Questa storia dei femminicidi, per come viene presentata, non si sopporta più. Un po' di numeri
L’Italia è il paese sviluppato dove le donne corrono il minor rischio di venire uccise eppure nelle analisi di molti intellettuali questo contesto scompare
Un altro femminicidio ieri, porcaccio di un Giuda. Me la volevo evitare, ma pazienza, la dico. Questa storia dei femminicidi, non in quanto tali, non per le tragedie che portano, non per la pena che se ne sente, ma per come viene giocata dall’informazione sulla scena pubblica da molti intellettuali un tanto al chilo, più senza vergogna che senza laurea (quelli di destra sono assai peggio, a giorni alterni), non si sopporta più.
L’Italia è il paese sviluppato dove le donne corrono il minor rischio di venire uccise. Nel periodo 2004-2015 ci sono stati in Italia 0,51 omicidi volontari ogni 100 mila donne residenti, contro una media di 1,23 nei paesi europei e nordamericani. Quanto al rapporto tra uccisioni di maschi e di femmine, l’Italia si colloca nella media dei trentadue paesi, con 37 donne uccise ogni cento uomini. Nel confronto tra i due quinquenni 2006-2010 e 2011-2015, in quasi tutti i paesi gli omicidi volontari di donne diminuiscono, salvo variazioni annuali che non smentiscono un miglioramento lentissimo, ma pressoché costante. In Italia il calo valutato su periodi relativamente prolungati, è solo del 5 per cento, contro un calo maggiore presente negli altri paesi. Malgrado questo, il nostro paese mantiene il primato del livello più basso di femminicidi anche nel quinquennio più recente. I dati sono presi dallo United Nations Office on Drugs and Crime (Unodc) e sono già stati riportati su questo giornale da Gianpiero Dalla Zuanna e da Alessandra Minello.
Apri un giornale, accendi il televisore, e questo contesto scompare. Ogni giorno da qualche anno, a ogni ora del giorno. Un fenomeno terribile, ma che appare endemico alla lettura ferma dei dati, viene presentato come irrefrenabilmente epidemico, anzi alluvionale. La diminuzione, per quanto lenta, per quanto non ferreamente costante, del fenomeno, viene regolarmente propinata come una corsa verso l’inferno. Si chiede il paradiso. Lo si pretende nello stesso modo con cui altri gridano onestà onestà per un mondo finalmente, definitivamente, assolutamente morale. Il paradiso, o se no l’abisso. Il riformismo, che è il purgatorio perpetuo, una lottina, un passetto, rileva che su sessanta milioni di persone i mascalzoni, i malati, un maniaco, non potranno scomparire. Ma sa che se passi da 100 uccisioni a 99 stai vincendo qualcosa, non tutto, ma qualcosa sì. Solo rileva, il riformatore, il diminutore del danno, che se quei 99 vengono megafonati più dei cento di dieci anni addietro, quando pur la televisione imperversava, e la parola femminicidio non esisteva, allora non esiste piccola vittoria o piccolo passo che tenga. Allora è la sconfitta di ogni tua giornata, l’angoscia di ogni tuo momento, e l’assenza di perfezione diventa bandiera di morte. E non può non rilevare, il riformista, il riduttore del danno, che devono esserci degli stronzi in giro. Ma parecchi. Dei tali stronzi che, mentre moraleggiano sulle mille volte in più dei soldi dei ricchi rispetto a quelli dei poveri, nello stesso modo, con la stessa logica peggio che populistica, spingono alla percezione propagandata del femminicidio alluvionale. Si dovrà fare pulizia totale, dunque. Ci vorrà qualche legge speciale. Una pioggia di ergastoli. Tifosi dell’uccisione di donne che non sono altro. Parafemministi dei miei coglioni. E sentimentali del cazzo proprio, disponibilissimi infatti a piazzare minchiate. E’ uscita una notizia, lunedì, chiamiamola così. Sventolata alla carlona. Più di otto milioni di donne hanno subìto violenza in Italia. E tre milioni e mezzo di maschi. Tre milioni e mezzo di maschi. Subìto violenza. Che potrebbe pure essere un passo avanti. Mai avrebbe immaginato, il mio nonno baldanzoso, che un pelo di uccello sarebbe arrivato a tirare un terzo e più di un pelo di fica.
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