La scelta di Dibba
Al netto delle insinuazioni, ha fatto una cosa nuova. Purché ci risparmi l’epica del padre eroico
Non era mai successo prima. Almeno non a un uomo. Rinunciare (“per adesso”, ma c’è qualcosa nella vita che non sia per adesso?) a una rielezione sicura, a una vita politica in tranquilla ascesa dentro una quasi giovinezza scanzonata. Anche se fosse una tattica, non esistono precedenti. Alessandro Di Battista, che nei suoi Diari raccontava di avere scoperto il problema delle favelas brasiliane ma anche la soluzione al problema delle favelas brasiliane, ha da qualche mese scoperto che cosa significa diventare padre, ci ha scritto sopra un libro (questa in effetti non è una novità: l’esplosione editoriale della paternità è inarrestabile) e ha deciso di dedicarsi alla nuova vita e alla condivisione delle continue, quotidiane rivelazioni, ad esempio gli escamotage per superare le prime notti: “Mi sono ricordato del rumore del phon che avevo registrato in ospedale. Ho preso il cellulare e l’ho fatto partire. Andrea si è tranquillizzato all’istante. Pare che il suono di un phon o di un aspirapolvere sia una rumore bianco e che i rumori bianchi calmino i neonati. Mi sentivo come uno scienziato che aveva appena fatto la scoperta del secolo”. C’è qualcosa di ingenuo e insieme furbo nello stile di Alessandro Di Battista, il più amato dentro il Movimento 5 stelle, che ha appena rinunciato al secondo mandato perché vuole fare politica viaggiando, scrivendo e educando suo figlio alla libertà. E’ lo stile del più popolare della scuola, capace di mettersi sempre al centro e di stare simpatico anche ai professori, pur facendo casino. Come quando cercò di buttare giù la porta di una commissione parlamentare da cui credeva di essere stato lasciato fuori usando un busto di marmo di Giovanni Giolitti.
Per una capacità pre intellettuale, un po’ più che istintiva, un po’ meno che strutturata, Alessandro Di Battista ha fatto una scelta moderna, concreta, forse ha lanciato una moda che potrebbe avere conseguenze anche spaventose sulla vita domestica di una famiglia in cui il padre accenda continuamente il phon o l’aspirapolvere per calmare suo figlio con i rumori bianchi, e dica alla compagna: adesso ti spiego io come si fa, e annoti le scoperte e le voglia annunciare al mondo dei padri e delle madri. Siamo molto felici se un padre decide di portare suo figlio dal pediatra, al parco, a nuoto e in viaggio per il mondo. Anche se decide di educarlo a essere “sufficientemente ribelle”, va benissimo. Ma siamo molto meno felici, anzi atterrite, se l’epica dei nuovi padri ci imporrà altre conversazioni sui pannolini ribelli, sulla rivoluzionaria marca di marsupio e sugli sbagli delle madri: gli uomini hanno una capacità di stupore e di illusione di scoperta molto superiore alle nostre forze, e in ogni caso devono fare ancora molta gavetta. Però la scelta di Di Battista è un dato di fatto: ha rinunciato a un ottimo stipendio, a un posto sicuro, non ha aggirato le regole. Se fosse anche una tattica, cioè un modo di conservarsi la possibilità di candidarsi a premier, significherebbe che, oltre a quell’innocenza esibita ed entusiasta, oltre allo stile da apostolato eroico, Di Battista ha anche un cervello.
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