In ginocchio da Bill
Monica e le altre, sembra un secolo fa. Anche per Clinton, allora salvato dalle femministe, si avvicina la resa dei conti
Sono infinitamente lontani i tempi in cui Nina Burleigh, giornalista e femminista, raccontava con trasporto erotico di quella volta in cui aveva giocato a carte con Bill Clinton sull’Air Force One, e alla fine della partita lui aveva posato gli occhi sulle sue gambe nude, desiderandola. Lei non solo non aveva disdegnato, ma, fantasticando, aveva sperato che da cosa potesse nascere cosa. Sognava che un emissario con abito scuro e auricolare le comunicasse il desiderio del presidente di vederla per un drink nella sua suite quella sera, nell’albergo dove alloggiavano la delegazione della Casa Bianca e i giornalisti: “Lo sguardo attratto di un uomo potente è il segno di tutto ciò che è inaccessibile, e questa è la seduzione definitiva”, aveva scritto in un resoconto ad alto tasso ormonale nel magazine Mirabella. Quando un cronista le aveva chiesto di chiarire meglio il nesso fra il femminismo e la fascinazione per l’uomo potente che usa il suo potere per attirare le donne nella sua rete, lei aveva dato una risposta che è rimasta negli annali: “Sarei felice di fargli un pompino soltanto per ringraziarlo di aver mantenuto legale l’aborto. Penso che le donne americane dovrebbero fare la fila con le loro ginocchiere presidenziali per mostrare gratitudine a chi ha tenuto lontana la teocrazia”.
Nina Burleigh negli annali: "Sarei felice di fargli un pompino soltanto per ringraziarlo di aver mantenuto legale l'aborto"
L’argomentazione fondamentale per giustificare la condotta del presidente nel trattare le donne era, per Burleigh, l’impegno che questo metteva nella difesa di certi principi non negoziabili. Impedire che l’America si trasformasse in una versione evangelica dell’Iran – e soprassediamo sulla plausibilità di questo scenario – era un compito che valeva bene una certa licenziosità nello Studio Ovale, fosse anche stata perpetrata usando le antiche leve del potere patriarcale verso femmine psicologicamente immobilizzate. Non era forse l’ideale, ma davanti a Bill ci si poteva tranquillamente inginocchiare. Nella Realpolitik femminista di Burleigh il fine giustificava la fellatio di Monica Lewinsky e rimpiccioliva, fino a screditarle, una serie di altre accuse mosse da varie donne al presidente.
Gloria Steinem aveva notoriamente aggiunto a queste considerazioni altre giustificazioni basate sulla legge suprema del consenso: “I commentatori smetterebbero di chiacchierare sui sondaggi favorevoli al presidente, specialmente fra le donne, se capissero le linee guida di buon senso sui comportamenti sessuali che sono venute fuori dal movimento femminista trent’anni fa. No significa no, sì significa sì. E’ la base della legge sulle molestie sessuali. E spiega anche perché l’ossessione dei media per il sesso in quanto sesso è offensiva per alcuni, maliziosa per molti e totalmente irrilevante per quasi tutti. Come la maggior parte delle femministe, la maggior parte degli americani inizia a preoccuparsi del comportamento sessuale quando la volontà di qualcuno viene violata, cioè quando il ‘no’ non viene accettato come risposta”, aveva scritto sul New York Times nel periodo fra le accuse di Paula Jones e quelle di Kathleen Willey. Jones raccontava di essere stata convocata in una camera d’albergo in Arkansas, dove Clinton le ha mostrato il pene e le ha chiesto di fare sesso orale; la seconda invece ha detto di essere stata molestata nello Studio Ovale, dove il presidente avrebbe allungato le mani senza permesso, strusciando il suo corpo eccitato contro di lei. Steinem aveva liquidato il tutto così: “Anche se le accuse sono vere, il presidente non è colpevole di molestie sessuali. E’ accusato di aver fatto una volgare, scema e imprudente avance a una sostenitrice durante un passaggio delicato della sua vita. Lei lo ha spinto via, dice, e non è più successo nulla. In altre parole, il presidente Clinton ha accettato ‘no’ come risposta”.
