Come stamparsi una casa

Fabiana Giacomotti

Da martedì la Design Week a Milano. C’è anche un libro di otto metri per sei, biblioteca di comunità

Libri e cultura e sostenibilità, cioè la sinistra più verace che si possa immaginare e per quanto sia dato immaginare una sinistra verace nel 2018. Il bello della Design Week che si apre martedì 17 aprile a Milano, a un’incollatura dai pittori e i voraci galleristi del MiArt, è che i temi forti di questa edizione vanno in perfetta controtendenza rispetto al clima delle consultazioni e al risultato delle urne, un po’ come l’andamento delle Borse, per esempio. Un mese e mezzo fa il paese ha premiato antieuropeisti e populisti ma, dopo il primo microrimbalzo del 5 marzo, Piazza Affari procede come se Luigi Di Maio stesse ancora facendo accomodare gli ospiti nella tribuna d’onore del San Paolo di Napoli e Matteo Salvini non avesse ancora sostituito la felpa con la cravatta di seta e la camicia stirata da Elisa Isoardi: 17,5 miliardi di dividendi distribuiti per l’esercizio 2017 e una leggera ripresa perfino nei consumi delle famiglie.

 

L’architettura, la progettazione e la produzione di arredo sono più complesse e costose della moda, più solide e quindi più popolari

La flottiglia guidata da Raffaele Jerusalmi dà insomma prova di considerare quel che va accadendo a Roma ininfluente, o se non altro meno incendiario di come vada spacciandosi, e così Francoforte: lo spread è sotto controllo, la moda vendicchia e, anche grazie al bonus mobili, l’arredo cresce dell’1,7 per cento. Viene dato per scontato che al momento buono davanti al dito medio alzato di Maurizio Cattelan di Piazza Affari dovranno passare tutti, così come si ritiene ovvio che nei prossimi giorni tutti i neoeletti con mire di governo facciano la rituale passeggiata fra gli stand di Fiera Milano Rho protetti da cordoni di sicurezza, fotografi scatenati e lecchini volontari per la gioia dell’amica Piercarla Delpiano che governa la comunicazione dell’ente. Come sempre e come chiunque altro ad eccezione dei pochi che, negli anni, si sono impegnati sul serio (uno per tutti, Ivan Scalfarotto), si fermeranno davanti agli stand delle aziende più importanti, sorrideranno ignari alle telecamere e lasceranno la fiera sgommando verso Linate un’ora dopo, senza trascorrere in città nemmeno una di quelle serate che qualche migliaio di persone viene appositamente da lontano per poter godere, una volta all’anno.

 

  

E’ opinione comune che, durante la Design Week, Milano si trasformi come la moda, cioè “Fashion Week”, non riesce a fare: il ritornello è talmente sentito che non vale nemmeno la pena di spiegare per quale motivo la moda, pur massificata e diffusa live com’è oggi, per continuare a vendere debba mantenere un posizionamento emozionale di cui tavoli e sedie non hanno alcun bisogno e che, anzi, costruito sulle loro quattro gambe suonerebbe ridicolo. L’architettura, la progettazione e la produzione di arredo sono infinitamente più complesse e costose della moda, più solide anche in apparenza: proprio per questo, sono infinitamente più popolari, plebiscitarie addirittura, come si può intuire dai 205 mila metri quadrati di superficie fieristica occupati, i seicentocinquanta designer e neo-laureati di scuole internazionali coinvolti nel Salone Satellite e tutti gli stilisti e gli art director che hanno deciso di cogliere l’occasione per presentarsi al meglio delle proprie capacità, vedi il lifestyler di Pitti Sergio Colantuoni che apre casa al pubblico, e lo stylist Simone Guidarelli che presenta una linea di carta da parati gioiosamente ispirata al suo, sublime, gusto massimalista.

