Grande Fratello invidia
Come farsi seguire sui social. Basta suscitare una sdegnata ammirazione. E i follower non si contano più
Le vistose crepe inferte allo spirito natalizio tradizionale cioè post-vittoriano dal sindaco di Como Mario Landriscina e dalla giovane moglie di Michele Placido di cui non ci sforziamo di ricordare il nome, vanno rivelando quello che due millenni e rotti di cattolicesimo e settecentonovantacinque dall’invenzione presunta del presepe non sono riusciti ad occultare, e cioè la nostra naturale propensione all’egoismo. I mendicanti “al freddo e al gelo” intralciano il passaggio dei maratoneti dello shopping e dunque multe a chi li sfama o li riscalda; i vecchi col culo flaccido ci fanno schifo, perciò è del tutto umano lasciarli andare per la loro strada, tanto più se loro hanno lastricato la nostra di opportunità e dunque rappresentano uno sgradevole memorandum dei nostri affannati e avidi inizi. Lo scontro lessicale fra le cronache dei tg e le pubblicità dei panettoni-fate-i-buoni di questi giorni meriterebbe un saggio a sé, fatto salvo per quella meraviglia della campagna del panettone Motta e del candito solitario che tenta l’inclusione nelle fauci umane a tutti i costi e che perciò rappresenta il primo sguardo dissacrante e onesto aperto da decenni sulle reali abitudini di consumo di dolci natalizi e, per traslato, sulla nostra natura in tutte le stagioni.
Abbiamo avuto da sempre il sospetto che lo “stato di natura” ipotizzato da Hobbes come condizione primigenia e insopprimibile dell’uomo tendesse a rialzare la testa a ogni occasione e che la capannuccia con i buoi e l’asinello non avesse avuto ragione dei riti pagani sui quali era stata calata d’imperio, tentando di sfruttare a proprio vantaggio abitudini radicate da millenni ed espressioni di apparente bontà come il sovvertimento dell’ordine sociale padrone-schiavo che veniva messo in atto durante i saturnali, benché fosse una mascherata. A dare l’ultimo, poderoso calcione alla pantomima della bontà e alle manifestazioni teatrali dello spirito cristiano messe in atto durante il periodo natalizio sono intervenuti i social media, che invece agiscono di nostra sponte per tutto l’anno e che basano il proprio successo su quanto di meno cristiano si possa immaginare.
Più metto in mostra me stesso e i miei successi, più marco la differenza, più sarò "seguito", ammirato e, come ovvio, invidiato
Prendete le sette opere di misericordia evangeliche, corporali e anche spirituali, ribaltatene il senso, cioè rivolgetele alla vostra persona e alla vostra cerchia più ristretta, e avrete la ricetta del successo mondano e della soglia del milione di follower su Instagram, cioè la base minima per iniziare a spuntare contratti pubblicitari a cinque zeri: “mostrare agli altri che cosa mangiare”; “vestire se stessi”; “alloggiarsi al meglio”, eccetera eccetera, in un crescendo di iniquità apparenti e sostanziali, ma del tutto idonee a procacciarsi like, vestiti gratuiti e vacanze pagate. Se pochissimi di noi provvisti di account facebook, instagram o snapchat resistono alla vanità di mostrare i piatti prelibati che stanno mangiando o che, meglio ancora, hanno cucinato, oppure di farsi un selfie in ghingheri alla festa importante (hashtag prediletto “ready to go” prima di varcare la porta) è perché il contratto sociale dei social, passateci l’anadiplosi, ha malamente superato la fase dell’uno vale uno e del tutti contro tutti: più metto in mostra me stesso e i miei successi, più marco la differenza e la superiorità rispetto agli altri, fosse pure in simpatia e numero di frequentazioni, più sarò “seguito”, ammirato e, come ovvio, invidiato. I social postulano l’invidia come Kant il pensiero empirico, praticamente le hanno dato dignità e potere commerciale. Togliendo i casi delle grandi star e dei personaggi di cui siamo follower per idolatria o per ragioni professionali, che cosa ci interessa, infatti, sapere delle gesta di caio o delle vacanze di tizio se non per controllarne i movimenti, verificare se i nostri possano reggere il confronto e, nel raro caso che il fortunato sia nostro amico, gioire della sua buona sorte deplorando appena un pizzico la nostra meno propizia? Se la smania di emulazione