Le nuove linee guida non lasciano scampo
al presunto molestatore, e non è concesso
di dubitare
della testimonianza
delle vittime
Era il 1998, ma sembra passata un’eternità. E questo senza considerare il caso, scoppiato l’anno successivo, di Juanita Broaddrick, volontaria di una delle campagne per il governatorato dell’Arkansas che dice di essere stata sopraffatta con la forza e violentata dall’allora candidato. Il caso Weinstein e la conseguente weinsteinizzazione di tutti i maschi che in modo ricattatorio sfruttano una posizione di potere per portare a letto ragazze più deboli ha messo in fuorigioco lo standard che s’applicava quando Clinton era nella bufera, periodo in cui, non per caso, andava in scena una lotta intestina fra le donne che accusavano l’orco della Casa Bianca di molestie e un gruppo di femministe che le raffigurava come pazze prezzolate dai conservatori. Le cose oggi sono molto diverse, e infatti il “sesso in quanto sesso” non può più essere irrilevante per quasi tutti, a partire da quelli che ogni giorno vengono accusati e istantaneamente condannati dal severo tribunale dell’opinione pubblica per episodi in cui è difficile discernere, e spesso impossibile provare, se e in che misura il consenso è stato violato. Le nuove linee guida non lasciano scampo al presunto molestatore e non è concesso a nessuno che voglia definirsi perbene di dubitare delle testimonianze delle vittime. Dagli armadi della memoria sono usciti Weinstein che fa i provini in camera da letto, James Toback che offre parti in cambio di sesso, Mark Halperin che fa sedere le stagiste sulle ginocchia, Kevin Spacey che ci prova con i ragazzini, Leon Wieseltier che s’allarga con le colleghe, Dustin Hoffman che tocca le tette a Meryl Streep, Louis C.K. che si masturba davanti alle ragazze e chissà cosa ancora. Roy Moore, candidato al Senato in Alabama accusato di avere frequentato delle minorenni quarant’anni fa, ha inaugurato il ramo politico del grande processo all’orco, Al Franken si è messo subito in scia, offrendosi come sparring partner democratico, per via di un bacio rubato in uno sketch con una ex modella di Playboy e di una foto che doveva essere goliardica ma non lo era, non per gli standard vigenti. Come in un romanzo distopico, è stato lui a richiedere l’intervento della commissione etica contro se stesso. A giudicare dalle voci che circolano, le commissioni di Camera e Senato avranno molto lavoro da fare nei prossimi mesi. Anche George H.W. Bush ci è finito dentro, e ci sono donne che lo additano per malefatte commesse nella fase pre e post sedia a rotelle.
Al pantagruelico banchetto dell’inappropriate si può forse non invitare Bill Clinton, il più potente fra accusati di molestie negli ultimi decenni? Non era forse lui una specie di proto Weinstein, colpito da accuse che vanno dallo stupro al groping senza il consenso dell’interessata, mentre tutt’intorno spin doctor e giornalisti amici distruggevano la credibilità delle testimoni? Al tempo dei fatti la procedura d’incriminazione nel processo mediatico era più complicata, sollevare domande e perplessità sui racconti delle vittime non era un’eresia, persino le femministe facevano distinzioni, s’appellavano al buon senso, non erano estranee all’idea del compromesso per salvare certe idee. Oggi il vento è cambiato. Kevin Spacey viene tagliato via dalla pellicola in post produzione per una inverificabile testimonianza di molto anni or sono, come se la caduta nella disgrazia morale avesse trascinato con sé anche il talento artistico celebrato per decenni.
"Le donne coinvolte
nei suoi scandali hanno prove più credibili
di molte fra le accuse che sono emerse
nelle ultime cinque settimane"
Poiché tutte queste storie provengono dal passato, non hanno particolare bisogno di prove per affermarsi e puniscono retroattivamente i colpevoli, i più integerrimi fra i liberal hanno iniziato a dire, vincendo una certa riluttanza, che è ora di rivedere anche il giudizio su Bill. E’ il passaggio necessario per potersi permettere un metro di giudizio così stringente. Chris Hayes della Msnbc ha aperto le danze: “Per quanto sia cinica e ipocrita sia la storia della destra su ‘e allora Bill Clinton?’, è anche vero che il democratici e la sinistra dovrebbero fare da molto tempo i conti con le accuse contro di lui”. La femminista eterodossa Caitlin Flanagan non ha perso l’occasione per lanciare sull’Atlantic una resa dei conti sul caso Clinton, dal momento che “le donne coinvolte nei suoi scandali hanno prove molto più credibili di molte fra le accuse che sono emerse nelle ultime cinque settimane”. La grande differenza fra allora e oggi, spiega, è che ora crediamo alle vittime. Non solo, occorre aggiungere: ora è obbligatorio credere alle vittime. Dopo #metoo e #youtoo? viene inevitabilmente #Ibelieveyou, professione di fede nella testimonianza delle donne abusate che diventa anche un atto di redenzione, un’ammenda per tutte quelle volte in cui le vittime si sono fatte avanti ma nessuno ha prestato loro fede. Il risultato è che fare domande ad Asia Argento sui suoi rapporti con Weinstein dopo l’assalto equivale a rinchiudersi per sempre nel lato sbagliato della storia. Per Flanagan, a salvare Clinton dalla dannazione non era stato tanto James Carville e la sua sapiente struttura comunicativa, era stata la “macchina femminista” che aveva deciso di agire da ufficiale di complemento del Partito democratico. Senza le Steinem e le Burleigh, forse il presidente non se la sarebbe cavata con qualche patteggiamento e le ammissioni di un paio di scappatelle extraconiugali. Per decenni la saga delle accusatrici di Clinton è stato un tormentone dei media di destra, e anche Trump nell’ultima fase della campagna elettorale le ha arruolate per attaccare la famiglia Clinton, ma la vicenda è rimasta sostanzialmente confinata nei recinti dell’opposizione, dove circola qualunque cosa, da un giro di prostituzione gestito dai Clinton nel retrobottega di una pizzeria di Washington fino all’assassinio di un consigliere politico ordinato dal presidente in persona. La novità è che la resa dei conti con la storia sta diventando inevitabile anche per la sinistra.
