Foto di Quinn Dombrowski via Flickr

Uomini che si mettono a nudo a tradimento e donne che ridono di loro

Giuliano Ferrara

Non si parla del boss che costringe o stupra, ma del 98 per cento delle molestie raccontate, non accertate, e del retroterra di mitomania desiderante che rivelano

La violenza sulle donne è esecrabile. Ma gli adulti dissenzienti, cioè gli amanti o potenziali amanti, si incontrano, si scontrano, si titillano, si propongono, si avvicinano, si toccano, si distanziano, si negano, si danno, si parlano, si tolgono la parola, si scrivono, si desiderano, si giudicano belli, sexy, repellenti, cambiano idea, si scambiano ruoli, soldi, prestigio, schiaffi, ombre conscie e inconscie, e spesso si penetrano e si lasciano penetrare. Una delle più belle, neanche sotto tortura dirò chi me l’ha raccontata, è questa ed è vera. Tre ragazze vanno in gita all'estero, due di loro stigmatizzano la violenza della penetrazione, la terza esita, dubita, non capisce bene di che stiano parlando, pensa che la penetrazione non sia propriamente un atto di violenza. Al ritorno dalla gita le due che peroravano la causa dell’inviolabilità del corpo femminile annunciano liete: siamo incinte. Risate.

 

Non c’è bisogno di essere Michel Foucault o Gilles Deleuze, e nemmeno di averli leggiucchiati, per sapere che il governo di sé come macchine desideranti ha la sua naturale sregolatezza in ogni variante della seduzione. Non c‘è bisogno di essere o di aver leggiucchiato Jean Genet per sapere che “violenza e vita sono pressappoco sinonimi”. Basta Twitter. Basta anche Sarah Silverman, liberal comedian, per sapere che il discorso amoroso conosce frammenti violenti, surreali, comicamente offensivi della comune nozione di umanità: “Vorrei tanto abortire, ma non riesco a farmi mettere incinta”. Per essere poi ancora più spiritosi ricordo che il woman’s right to choose, scegliere, fu canzonato fin nel titolo di una serie che non ho mai visto (non sum dignus) ma tutti hanno visto, “Sex and the City”, con il formidabile calembour: “A woman’s right to shoes”, il diritto di una donna alle scarpe. La manliness, che non è mascolinità bizzarra ma un concetto classico nella versione greco-giudaica-occidentale, secondo Harvey Mansfield, conservatore di Harvard, è disoccupata, e bisognerebbe trovarle un posto di lavoro, e non solo nel ramo sicurezza o protezione.

 

Poi ognuno se la racconta come vuole. Una ragazza giovanissima e meravigliosa, neanche sotto tortura eccetera, sorrideva lieta a cena mentre si parlava con qualche compunzione di molestie e di desiderio, interpellata sulla sua esperienza ha detto: “Sì, ricordo una mattina, stavo stesa a riposare su un divano, fuori c’era una piscina, eravamo un gruppazzo di amici e colleghi, apro gli occhi e vedo un superiore gerarchico nudo, coi calzoncini da bagno abbassati, che mi guarda con una bella erezione. Mi metto a ridere, è finita lì, con qualche vago risentimento”. Questa dell’uomo o del maschio che si mette a nudo a tradimento davanti a una donna, non il suo cuore, ovvio, mi è sempre sembrata la prova, più dell’accappatoio di Weinstein, più dei massaggi e altre cretinate da boudoir, della fragilità maschile nell’esercizio della violenza, sempre esecrabile eccetera. Ma non hanno mai visto uno schizzo di Michelangelo del corpo umano maschile? Via, ci vuole un po’ di discrezione, se non altro per mantenere una qualche autostima. Nella attuale pornosfera da prima pagina, on the record, legislativa, giudiziaria non si tiene conto dell’autocastrazione che si infliggono sperduti maschi in esposizione al tremendo riso femminile. Non parlo del boss che costringe, che stupra, ovvio, quello è un crimine penale, una dimostrazione di perdita del freno inibitorio decisivo nella maledetta vita di una persona, carico di conseguenze per la vittima della violenza, parlo del 98 per cento delle molestie raccontate, non accertate, del retroterra di mitomania desiderante, maschile e femminile, che rivelano queste, e qui ci vuole la parola grossa, “narrazioni”.

 

No dissenso, no party. No dissenters, no sex, no love. Vale per le feste, le conversazioni intelligenti, vale a letto, vale in ascensore, e in autobus perfino. La mano morta è una spaventosa e noiosa sconfitta per la mano, oltre che un insulto all’autonomia di un essere umano. Sono cose che si dovrebbero sapere senza il bisogno che qualcuno le ricordi. Sono appunti che abbiamo tutti preso nella vita, fin da piccoli e piccole, e che continueremo a prendere fino alla fine dei tempi. Gli adulti dissenzienti facciano un po’quello che vogliono, e se non ci sia costrizione materiale, l’abuso di potere morale è una pagliacciata da clinica rehab, da favola hollywoodiana senza adeguata sceneggiatura, un fenomeno di autolesionismo femminile estremamente violento.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.