Libere donne
Non confondiamo diritti sacrosanti con un galateo pol. corr. gestito da èlite al femminile
La rivoluzione femminile è il tratto distintivo più rilevante dell’evoluzione sociale e civile dell’occidente nell’ultimo secolo. Dove la libertà e la dignità della donna si sono affermate è cambiata profondamente la concezione della famiglia e della società, si sono sviluppate dinamiche nuove che hanno messo in crisi antiche concezioni morali creando nuove domande e nuovi traguardi. Per questo è importante esaminare le ragioni che hanno ostacolato la diffusione della rivoluzione femminile in altre aree del pianeta, ragioni che sono all’origine di quello che viene chiamato “scontro di civiltà”, e studiare le diverse fasi che ha attraversato e attraversa il processo di liberazione della donna e i movimenti che a esso si ispirano.
Il movimento femminista aveva nella seconda metà del secolo scorso una caratteristica essenzialmente libertaria e individualista. Gli slogan come “io sono mia” e anche quelli un po’ più urticanti come “è mia e la gestisco io” alludevano a una soggettività rivendicata ed esercitata in modo polemico e anticonvenzionale. Proprio in questa soggettività si esprimeva il superamento della vecchia concezione della “emancipazione della donna”, in cui prevalevano schemi sociali classisti e che infatti, a differenza della rivoluzione femminile e femminista, veniva ufficialmente adottata anche dai regimi socialisti autoritari. Di quella vecchia concezione, peraltro, resta valida la rivendicazione della parità, che nella società attuale dipende essenzialmente dal tasso di occupazione e dal livello professionale, che a sua volta è legato al livello e alla qualità della scolarizzazione. Si può osservare sommessamente che quest’ultimo aspetto, ora che la maggioranza del corpo docente in quasi tutti i paesi dell’occidente è femminile, potrebbe essere gestito meglio proprio dalle donne, superando le concezioni egualitarie e facilistiche che finiscono, come sempre, col penalizzare le fasce sociali o sessuali più deboli.
La rivoluzione femminile, quella che va oltre gli orizzonti dell’emancipazione e della parità giuridica nell’economia e nella società (ormai sancite negli ordinamenti) attraversa una fase in cui alle originarie spinte individualistiche e libertarie si vanno gradualmente sostituendo concezioni neo-puritane ed egualitaristiche. Naturalmente la lotta contro gli abusi e le molestie sessuali o l’uso improprio di posizioni di potere è sacrosanta. Però in alcuni movimenti, soprattutto americani, l’estensione del concetto di molestia viene utilizzato per imporre una specie di modello di comportamento, un “galateo” politicamente corretto in cui invece dell’orgogliosa affermazione individualistica dell’io sono mia si propone una linea di condotta generalizzata e collettiva, sostanzialmente egualitaria. E’ una tendenza che nasce nei settori sociali più elevati e nelle professioni più ricche di visibilità pubblica, che si divarica dalle esigenze specifiche delle donne che vivono in condizioni di reale sfruttamento. Naturalmente si tratta solo di un aspetto e di una fase di un processo rivoluzionario che è tuttora denso di potenzialità e di capacità di trasformazione, ma forse vale la pena di prendere in considerazione gli aspetti regressivi che può innestare, seppure involontariamente.
Una spinta da preservare
La spinta propulsiva della rivoluzione femminile va preservata e sviluppata in tutto il mondo, può essere la chiave per risolvere a vantaggio della libertà le contrapposizioni che separano concezioni della vita e della società prevalenti nelle diverse aree e nelle diverse culture. Perché questa forza propulsiva, popolarizzata dalla connessione informati va globale, si affermi progressivamente è importante che conservi il nucleo di un messaggio di liberazione, di rottura di autodeterminazione, che può essere inteso a ogni latitudine. Esattamente il contrario dell’imposizione di un galateo politicamente corretto gestito dalle élite, seppure femminili.
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