Michelle Goldberg, altra opinionista femminista di recente aggregata al parco dei commentatori del New York Times, ha scelto le ginocchiate invece delle ginocchiere per trattare il caso. Ha intitolato la sua ultima column: “I believe Juanita”. Goldberg non è persuasa dalle accuse di Jones e Willey, troppo cariche di contraddizioni e testimoni che ne hanno infangato la credibilità, ma crede a Broaddrick e a quel racconto così simile a quello delle vittime di Weinstein. L’invito a prendere un drink nel bar dell’albergo, un improvviso cambio di programma, il dirottamento in camera e il resto si sa. Che cos’hanno le accusatrici odierne, ad esempio quelle di Roy Moore, alle quali credono tutti, compresi i maggiorenti del partito repubblicano, che Broaddrick non ha? L’opinionista del Times svolge le premesse collettivamente accettate oggi sul tema delle molestie e deduce correttamente una conclusione: “E’ giusto concludere che a causa delle accuse Broaddrick, Bill Clinton non ha più posto nella società dei presentabili”. Con una postilla che suona come un colpo alla botte: nel dubbio, “dobbiamo tendere a credere alle vittime, ma a volte questa posizione sarà usata contro di noi”. Chelsea Handler, comica engagé in guerra permanente contro Trump e in difesa delle donne, è finita dentro alla contraddizione twittando a proposito di Moore: “Immaginate di essere state molestate da un uomo più grande. Poi questo uomo nega di averlo fatto e va avanti finché non viene eletto nel Senato degli Stati Uniti. Che messaggio manda questo alle ragazze più giovani? E agli uomini che molestano le donne?”. Broaddrick ha risposto: “Sì, posso immaginare. Sono stata stuprata dal procuratore generale dell’Arkansas, che poi è diventato governatore e presidente, e la Nbc ha congelato l’intervista in cui dicevo dello stupro fino alla sua testimonianza nel caso di impeachment. Ma sono sicura che di questo non vuoi parlare”. A quel punto Handler non poteva più fare retromarcia: “Hai ragione e chiedo scusa per il fatto che non sono al corrente della tua storia. Democratici e repubblicani e tutti gli altri partiti politici devono migliorare e rispettare i racconti di prima mano delle vittime. Io ti credo”.
Si puniscono retroattivamente
i colpevoli, e i più integerrimi fra i liberal hanno iniziato a dire
che è ora di rivedere anche il giudizio su Bill
Con un esperimento mentale nemmeno troppo complicato, si può provare a immaginare come sarebbe un mondo in cui ogni accusatrice di molestie subite decenni prima, armata della sua testimonianza come unica prova, viene accolta con un “io ti credo”. E’ un mondo di orchi in attesa di essere puniti, anzi un mondo di uomini in attesa di essere proclamati orchi. Chi promuove il nuovo mood di espiazione universale dei peccati del maschio alfa non può non affrontare l’imbarazzante incontro, vent’anni dopo, con Clinton e la nube di sospetti femministi che da sempre aleggia sopra di lui. E’ il tempo in cui si distruggono gli idoli di Hollywood con la clava dei soprusi e si smantellano le statue del generale Lee per ripulire la memoria americana dall’onta della schiavitù. In questo clima, anche il monumento vivente dei democratici di tutto il mondo non sembra passarsela granché bene.
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