dell’abito di velluto della regina di cuori RuPaul, drag queen e attore, che sfida l’azzurro dell’Alice-Disney che tutti hanno in mente; il nero della gabbia della Naomi Campbell “tagliatore di teste”, le scarpe non da brava-bambina della modella sudanese-australiana Aduk Akech e l’acconciatura di Whoopy Golberg-Duchessa con maialino in braccio.

 

 

Ma è capovolgimento soprattutto rispetto all’idea di Calendario Pirelli classico, quello con bellezza statuaria su sfondo esotico: man mano che intercetta lo spirito del tempo che ha per bandiera il politicamente correttissimo “rispetto delle diversità”, il Calendario diventa politicamente scorretto con l’immaginario collettivo che da sempre lo vive come celebrazione della bellezza patinata. Ma “il vento cambia”, dice il rapper Sean “Diddy” Combs: “Prima eravamo re e regine, è il momento di tornare a esserlo”. Così l’Alice-nera si immerge nel mondo troppo grande o troppo piccolo dove ogni pozione o dolcetto ti trasforma in gigante o lillipuziano, e dove i funghi sono già allucinogeni per volere del Carroll ottocentesco, già cronista a suo modo di diversità (che nel romanzo si fanno paurose, ambigue o grottesche).

 

E, nella bolla senza tempo dell’Hotel Pierre, si apprende che nel cast ci sono nomi ancora più in linea con lo spirito del tempo: l’attivista gambiana per i diritti delle donne Jana Dukureh, l’avvocatessa-modella sudafricana Thando Hopa e la modella-femminista ghanese Adwoa Aboah. Ma Walker insiste: volevo solo ri-raccontare una favola in modo originale. Lo ripete fino a quando il Calendario non approda alla festa al Manhattan Center, tra rosse rosse da Regina, carte da gioco volanti sui megaschermi, luce bluastra per l’effetto sogno-incubo e il corridoio-attraverso lo specchio con pavimento vetrato che nessuno stiletto può rovinare (“Miss, può camminare sul tappeto, per favore?”, ripete gentile l’addetto alla sicurezza a ogni ticchettìo di tacco inavvertitamente trasgressore).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.