Così la company di Weinstein è diventata un feticcio #MeToo
Dopo lo scandalo la casa cinematografica del “mostro di Hollywood” va all'obamiana Contreras-Sweet con un cda al femminile
Roma. Dopo cinque mesi dalle prime accuse di molestie sessuali rivolte a Harvey Weinstein la casa di produzione cinematografica fondata con il fratello Bob ha accettato un’offerta da 500 milioni di dollari per scongiurare la bancarotta. Il gruppo di investitori guidato da Maria Contreras-Sweet, già capo della divisione per le Pmi dell’Amministrazione Obama, e sostenuto dal miliardario Ron Burkle, ha annunciato giovedì di avere chiuso l’accordo.
Non ci sarà l’anticipo di 7 milioni di dollari chiesto come garanzia dalla The Weinstein Company (Twc). E invece dell’acquisto dell’intera compagnia, gli investitori compreranno solo gli asset per 275 milioni (il resto della cifra offerta coprirà i debiti). La nuova società dovrà riemergere dagli scandali sessuali che hanno scosso Hollywood, allargandosi a livello planetario attraverso la campagna #MeToo sui social network. Soprattutto per questo il nuovo consiglio di amministrazione sarà guidato da una maggioranza di donne che, secondo Contreras-Sweet, dovranno interpretare la nuova visione e i nuovi principi della compagnia.
I negoziati andavano avanti da tre mesi, durante i quali i fratelli Weinstein non hanno nascosto diffidenza nei confronti della proposta di Contreras-Sweet e Burkle. Solo una settimana fa la Twc prospettava bancarotta, opzione che non avrebbe garantito a chi ha denunciato molestie di ricevere i risarcimenti come invece chiedeva la procura di New York. Poche settimane fa il procuratore generale Eric Schneiderman ha intrapreso un’azione legale, l’ennesima, contro la casa di produzione chiedendo garanzie in caso di vendita e complicando ulteriormente la situazione. Le richieste di Schneiderman hanno di fatto dettato la linea dell’accordo: la vendita avrebbe dovuto prevedere un fondo di garanzia per risarcire le “vittime”, il mantenimento dei posti di lavoro per gli attuali dipendenti e la condizione per cui “né gli autori delle molestie né i loro complici si sarebbero dovuti arricchire ingiustamente”.
Una delle conseguenze è stato il licenziamento di David Glass, il direttore generale, che secondo Schneiderman non è stato in grado di proteggere le donne che negli anni si sono sentite molestate. Contreras Sweet e Burkle hanno accettato le condizioni del procuratore, che nell’ultima fase dei negoziati ha svolto un ruolo di mediazione con la compagnia. I guai per la Twc sono iniziati nel momento in cui sul suo cofondatore Harvey sono precipitate le accuse di molestie sessuali. Dopo il boicottaggio generale da parte di attori e distributori cinematografici dall’ottobre scorso a oggi è stato un susseguirsi di offerte da valutare, alla ricerca di un acquirente disposto a massimizzare il valore della società prima che finisse la liquidità. I diritti di distribuzione del film Paddington 2, venduti alla Warner Bros per circa 32 milioni di dollari, hanno consentito di prendere tempo e arrivare fino a oggi, anche se con le spalle al muro. La prima offerta di soccorso era arrivata pochissimo tempo dopo gli scandali dal fondo di investimenti Colony Capital, già familiare col mondo cinematografico per aver rilevato nel 2010 Miramax, la prima casa di produzione fondata da Harvey e Robert. L’accordo prevedeva una iniezione di liquidità e un possibile acquisto di asset, ma dopo nemmeno un mese dall’annuncio Colony ha fatto sapere di voler ritirare l’offerta. “La stella della compagnia era Harvey – ha detto poco tempo dopo a Bloomberg il capo del fondo, Tom Barrack, stretto consigliere di Donald Trump – Se per qualsiasi ragione rimuovi quella stella splendente, è un grande problema”. Per Barrack Twc non aveva chance di sopravvivere allo scandalo e, a maggior ragione, dopo avere licenziato Harvey. Il cambio di immagine che hanno in mente i nuovi proprietari è un test. Basterà per rimpiazzare la “stella della compagnia” e tornare a fare utili?