La rivoluzione strisciante di #MeToo
Dai quadri di Schiele alle conferenze di Ferguson, la carica dei puritani lagnosi
Roma. “Questo è il vero cambiamento nella nostra cultura da parte di #MeToo”, aveva affermato Dawn Hawkins, direttore del Centro sullo sfruttamento sessuale dopo che la rivista Cosmopolitan nei giorni scorsi era stata “nascosta alla vista” dei clienti di cinquemila Walmart d’America. Hawkins aveva ragione.
A parte far cadere non poche icone e idoli hollywoodiani, #MeToo è diventata una rivoluzione strisciante che può rivendicare non pochi successi. “Gli uomini bianchi sono cattivi?”, si chiede questa settimana lo storico Niall Ferguson sul Times. Dopo il caso Harvey Weinstein, il New York Times aveva pubblicato un pezzo sulla “brutalità della libido maschile” a firma dello scrittore canadese Stephen Marche. “La mascolinità, non l’ideologia, guida i gruppi estremisti”, è stato un altro titolo recente, questa volta sul Washington Post. “Ho dovuto ascoltare una variazione su questo tema piuttosto spesso nelle ultime settimane. Il mese scorso ho organizzato una piccola conferenza di storici”, scrive Ferguson. Solo che gli storici invitati erano tutti maschi e tutti bianchi, tranne una donna.
Così tanti accademici – uomini e donne – si sono rivolti ai social media per boicottare la conferenza e per condannarne lo “spirito maschilista”, andando anche a scavare nel passato “misogino” di Ferguson. Erano così indignate le storiche di Stanford Allyson Hobbs e Priya Satia da chiedere “maggiore supervisione universitaria” della Hoover Institution, dove Ferguson lavora e che fa parte di Stanford.
Altre istituzioni di Stanford hanno abbracciato la diversità, ma la Hoover si è “dimostrata impermeabile ai cambiamenti demografici che traspirano nell’accademia”. E’ dunque “una torre d’avorio nel senso più letterale”. L’Università di Stanford ha così bacchettato Ferguson sulle mani per non aver saputo adempiere al mandato della diversity. “Sono stato educato a credere negli uguali diritti di tutte le persone, indipendentemente da sesso, razza, credo o qualsiasi altra differenza”, ha risposto lo storico sul Times. “Quello che vediamo qui è il sessismo degli antisessisti e il razzismo degli antirazzisti. In questo mondo la diversità significa omogeneità ideologica. Non contano i fatti e la ragione, tutto ciò che dobbiamo sapere – se non ci piace ciò che ascoltiamo – sono il sesso e la razza dell’autore. Il processo di indottrinamento inizia presto”.
#MeToo sta macinando vittorie, che sono per la verità sconfitte di una società aperta e davvero liberale. Sono trascorsi cento anni dalla morte di Egon Schiele e Gustav Klimt, ma nel tempo di #MeToo i loro quadri in America richiedono una particolare didascalia. Così il Museum of Fine Arts di Boston, che ha in programma una ambiziosa mostra dei due geni dell’espressionismo, ha deciso di apporre una frase sotto i quadri di Schiele: “Recentemente, Schiele è stato citato nel contesto della cattiva condotta sessuale degli artisti, del presente e del passato. Ciò deriva in parte dalle accuse specifiche di stupro e molestie”. Stessa scena al Metropolitan Museum of Art di New York. “Come altri musei, il Met riconsidera la sua collezione alla luce di nuove ricerche e interpretazioni”, ha affermato Sheena Wagstaff, a capo del dipartimento di arte moderna e contemporanea. “Dobbiamo rivedere le pubblicazioni, i manifesti e i testi sulle opere”. Per il Met, si tratta di evitare una polemica simile a quella dello scorso dicembre sulla Teresa di Balthus, quando migliaia di firme furono raccolte per chiederne il ritiro in quanto accusata di “incitare alla pedofilia”.
Il Guardian invece ci illumina su come la letteratura romantica stia cambiando con #MeToo. Basta maschi bianchi e orgogliosi, predatori esigenti e voluttuosi, alla Ferguson e Schiele. Ora servono uomini irreprensibili, “esempi morali”. I puritani, oltre che dei gran censori, sono degli orrendi pedanti.
Politicamente corretto e panettone
L'immancabile ritorno di “Una poltrona per due” risveglia i wokisti indignati
Una luce dietro il rischio