È estate, ma le ragazze non si accendono più

Simonetta Sciandivasci

Come si sono intristite le donne, gli amori, le spiagge nelle canzoni estive: perché cantiamo solo Fedez e Baby K e non più Luca Carboni

Un fatto di clima e non di voglia, quest’anno e forse anche l’anno scorso e quello prima ancora, è l’estate. La canzone di Fedez&J-AX che YouTube rifila dopo Le ragazze di Luca Carboni dice che l’estate che cerchiamo non è lontana (amici, uniamoci, firmiamo una petizione, chiediamo ai governi di intervenire sulle balorde classi di gusto in cui gli algoritmi ci impilano: se ti piace Troisi ti potrebbe piacere anche Siani, se hai comprato un estrattore potrebbe servirti un’ostetrica a domicilio).

 

 

Non importa quale sia l’estate che Fedez ritiene che cerchiamo e povero lui se davvero pensa che l’estate si possa trovare, persino senza andare troppo lontano. No che non si può: l’estate esiste a stento e solo prima di cominciare, appena inizia prende a svanire, ad accorciarsi; quando eravamo un paese serio ma non grave, la cantavamo per quello che era: un fatto di voglia; un sogno da svegli; un’ambizione da poco; una ragazza de Le Ragazze di Luca Carboni, una che il semplice rincorrerla - era chiaro a tutti che soltanto rincorrerla si poteva - ci animava una “festa dentro al cuore”.

 

 

Ora siamo un paese solo grave, gravissimo, terminale, tant’è che Le ragazze di Luca Carboni fa vent’anni quest’anno (uscì il 31 marzo del 1998, mentre James Cameron ritirava undici premi Oscar per Titanic) ed è come se ne facesse duecento e non c’è un commiato, un rito di disperazione collettiva, una giornata nazionale che la celebri, la esalti, la ricordi, la porti nelle scuole (nelle università sarebbe troppo tardi, come per tutto). Non c’è neanche un qualche bellissimo zigano che la canti in tram o sul metrò. Non ce ne sentiamo orfani e non immaginiamo neppure quanto lo siamo, invece, di ogni suo verso, di ogni sua parola, di quelle ragazze lì, saline e sexy ed evanescenti, che chi lo sa se sono mai esistite davvero (tant’è che nel video se ne vede, a stento, una, verso la fine: per il resto c’è sempre una spiaggia, Carboni che suona vestito da prima domenica di primavera, un amplificatore sulla sabbia, dei panni stesi). Ragazze illusorie ma tutt’altro che irraggiungibili (compravi una moto e le raggiungevi al mare per abbracciarle e una volta lì finivi “sul molo a parlare all’infinito” mentre loro sghignazzavano facendoti sentire solo); bellissime e invisibili; disponibili e indecifrabili; leggere e infiammabili. Fatte di voglia e non di clima. Che tragedia aver smesso di sognarle.

 

Mollica al Tg1 ha detto che la canzone dell’estate sarà la nuova di Baby K, Da zero a cento (5 milioni e passa di visualizzazioni su YouTube), dove da una superficiale esegesi sembrerebbe di capire che lei chiede più o meno d’annegarla - “portami giù dove non si tocca” - al tizio che accusa in incipit di cercare il wi-fi mentre lei cerca il mare.

 

 

Un altro editorialino rappato (carino ed efficace, per carità) di questi duecento anni percepiti che ci separano dalle ragazze del ’98, quando la vita non era più facile e non si potevano mangiare le fragole, eppure le canzoni, soprattutto d’estate, erano la realtà aumentata del desiderio, e non del male, dello sfascio, del mondo che va a rotoli. Erano canzoni e non notiziari. Luca Carboni due settimane fa ha pubblicato un disco nuovo e bruttino (ma con dignità) dove de Le Ragazze non si sente nessuna eco neppure se lo ascoltate fumando delle sigarette corrette. Non c’è più il modo e non c’è più lo spirito: non puoi dire a una ragazza come si deve vestire - “sì, mettiti quel vestito lì, che mi sembra di essere al mare” - senza rischiare il linciaggio; non puoi avere trentasei anni (come Carboni nel ’98) e citofonare a un’universitaria distraendola dai suoi studi - “Ciao! Ma com’è bella la città, se non hai voglia di studiare” - , perché col cavolo che ti permette di cambiare l’ordine delle sue priorità; non puoi pensare a loro come “margherite o aiuole da non calpestare” , perché è ora di finirla con queste immagini fruste e stereotipate da Piccolo Mondo Antico; non puoi dire “le ragazze si fidanzano e si innamorano e di notte si accendono” perché è riduttivo, ma come ti permetti, ma basta con questo ricondurre sempre il destino femminile al compimento di una relazione, siamo anche astronaute, astrofisiche, economiste, asessuali, asentimentali, childfree, menfree; non puoi aspettarti che vengano a illuderti che “non c’è nessun problema anche se poi va tutto male” , mica sono il tuo sollazzo; non puoi impiegarle nella tua vita da cambiare, perché hanno il loro gran daffare. Persino ragazze non si porta troppo bene (però i Neri Per Caso li cantiamo ancora in qualche karaoke vintage, o in qualche baretto di provincia, insieme ad estranei un po’ clandestini che così ci diventano familiari): meglio donne.

 

 

“Donne dolcemente complicate-delicate», “donne amiche di sempre donne alla moda donne controcorrente” , “donne che lo sanno com’è che sono donne” , “donna siete tutti e tu non l’hai capito”: donne fasci di nervi e nevrosi e colpi e traumi e Sally e usi e abusi e rinascite e risalite e che si fanno belle per loro, mica per un qualche tizio che ha voglia di vacanza e illusioni.

 

 

Signore, però, com’era bello quando ispiravamo non solo bollettini ma pure venticelli, malizie, scandalucci, friccichi, “tutti i testi delle canzoni” ; quando ai luridi maschi non serviva capirci, per amarci pazzamente; quando avere un corpo significava avere tutto per possibilità; quando ci si amava da amanti; quando alle volte ci rallegrava essere anche solo un colore, un dettaglio; quando a Luca Carboni bastava vederci con addosso un vestitino per sentirsi al mare anche nel centro di Bologna, dove faceva caldo e si stava male, anche se mai come adesso, ché quando ci arrivi o quando la lasci devi prendere un treno sottoterra e non che a Roma o a Milano o a Firenze vada meglio, là non ti puoi neppure sedere a meno di non aver pagato un’iscrizione annuale a un club di golfisti e sommelier: sono finite anche le stazioni come luogo di struggimento incontrollato e baci e attese, se Gianmaria Testa fosse nato negli anni dell’alta velocità col cavolo che avrebbe scritto Le donne nelle stazioni. Sono finite le spiagge e non per l’erosione delle coste, ma per sicurezza: quest’anno c’è un’ordinanza che di notte obbliga a tenere accesi i fari degli stabilimenti balneari, e così nemmeno l’amore in riva al mare si potrà più fare, come si vede che son tornati di moda i bustini ed è diventato superfluo che “le ragazze, di notte, s’accendano” .

 

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