 

Parlando di design, ci vuole poco per sembrare intelligenti e moderni. Con la moda, è un attimo a passare per cretini

Parlando di design, ci vuole poco per sembrare intelligenti e moderni. Con la moda, è un attimo a passare per cretini. Non a caso, le griffe si fanno un punto d’onore nel costringere i propri licenziatari nel settore “home” e “lifestyle” ad allestire presentazioni e serate durante i giorni della fiera, fosse pure per presentare una linea di sottopiatti o un foularone e non fatemi scrivere nomi. Chi ha testa, cuore e committenti all’altezza coglie invece l’occasione del parterre mondiale per presentare idee che nessun ufficio stampa sarebbe in grado di raccontare adeguatamente. Mobili e installazioni vanno viste, vissute, valutate secondo la propria sensibilità, come sa l’archichic Massimiliano Locatelli, geniale occupante della chiesa sconsacrata di san Paolo Converso a Milano, che grazie al supporto del Comune di Milano, Italcementi, dei tecnici olandesi di CyBe e  degli ingegneri di Arup, presenterà in piazza Beccaria un’abitazione di circa cento metri quadrati interamente realizzata con la tecnologia di stampa 3D: un esperimento unico di case al cento per cento ecologiche, nate riutilizzando anche elementi di scarto, magari dalle “ceneri degli eco-mostri esistenti”, come dice l’architetto, mischiando le polveri con i colori, le terre locali: impasto demiurgico delle case e delle cose del futuro, rinnovabili, veloci. Per realizzare una casa di cento metri quadrati stampata in 3D basta una settimana: la progettazione è al millimetro, ogni elemento viene studiato su carta (in queste ore, dall’account Instagram di Locatelli stiamo seguendo la realizzazione dei bagni, vasche comprese) e poi stampato sul posto. Una rivoluzione.

 

Nella città che quest’anno celebra i centotrent’anni della nascita di Piero Portaluppi, maestro dell’eclettismo e dello smusso come chiave di apertura alla luce, ma soprattutto come inedito ed eccentrico slancio vitale, è significativo che le forme dell’abitare e del vivere vadano estremizzando questa stessa tensione nello studio del movimento. Talvolta questo accade nel senso proprio di una tavola da surf, come i 3,8 metri supertecnologici e iperstabili sviluppati da Carlo Borromeo e Fabio De Silva, consulenti della Ferrari, osservando l’idrodinamica della vescica natatoria dei cetacei, oppure nell’ambito ideale del progetto “House in motion”, sviluppato dalla rivista di riferimento del Salone, Interni, nei cortili dell’Università Statale, del Seminario Arcivescovile e dell’Orto Botanico di Brera (fateci caso: le cose importanti della moda accadono perlopiù in zona porta Venezia, quelle del design fra via Festa del Perdono e le mura imperiali di Massimiano da dove Milano ha iniziato a svilupparsi: il genius loci è testardo).

 

Dario Curatolo firma il progetto di maggiore rilievo sociale. Dove le piccole storie “si intersecano con i messaggi dei classici del sapere”

Nell’esplorazione di “un abitare più fluido e dinamico”, ma soprattutto “sempre meno solido”, in cui la casa diventa sinonimo di sosta, ristoro e ospitalità, in totale contrapposizione rispetto alle case cocoon degli anni immediatamente precedenti alla crisi del 2008 e che, ripensandoci ora, sembravano anticipare, il progetto di maggiore rilievo sociale allestito nei cortili dell’ateneo è firmato da Dario Curatolo, membro del Comitato scientifico del Triennale Design Museum e direttivo nazionale dell’ADI, oltre che curatore e progettista del Padiglione italiano all’Hong Kong Design Week 2017. La sua “library in motion”, un libro di otto metri per sei costruito grazie alla sapienza degli artigiani cartai pugliesi non da sfogliare ma da attraversare, permette infatti di vivere e sperimentare l’intimo rapporto fra l’uomo e la lettura attraverso il suo mezzo principale e immarcescibile, il libro fisico, oggetto e tramite di un approccio ragionato alla vita, ma anche il libro simbolico, il libro-liber che nella propria definizione racchiude il concetto di libertà. Dal libro, dalla lettura e dalla cultura nascono libertà, parola e movimento; dunque è del tutto logico, in questa Design Week controcorrente, sconnessa dal mainstream politico, che il bando per una straordinaria riflessione sul ruolo della lettura sia stato emanato dalla Regione Puglia governata da Michele Emiliano nell’ambito di un progetto costruito grazie ai fondi europei e sostenuto dall’Unesco. La biblioteca di comunità come luogo di cultura, certo, ma soprattutto di incontro, scambio, di costruzione di una nuova cittadinanza culturale. Si tratta di un progetto al tempo stesso antico e nuovissimo (in Piemonte, pur in forma volontaristica, vanno rinascendo le biblioteche circolanti, fenomeno occidentale del Diciottesimo e Diciannovesimo secolo) che ha comportato sei mesi di lavoro e un finanziamento da 120 milioni di euro, coinvolgendo centoventitré presidi di comunità: senza dubbio, commenta Curatolo, “si tratta della più grande operazione di infrastrutturazione culturale in Italia”, anche per le modalità in cui si è sviluppata.

