Scopate per i figli
Uno si domanda come sia possibile rialzare la testa, e trova la risposta in una campagna pubblicitaria
Non sottovaluterei la Chicco. Un invito a scopare “per il piacere di farlo” e “per dare un figlio a Dio”, alla Patria, naturalmente nella forma nostra propria che è quella del nazionalismo calcistico, un invito al baby boom, all’ottimismo contro l’avvilente piacere precoce delle manette, contro la cilecca della Diciotti, contro l’invidia del pene che ha affatturato il luogo sacro del gallismo latino al cospetto di tanta negritudine: ecco un manifesto riuscito della nuova opposizione che non c’è. Quelli del marketing & advertising della Chicco, come se fossero una congrega diretta da Soros e Ronaldo, hanno capito che per vendere all’infanzia bisogna che ci sia l’infanzia, e già non è poco, ma hanno capito anche qualcosa di più. In meno di un minuto, che è un tempo lunghissimo e irraggiungibile nel piacere culminante dell’amore, uno spot può picchiare, avvinghiare, eccitare, frastornare e perfino commuovere cuori sognanti e declinanti storditi dal grande rimpiazzo, dalla sostituzione etnica, dall’espropriazione fantastica dell’identità e del sé realizzata nell’incubo della demagogia.
La Chicco usa il bianco e nero, lo cuce con la tecnica del fucking footage alle immagini coloratissime della passione, lo introduce perché si sappia che quel che abbiamo perduto, perdendo tutto tranne la Francia e la Croazia, è solo la premessa triste di quel che allegramente possiamo riconquistare. Nel video ci sono gli italiani al loro massimo ritratti nel nucleo incupito e bolso del loro attuale minimo. C’è un pubblico prepolitico ma anche postelettorale, una genìa di mascalzoni e di mascalzone pronti/e a tutto, uno strepitoso manifesto danzante di carnalità e di spirito, nel senso del buon umore e della dolce violenza dell’amore, in questo specifico caso, dati gli scopi commerciali, tra maschi e femmine. #metoo. Ne sa qualcosa la timida Barilla, che presa tempo fa col dito nel vasetto della marmellata familista, per via delle dichiarazioni del capo sul carattere focolaresco del Mulino Bianco, ha dovuto passare il resto del suo profiling commerciale al setaccio dell’amore sentimentale, buono anche quello, per carità, senza distinzioni di genere o zoologiche.
Il rovescio della paura
Sfrontati, quelli della Chicco. Sono il rovescio della paura. Sono da paura e senza paura. Immaginano lussuriosamente, a favore di una ditta piena di reverenza, ma non artigliata di bontà a basso costo, una riscossa gladiatoria dell’arte di amare, una specie di metamorfosi e di catarsi di un popolo che cerca il populismo dove dovrebbe trovarlo, nella gioia strafottente e non nello spargimento seminale di luoghi comuni da letto disfatto per inesperienza e impotenza. Uno si domanda come sia possibile rialzare la testa, almeno quella, e trova la risposta in una campagna pubblicitaria, inferiore solo, forse, al video dei pompieri croati che partono per spegnere il fuoco e si perdono il gol di Mandzukic (ma non tutti partono, e questo è il bello). C’è poco da fare: la cosa più brutta in natura è la bruttezza, e nonostante il golf di Trump, la caccia alla tigre di Putin, le battute sugli afghani di quel maialone di Seehofer, la cravatta e il portamento del nostro Truce, nonostante tutto questo il commercio anche in immagine pop, e pubblicitaria, indica meglio di tanta pubblicistica politica dove sta la profezia del dopo con la sua bellezza, il futuro dei senza futuro e l’oblio dei forgotten men. Non è che ora, poiché le classi medie occidentali sono affaticate dalla globalizzazione, come dimostrano certi indici farlocchi della disdetta così lontani dall’indicizzazione anche troppo verosimile del benessere, certi piaceri e il fare figli, con la connessione tardocattolica che potete immaginare, vista l’assenza di spirito contraccettivo dal montaggio della Chicco, sono destinati solo agli africani. Non esageriamo. Al lavoro e alla lotta.