e quella sua impossibile, antipatica parente che è l’invidia nascono e si sviluppano per contiguità e per conoscenza diretta, in una vicinanza nella quale cerchiamo di scorgere un ordine morale e una giustizia alla nostra portata ( “che cosa ha fatto lui per meritarlo e io no”), il Natale degli affetti e degli effetti, cioè doni, viaggi, famiglie riunite e nonni in gran forma si presta più di ogni altro momento dell’anno a questa verifica, e i social ad alimentarne eventuali derive. Se avete faticato a mettere insieme i vostri parenti più stretti che tutti, all’improvviso, hanno impegni di lavoro inderogabili e clamorosamente più pressanti dei vostri il 23 e il 24 dicembre (“non lavori solo tu, mia cara”), sapete di che cosa sto parlando e sapete anche fin da adesso che non posterete su facebook, il social per così dire degli affetti, l’anello che vi è stato regalato da vostro marito o la foto di vostra figlia sorridente e bellissima con quel fidanzato strepitoso e, toh, duraturo. Lo farete per pudore e riserbo nei riguardi del vostro rapporto (il mondo non è fatto necessariamente dalle moglidimicheleplacido), ma anche per non alimentare le invidie, per di più sotto Natale e nonostante l’ampio sdoganamento di cui sopra e della mogliedimicheleplacido.
Avete anche già messo in conto che, non alimentando l’idrovora dei like, perderete qualche follower; presumibilmente, vi siete già sentiti in difetto per questo e un po’ frustrati di non poter mostrare urbi et orbi le vostre conquiste e “condividerle”, ma volete anche tenere a bada l’invidia, e per questo vi autocensurate.
Avete anche già messo in conto che, non alimentando l'idrovora dei like, perderete qualche follower, ma volete anche tenere a bada l'invidia
Ho trascorso qualche giorno su un atollo protetto delle Maldive ad assistere ai pianti di una collega per i messaggi di antipatia che le provenivano dalla sorella e dall’amico presunto più caro per via di quella para-vacanza lavorativa nel bel mezzo di dicembre, cioè ed esattamente quel genere di prossimità inaccessibile che scatena i sentimenti peggiori. Dopo qualche lamentazione di troppo, stanca di quel gioco fra le parti sempre identico e prevedibile (gli invidiosi che esprimono il proprio sentimento di inferiorità in forme variamente creative, l’invidiato che inscena la commedia ipocrita dell’innocenza e dell’incoscienza), ho suggerito alla collega di non fare il loro gioco, avete presente il monito di mamma Rosa Berlusconi al figlio: “E tu esagera”. Il social, meglio ancora Instagram che lavora per immagini e slogan, è il luogo perfetto per annichilire l’invidioso, il palcoscenico ideale per incastrarlo e impedirgli di fare proseliti. Permette di segnare un distacco vero. Irraggiungibile. Posti spiaggia e palme del servizio che stai scattando e la sorella commenta che anche a lei piacerebbe svolgere un finto lavoro come il tuo? Mettila nel sacco ribattendole che lei ha saputo fare di meglio non lavorando affatto, ma che purtroppo a te una nullafacenza dorata non è stata concessa e mitragliala con foto di razze, tartarughe marine, abiti da sera, maschere, boccaglio e anche flute di champagne millesimato. Ti chiedono come mai sei tornata così presto da quel paradiso? Non farti trascinare dall’affanno di spiegare il perché e il percome, che poi tutti conoscono ma nel quale sperano di vederti scivolare, e ribatti che non volevi perderti le ultime feste in città. Il simpatico Ivan Rota di Novella Duemila ha adottato un metodo geniale per confondere le acque: posta immagini di feste passate, scatti di avvenimenti pregressi, accompagnandoli a commenti eccentrici, impossibili da decrittare. Lo credevi a Cannes, poi arriva alla Prima della Scala e in cinque minuti raccoglie un gossip più gustoso e più esauriente di quanto faccia la collega del grande quotidiano milanese. Il modo più efficace per allontanare l’invidia, aumentando nel contempo i follower, è spiazzare. Pensate al “candito a Natale” della Motta e modellatevi su di lui. Che fra l’altro, dieci a uno, permetterà alla Saatchi & Saatchi di vincere un altro Leone al prossimo Festival della pubblicità di Cannes. Sollevarsi dalla melassa paga.
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