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Il Regno Unito ha un problema con il Natale

Stefano Basilico

Guardando le pubblicità natalizie in Gran Bretagna si possono individuare due mutazioni della società. Ecco quali sono

Gli ultimi tre inquilini di Downing Street ci hanno tenuto ad affermare, in un modo o nell’altro, che “il Regno Unito è un paese cristiano”. Ognuno con parole proprie e con il proprio stile, Gordon Brown, David Cameron e Theresa May hanno ribadito più volte l’identità religiosa del paese, in cui il Capo di Stato coincide con la massima carica della Chiesa nazionale.

 

Tuttavia, come spesso accade, la società procede in direzione non sempre parallela ai proclami della politica e questo si riflette più che mai nel periodo natalizio. Le pubblicità sono un’ottima cartina al tornasole di questo atteggiamento.

 

Greggs, celebre catena di panetterie di Newcastle, ha sostituito il bambinello in una scena della natività con uno dei suoi celebri “sausage rolls”. Il prodotto da forno viene venerato dai tre Magi per promuovere il calendario dell’avvento aziendale. Doppia offesa, considerato che se per i cristiani Gesù è il Messia, per gli ebrei il maiale è tabù. C’è poi il negozio di informatica Curry’s PC World, che manda in onda una scenetta familiare. Due genitori con un’aria austera dicono ai figlioletti sovraeccitati: “Quest’anno abbiamo pensato di festeggiare il Natale in modo più tradizionale”. Seguono proposte di canzoni intorno al fuoco e amabili chiacchierate tra parenti. I pargoli paiono amareggiati, finché padre e madre scoppiano in una fragorosa risata rivelando lo scherzone e un faraonico televisore, “perché il Natale è fatto per questo, no?”.

  

Inversamente al declino della società religiosa, cresce la società polemicamente multiculti. Il supermercato Tesco viene minacciato di boicottaggio per aver rappresentato una famiglia musulmana nella sua pubblicità natalizia, segno casomai di buona integrazione. Il negozio di vestiti Littlewoods, al contrario, viene accusato dall’attrice Melissa Johns di non rappresentare adeguatamente la diversità. Gli attori sono tutti bianchi e non appaiono rappresentanti di minoranze etniche o personaggi con disabilità. 

 

Seppure legata al vil denaro, c’è una diatriba anche per John Lewis, il grande magazzino i cui spot natalizi sono i più attesi e cliccati: Chris Riddel, autore di libri per bambini, accusa i pubblicitari di avere plagiato il suo personaggio, “Mr Underbed”. Risultato? Impennata di vendite del suo omonimo volume illustrato.

 

Il polverone scatenato da queste e altre pubblicità è la dimostrazione plastica di due mutazioni della società. Da un lato c’è il gusto della polemica fine a sé stessa e della cavalcata del polverone mediatico fino al suo esaurimento. Un vizio in cui anche in Italia ci crogioliamo con fierezza. Dall’altro possiamo tranquillamente rilevare che l’identità religiosa del Regno Unito è bella che scomparsa. C’è solo una fede su cui non si può scherzare, mentre tutte le altre sono bersaglio di una comicità indecente, non per la sacralità del tema, ma perché figlia di autori irrimediabilmente scarsi. Ugualmente il Natale ormai non ha nulla a che vedere con la cristianità. Il simbolismo legato ai regali, agli alberi decorati, alle luci, al vischio e a Micheal Bublé viene gonfiato fino alla nausea, tanto che già a metà novembre si sogna il rapido arrivo della Befana, il ritorno in ufficio, la fine del supplizio.

 

Rimane, alla fine dei bagordi, l’eco di una domanda senza risposta, amplificato dal vuoto rimasto nel proprio conto in banca: “Perché?”

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