Non solo la Ciociara, la verità sugli stupri dei goumier
Le donne del meridione d’Italia subirono la violenza peggiore perché non veniva dal nemico ma dai “liberatori” da coloro in cui nutrivano speranza e fiducia
"Tutti si aspettavano cose straordinarie da questi alleati, appunto come dei santi; e tutti erano sicuri che col loro arrivo la vita non soltanto sarebbe ritornata normale ma anche molto migliore del normale”. Così Alberto Moravia descrive nella “Ciociara” i sentimenti degli italiani nei giorni precedenti la Liberazione, dopo lo sbarco in Sicilia. Non fu così, e, soprattutto, non fu così per le donne che nei paesi della Ciociaria e del Frosinate, nei piccoli borghi dai nomi strani e sconosciuti, Vallecorsa, Lenola, Patrica, Pofi, Isoletta, Supino e Morolo, Castro dei Volsci, Ceccano, Campodimele, proprio dai liberatori furono picchiate, abusate, violentate, stuprate. Nel suo libro “La colpa dei vincitori” (Piemme) Eliane Patriarca, giornalista francese di origini italiane, racconta la storia di quei terribili giorni di violenza e le testimonianze di chi ha visto e ha scritto. Scrive lo scrittore Frédéric Jacques Temple, allora soldato dell’esercito francese, in “Les Eaux mortes”: “Stesa sui cuscini sventrati, ancora giovane, con la gonna alzata fino al viso, un viso di cenere incorniciato da bei capelli neri. I neri, grandi e grossi, si lavoravano metodicamente quella donna aperta a forza, ora silenziosa e inerte, che aveva da molto tempo smesso di lamentarsi sotto le violente spinte. Nessuna tregua tra un uomo e l’altro. Erano più di cento, con i pantaloni abbassati e la verga in mano, in attesa del loro turno. Un ufficiale se ne stava vicino alla porta”.
Le vittime furono migliaia, anche non è possibile definire la cifra precisa. Di ogni età: giovani che avevano tentato inutilmente la fuga, anziane che erano rimaste nel paese sicure che, grazie alla loro età, non sarebbero state toccate, bambine e bambini che si trovavano per caso sulla strada degli stupratori. In tante patiscono la sorte di Cesira e Rosetta che, nel romanzo di Moravia e nel film di De Sica, subiscono ripetutamente violenza “sotto gli occhi della Madonna”.
A commettere gli stupri sono i terribili goumiers, i soldati marocchini avanguardia delle truppe coloniali francesi, sotto gli occhi indifferenti dei loro comandanti e il disinteresse degli altri eserciti. I goumiers, circa 12.000, vengono dall’Atlante. Il generale Alphonse Juin capo del Cef (Corpo di spedizione francese) li usa per sorprendere i tedeschi dove meno se lo aspettano, sui monti Aurunci, ritenuti sicuri e inviolabili. Non per loro che vengono dalle montagne, sono abituati a condizioni per altri insopportabili e hanno doti ataviche di combattimento. E infatti ce la fanno. Sfondano la difesa nemica, si presentano alla popolazione con la loro djellaba di lana marrone striata di bianco, turbante e sandali e si accaniscono contro le donne.
C’è chi sostiene che siano stati autorizzati. Che il generale Juin abbia promesso loro libertà totale di saccheggio. C’è chi parla addirittura di un suo proclama che recita: “Al di là dei monti, al di là dei nemici che ucciderete stanotte, c’è una terra prospera e ricca di donne, di vino, di case. Se riuscirete a passare questa linea senza lasciar vivo un solo nemico, il vostro generale ve lo promette, ve lo giura, ve lo proclama: quelle donne, quelle case, quel vino, tutto quello che troverete, sarà vostro, a vostro piacimento e secondo il vostro volere”. Chissà se quel foglio scritto in arabo, e mai ritrovato in francese, è vero. Ci sono molti motivi per dubitare della sua autenticità. Ma sappiamo anche che non occorrono proclami per autorizzare le truppe vincitrici alla razzia e alla violenza. Quando l’Armata rossa entrò in Prussia, Stalin emanò un ordine nel quale diffidava i suoi soldati dai saccheggi dalle ruberie e dagli stupri. Eppure ci furono e, in numero tale da lasciare un’impronta indelebile su quella pur straordinaria vittoria sui nazisti.
E’ la guerra, dice qualcuno, e nella guerra e nella storia le donne fanno parte del bottino. Triste, tristissimo e cinico, ma vero. Eppure le donne del meridione d’Italia – se è lecito e giusto fare dei paragoni – subirono una violenza peggiore perché non veniva dal nemico ma dai “liberatori” da coloro in cui nutrivano speranza e fiducia. E poi perché la violenza continuò. Nella condanna delle famiglie, nel tardato riconoscimento e risarcimento del danno subìto da parte del nuovo stato italiano, nell’atteggiamento di chi, sapendo per anni, non ha parlato. Contro quelle donne c’è stata la violenza della chiesa che, attraverso il cardinale Tisserand, ha difeso il Cef con una lettera al Pontefice nella quale afferma: “Se le donne non si esponessero volontariamente non correrebbero alcun pericolo”. E anche quella di chi per molto tempo, temendo di favorire la propaganda fascista (che ha ovviamente tentato di strumentalizzare quei terribili fatti) ha intralciato ogni tentativo di memoria. Infine negli anni del Dopoguerra, e dominante ancora oggi, la cultura del politically correct che rifiuta errori e colpe di chi sta “dalla parte giusta” .
Nel 2006 è uscito in Francia un interessante film di Rachid Bouchareb, “Les Indigenes”. Si narrano le terribili condizioni cui erano sottoposte nell’esercito francese le truppe dei paesi del Magreb. Un film politico e riparatore che denuncia discriminazioni, sacrifici, ingiustizie perpetrate verso di chi veniva dalle colonie. Ma anche quel film tace sulle “marocchinate”, tace sulle violenze del Cef. Così mentre il governo marocchino ha ufficialmente riconosciuto le colpe dei goumiers e se ne è scusato per i francesi quelle violenze rimangono di poca importanza. Ancora oggi insignificanti. Marocchinate.