I Woody Papers contro il commediante nevrotico che disse "basta che funzioni"
Hanno pizzicato Woody Allen, i suoi adoratori sono divenuti i suoi inquisitori
Hanno pizzicato Woody Allen. Circostanza curiosa, i “Woody Papers”, grottesco replay dei vecchi documenti d’accusa ricavati dalle carte del Pentagono, sono l’archivio di cinquant’anni di lavoro donato dall’artista all’Università di Princeton. Donati, offerti in custodia apertamente e volontariamente, presumendo che vita e carriera d’artista non mette capo a reati ideologici e a colpe desideranti; mentre quelli vecchi, i ‘Pentagon Papers”, furono il grande scoop da buca delle lettere, messi di nascosto sulla scrivania di un reporter per denunciare le malefatte di presidenti e generali. Dopo attento scrutinio, hanno scoperto, questi geni temerari del Post, che Allen è ossessionato dalle minorenni, infatti in “Manhattan” ruba un famoso bacio romantico a una sedicenne seduta con lui su una panchina. Hanno anche scoperto che ha una vena misogina potenzialmente incriminante, infatti nella nevrotica vita di coppia che scoppia tipica delle sue commedie brillanti lui figura spesso come protagonista emotivamente fragile alle prese con donne robuste o involute o astute capaci di procurargli una crisi di nervi. Bene. Il processo, che non avrà la risonanza dell’altro, quello al “deep state” che secondo i benpensanti non dovrebbe avere segreti per l’opinione democratica, può comunque essere imbastito, e risulterà significativo. D’altra parte Woody Allen, subito prima di disdirsi e autocriticarsi come una guardia rossa deviazionista durante la Rivoluzione culturale cinese, aveva accennato al rischio della caccia alle streghe derivata dal chiasso su Harvey Weinstein, non sia mai. Dipende anche da come la prendono, la storia dei Woody Papers, quelle e quelli di #metoo.
Vedremo. Intanto bisogna notare, per una volta, che Woody se l’è andata a cercare, questa che si annuncia come una imputazione ideologica di scorrettezza proveniente dal suo ambiente sociale o per così dire naturale. Al correttismo postfreudiano e nichilista, in un suo celebre film che noi conservatori illuminati a giorno criticammo per la avalutatività tranchante, ma lo facemmo senza i toni incriminanti tipici della nuova ondata radical-chic (chiedo scusa a Michele Serra), Allen portò in offerta il suo talento di commediografo e la sua mano leggera di costruttore di efficace lieto fine. “Whatever it works” era il titolo inglese, traducibile con “Basta che funzioni”. Era la storia di relazioni amorose plurime, e omoerotiche, finite con una unione di fatto, una famigliola felice che prefigurava largamente il matrimonio tra persone dello stesso sesso poi fissato come diritto per legge: va bene così, basta che funzioni. Ma la morale aperta, in guerra delicata contro le etiche chiuse della famiglia tradizionale, non teneva in conto che qualche anno dopo gli stessi suoi plauditori, che deliravano di piacere per il romanticismo dei diritti familiari e sessuali di ogni tipo, avrebbero messo dei limiti o addirittura, in nome della dignità della donna e del tabù della minore età, avrebbero alzato un muro, dietro il quale ora giace in castigo la figuretta nevrotica di un uomo “ossessionato dalle minorenni” e incapace di restituire al femminino il suo status inattaccabile di simbolo della dignità. La ricerca del piacere come misura di tutte le cose e di tutti i diritti e di ogni narrazione romantica universale ed eguale per un certo periodo andava non bene, benissimo, senza freni, ma ora i nuovi moralisti trovano che la sua matrice, il desiderio, può avere qualcosa di degradante. E di questo corto circuito ideologico sarà Woody, con i suoi Papers solo apparentemente innocenti, a fare le spese.
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