Meglio casalese che molestatore. Il boss Zagaria contro il circo mediatico Rai
Il codice penale e quello criminale. Ma lo sputtanamento è peggio
Questione di codici. I codici – d’accesso, penali, di comportamento – sono un nostro assillo quotidiano. E menomale che abbiamo dei Grandi fratelli che li controllano per noi, soprattutto quelli comportamentali. Anche il capoclan dei casalesi Michele Zagaria, detto Capastorta, ha un suo problema di codici. Non solo penali, ma pure morali, se ci passate la parolaccia. Perché si può stare chiusi a chiave nel gabbio di Opera, ma quando il circo mediatico è troppo, stroppia. L’altro giorno era collegato dal carcere di Milano con la Corte d’assise di Napoli, un altro processo per due omicidi. Capastorta non è proprio un damerino da invitare a un’assemblea del Brancaccio, ha tre ergastoli, uno passato in Cassazione, omicidi e altro. Già lo aveva mascariato come un materiale gommoso da storytelling Roberto Saviano, e fin qui uno se ne può fare una ragione. Ma quando si esagera.
L’altro giorno al processo Zagaria ha chiesto di rendere spontanee dichiarazioni e si è messo a menare la Rai come nemmeno Aldo Grasso. La Rai trasmette la seconda stagione di “Sotto copertura”, fiction di ambientazione camorrista in cui Zagaria recita, per interposto Alessandro Preziosi, il ruolo del Cattivo. E già s’era lamentato, Zagaria, perché ritiene troppo romanzata la ricostruzione della sua cattura. Ma a tirarlo fuori dai codici è stato un passaggio di sceneggiatura in cui si racconta di un suo interessamento sessuale nei confronti di una minorenne. E assassino anche sì, ma pedofilo e porco, di questi tempi, no. Ha fatto causa alla Rai, vuole centomila euro di danni. All’udienza s’è legato il filo del microfono al collo e ha minacciato: mi resta solo il suicidio.
Ora, è anche vero che i criminali e le malavite di tutto il mondo hanno i propri codici d’onore, se non etici, e di certo una loro deontologia interna e riconosciuta. La violenza sui minori, quella sessuale peggio ancora, è sempre stata bandita, alle nostre latitudini, persino nei peggiori bar di Casapesenna. O almeno è stato così, fino a quando i Brusca Brothers non decisero che era lecito sciogliere i bambini nell’acido. In ogni caso, chi fa i suoi comodi coi minori in carcere ha sempre subìto la giustizia sommaria dei suoi colleghi. Un codice riconosciuto, probabilmente ancora valido, e dall’accusa è meglio tenersi lontani, anche se sei il boss dei casalesi.
Poi però ci sono i codici televisivi, e quelli del circo mediatico giudiziario. I codici dell’enciclopedia (direbbero i semiotici) con cui si fanno le fiction. Che motivo c’è – se non rincorrere per fini di audience il giustizialismo già incistato nel pubblico, al pari della propensione ad acquistare la Nutella – di fare una fiction su un detenuto che ha ancora un processo in corso? Ma c’è di più. C’è un codice socio-culturale, taciuto ma riconoscibile, per il quale una fiction tv, nella sceneggiatura, si sente in dovere di mettere il nuovo ingrediente prezzemolo: la pedofilia, la molestia. Che ne ricava il pubblico, in sede di racconto e di veridicità dello stesso? Niente, però piace. E piace perché è il nuovo tema (anche prima di Kevin Spacey) del circo mediatico-giudiziario. Vuoi che non entri nel circo seriale televisivo?
Infine c’è il problema del ribaltamento dei codici, e chissà se gli screenwriter della Lux Vide ci hanno pensato. La classifica dei reati, e anche dei peccati, è fatta a scale. Una volta in cima c’era l’omicidio, oggi per una ammazzatina ti becchi al massimo sedici anni, rischia che esci prima di un corrotto della briscola ma soprattutto di uno stupratore o di un molestatore. E pure Zagaria, che è un casalese ma forse nel suo animo un po’ anche un casaleggese, ha capito che a tutto si può resistere, anche in galera e nella Terra dei fuochi. Ma un sospetto di molestia, come un Fausto Brizzi qualsiasi, questo è troppo. E ha capito, prima di tanti soloni, che a dettare il codice e la classifica dei reati è il circo mediatico: non la legge e nemmeno più la malavita.
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