 

La scelta radicale sulla modalità di erogazione dei fondi (“non un euro di restauro senza un progetto di fruizione”) ha trasformato il progetto in un motore di confronto nelle comunità sull’idea della biblioteca come luogo in mutazione: dalle minuscole biblioteche delle aree interne alle grandi strutture metropolitane, il sistema delle biblioteche di comunità aggrega persone e idee attorno al libro come luogo di esperienza. Per buona parte del 2017, i pugliesi hanno partecipato alla costruzione delle “loro” biblioteche, apportandovi la materia prima del libro, ma contribuendo soprattutto alla loro radicalizzazione sul territorio (inciso: se il concetto latino di libro è apparentabile a quello di libertà, la radice germanica di book è invece riconducibile al sostantivo beech che indicava l’albero di faggio: in concreto, le tavolette sulle quali con ogni probabilità si incidevano segni; per esteso, con i libri si mettono radici). “In questo modo tutte le storie, anche quelle delle più piccole comunità di Puglia che si riappropriano dei luoghi della lettura, si intersecano con i messaggi dei grandi classici del sapere”, puntualizza Curatolo, che in ognuna delle nicchie del colossale libro montato nel primo, grande cortile della Statale, ha voluto un aforisma, un breve pensiero, una suggestione, da tutti i comuni coinvolti, senza distinzioni e senza divisioni, che del libro esprimono la natura più profonda: carta, social, e-book, giovani, anziani. Italiani da sempre, e nuovi italiani. Uno spazio-libro che diventa esperienza condivisa e opportunità di crescita, oltre che di memoria: una nuova “geometria di comunità” si crea attorno al progetto di un luogo fatto di libri, pensieri e persone. Sembrerà poca cosa, quasi aleatoria, perfino scontata, giusto un meccanismo da rimettere in moto in forme nuove, per chi non abbia avuto, come chi scrive, esperienza diretta del contrario, cioè di che cosa accada quanto il libro, e le sue modalità di fruizione, smettono di trasformarsi in luoghi ed esperienze e vengono cancellati.

 

Con l’archichic Massimiliano Locatelli un’abitazione di cento metri quadri realizzata con stampa 3D: al cento per cento ecologica

Uno dei momenti più difficili, drammatici perché se ne comprendeva l’estensione su più generazioni, il potere deflagrante ed esteso nel tempo ben oltre i due milioni di morti registrati, fu la visita all’edificio che aveva ospitato la biblioteca di Phnom Penh, qualche mese dopo la liberazione dalla feroce, ventennale dittatura di Pol Pot. Dai giardini, dalle cantine, da qualche recesso dove erano stati nascosti a rischio della vita, chi era sopravvissuto all’epurazione andava recuperando i propri libri per portarli lì, nell’obiettivo di ricostruire un patrimonio culturale condiviso. Ma ormai pochissimi erano in grado di leggere, e nessuno di catalogare e archiviare: il figlio di chi ci accompagnava aveva vent’anni, e stava iniziando a frequentare le scuole elementari. Entrammo, a una signora dietro il banco chiedemmo il primo libro della letteratura mondiale che ci venne in mente valutando che cosa avrebbe potuto essere conservato in un paese che aveva conosciuto da vicino la Francia, e la signora fece un ampio gesto ad indicare un’immensa stanza piena di libri accatastati alla rinfusa. Nessuno scaffale, nessuno a riordinarli, a renderli fruibili, disponibili, vivi ed efficaci. Disse solo: se sapete come identificarlo, prego accomodatevi. Ci sarebbero voluti mesi, anni: quelle parole stampate, buttate a terra, vecchie e polverose e mai più lette assomigliavano molto da vicino ai morti delle fosse comuni. Dicono che la situazione, passati altri vent’anni, sia molto migliorata. Ma non risolta. Per farlo, ci vorrà un’altra generazione, oltre a un impegno e a una predisposizione per la crescita culturale di una nazione che, date le premesse, è difficile venga messa in atto. La battaglia anticulturale simbolo delle dittature e dei populismi allarga le proprie ferite per decenni, difficilissima da suturare e da sanare. Un rogo di libri è per sempre.

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