Un tempo logorava, ora il potere chiude il cervello nella prigione dell'Io
In vent’anni di esperimenti sul comportamento di soggetti in posizioni di potere, lo psicologo Keltner, ha concluso che questi tendono ad agire come se avessero subito un trauma cerebrale. Il cortocircuito fra autorità ed empatia
New York. Il potere logora chi non ce l’ha, com’è noto dall’aforisma di Talleyrand-Andreotti e da alcune elementari osservazioni del comportamento umano, ma anche chi il potere ce l’ha non è immune dal logoramento. Nel primo caso ci si può rimettere il senno, forse anche l’anima, nel secondo si rischia di bruciarsi il cervello, che per lo scientismo materialista mainstream è pure peggio. Autorevoli schiere di studiosi sventolano prove di degenerazioni cerebrali che affliggono le persone in posizioni di potere, privandole innanzitutto dell’empatia, la capacità di mettersi nei panni degli altri, di immedesimarsi nelle circostanze dell’interlocutore e di assumere un punto di vista che non sia il proprio. L’amministratore delegato di Wells Fargo che si ritrova spaesato di fronte alla commissione del Congresso, come se avesse difficoltà ad afferrare i termini elementari delle domande, che lo incalza sul fatto che non ha notato la creazione di migliaia di conti fasulli da parte dei suoi dipendenti può essere il segno di un goffo truffatore, ma l’occhio clinico più allenato può scorgervi la degenerazione di un processo neurale. Roba forte, strutturale, molto più di una vertigine. Lo stesso vale per certi politici che arrivano al potere e si dimenticano improvvisamente di tutto quello che hanno promesso agli elettori che li hanno votati, oppure per certi altri che, stabilmente al comando, mettono la propria credibilità politica alla prova di referendum popolari che non hanno speranze di vincere. Anche chi conduce negoziati dal campo da golf, triangolando con Twitter, con i regimi più chiusi e paranoici del pianeta non brilla immediatamente per la capacità di guardare il mondo al di fuori del proprio schema. Sono esempi, naturalmente di fantasia, che illustrano una comune difficoltà a concepire idee, opinioni e stati di vita al di fuori del proprio.
In vent’anni di esperimenti sul comportamento di soggetti in posizioni di potere, lo psicologo Dacher Keltner, dell’università di Berkeley, ha concluso che questi tendono ad agire come se avessero subito un trauma cerebrale: sono meno coscienti del rischio e più impulsivi, ma soprattutto sono “meno capaci di vedere le cose dal punto di vista di altre persone”, come scrive Jerry Useem in un saggio pubblicato sull’ultimo numero dell’Atlantic. Sukhvinder Obhi, neuroscienziato della McMaster University, in Canada, ha fatto osservazioni analoghe, ma invece di dedurre le prove dal comportamento dei soggetti studiati in laboratorio le ha viste direttamente nelle scansioni cerebrali fatte a certi pazienti sotto l’influenza del potere. L’osservazione neurologica ha mostrato che molti di questi hanno una disfunzione in uno specifico processo dei neuroni-specchio, quella che non a caso è associata all’empatia. Obhi sembra aver così sottratto il logoramento del potere dalle considerazioni aneddotiche e dalle leggi ondivaghe della psicologia per dare al fenomeno un fondamento biologico, materiale, una manna per chi pensa che l’uomo sia tutto sinapsi e interazioni chimiche.
Dalla scoperta discende però un paradosso: i potenti privi di empatia sono quasi sempre gli stessi che hanno affinato l’arte dell’empatia per ottenere le posizioni di potere che poi li hanno resi incapaci di immedesimazione. I leader che ottengono e gestiscono il consenso popolare costruiscono le loro fortune sulla capacità di mettersi nei panni degli altri, ma una volta sul trono la loro capacità decade, in una specie di circolo vizioso che ha tutta l’aria di un contrappasso. Il neuroscienziato ha cercato anche di indagare come la volontà del soggetto influisce sulla sua capacità neurale, e in una seconda serie di esperimenti ha spiegato ai soggetti studiati la questione dei neuroni a specchio e del deterioramento riscontrato, in modo che, coscienti del loro deficit, potessero sopperire alla fisiologia con l’intenzione. Risultato: “I test non hanno mostrato alcuna differenza”, segno che lo sforzo di opporsi al logoramento soggettivista e centripeto del potere è vano. Non è che la possibilità dell’empatia sia perduta per sempre, ma è come se fosse inibita, anestetizzata, e certo le circostanze in cui le persone di potere si trovano ad agire solitamente non aiutano: circondati da chi dà loro ragione e più abituati a imporre che ad adeguarsi a vincoli esterni, i potenti si disabituano in fretta a fare ciò che li aveva resi potenti.