La guerra dell'Italia ai figli suoi
Rapporto-choc dell’Istat: “100 mila nascite in meno in dieci anni”. E ogni anno assistiamo alla perdita di duecentomila abitanti. Parla Blangiardo: “Sulla demografia si autocensurano tutti. Si aiutino i ceti medi a fare figli”
Roma. Già nel 1979 Adriano Buzzati Traverso scrisse che “le popolazioni della vecchia Europa sono sul viale dell’estinzione, così come avviene per l’orso bruno dell’Appennino”. Il grande genetista e illuminista sbagliò previsione sull’orso marsicano, visto che ne esistono ancora degli esemplari. Ma Buzzati Traverso vide giusto sulla nostra di scomparsa demografica. Ieri è arrivato il rapporto choc dell’Istat sulla natalità della popolazione italiana. Suona come il bollettino di una guerra silenziosa. Nel 2016 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 473.438 bambini, 12 mila in meno rispetto al 2015. Nell’arco di otto anni (dal 2008 al 2016) le nascite sono diminuite di oltre 100 mila unità. Il calo è attribuibile soprattutto alle nascite da coppie di genitori entrambi italiani. I nati da questo tipo di coppia scendono a 373.075 nel 2016. Le donne italiane hanno in media 1,26 figli (erano 1,34 nel 2010), le cittadine straniere residenti 1,97 (2,43 nel 2010). Se prendiamo gli attuali tassi di fertilità italiani, una generazione di mille persone sarà sostituita da una seconda di 645, seguita da una terza di 416, una quarta di 268, e così via. La popolazione sarà la metà della sua dimensione originale in 47 anni. Dopo un secolo, un breve periodo nella vita di un paese, la dimensione della popolazione iniziale di mille cadrà a 232.
E’ questo lo scenario che ha oggi di fronte l’Italia. “Ma l’elemento più terrificante sono il dieci per cento di morti in più nel 2017 rispetto al 2016”, dice al Foglio Giancarlo Blangiardo, uno dei massimi demografi italiani, docente di Statistica all’Università di Milano. “E’ probabile che alla fine dell’anno il saldo naturale fra nascite e morti sia di una perdita di 200 mila. Nei prossimi anni, stando agli attuali saldi di natalità, le donne feconde saranno sempre di meno. Ci avviteremo su noi stessi. Non è irrealistico arrivare a 400 mila nascite all’anno nei giro di quindici, venti anni. Supponiamo che il Sistema sanitario regga a questo scenario, passeremo dagli attuali 615 mila decessi del 2016 ai 680 mila nel 2017, arrivando agli 800 mila morti in trent’anni. 400 mila nascite a fronte di 800 mila morti. Ogni anno perderemo 400 mila persone. Sta già accadendo. E’ da due anni che perdiamo popolazione. Meno duecentomila persone, nonostante gli sbarchi, i ricongiungimenti eccetera…”.
E’ un problema culturale, dice Blangiardo: “Siamo abituati a parlare della crisi economica, mai dell’altra crisi, quella demografica. Oggi gli ultra novantenni sono 700 mila e saranno due milioni e mezzo nel 2060 secondo l’Istat. Gli ultracentenari oggi sono 17 mila e diventeranno 140 mila. Quale Sistema sanitario reggerà a queste cifre? Crolleranno anche i consumi, la famiglia sarà sempre più debole. Tutti si autocensurano sulla demografia, perché la spinta economica e politica a una vera natalità sarebbe alta. Abbiamo fatto la lotta all’esclusione sociale, aiutando i poveri a fare i figli, mentre al ceto medio non abbiamo mai dato niente. In Italia se fai zero o tre figli hai le stesse agevolazioni fiscali. In Francia, farne zero è come da noi, ma se ne fai due, tre, hai maggiori benefici. La politica demografica la faceva il Duce, è innominabile, così facciamo del ‘sociale’. Ma per fare demografia hai bisogno dei ceti medi, degli impiegati, delle masse”. Siamo entrati in una terra incognita. La de-popolazione non è mai stata un modello, fatta eccezione per i periodi di guerra, epidemia o calamità naturali. Ma lo è diventato per l’Italia. L’Unione europea ci ha di recente dichiarato “reference site” per capire cosa accade a una simile società. Una cavia.
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