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Facciamo come i siberiani, la caccia torni a essere rito e non solo sport

Camillo Langone

Adelphi ripubblica un saggio dell’antropologa Lot-Falck

La caccia è un rito o deve tornare a esserlo. L’odierna ostilità verso l’arte venatoria è in parte (solo in parte, chiaro) dovuta al suo degradarsi ad attività sportiva. “Cacciare per divertimento sarebbe incomprensibile e criminale” scrive l’antropologa francese Éveline Lot-Falck nel suo “I riti di caccia dei popoli siberiani”, riferendosi all’antico pensiero delle tribù pagane dell’Asia settentrionale. Ma potrebbe anche essere il moderno pensiero degli atei e dei neo-pagani urbani dell’Europa occidentale. Sono passati molti anni perché il libro tradotto oggi da Adelphi, con un coraggio da antico editore o da antico cacciatore, è stato pubblicato in Francia nel 1953 e deriva da una tesi del 1947. L’antropologa è consapevole di descrivere un mondo agli sgoccioli per colpa della russificazione e ancor più delle nuove armi ossia dei fucili che sostituiscono archi e lance: “E’ il trionfo della tecnica pura; alla fine rimarrà solo lei, e assisteremo alla secolarizzazione della caccia, spogliata del suo carattere magico-religioso”.

 

Oggi, 2018, esistono fucili di potenza e precisione terrificanti, che sembrano in grado di consentire a chiunque di abbattere qualsiasi animale a qualsivoglia distanza. Ovviamente non è così, la caccia resta ancora leggermente più difficile dello scatto di selfie sulla spiaggia, però l’impressione è questa. Su YouTube esistono video americani di “long range hunting” in cui si abbattono cervi ignari distanti un chilometro. Una specie di tiro a segno che lascia perplesso perfino uno strenuo partigiano della caccia come me. Sebbene non protesti, di sicuro non applaudo. “Se si attacca l’orso nella sua tana, prima di colpirlo bisogna svegliarlo”. Era questo il ben diverso comportamento dei siberiani del libro, uomini affamati e però animati da una forma di lealtà, di rispetto nei confronti della preda. Non che i cacciatori del fiume Amur fossero più buoni dei cacciatori del Wyoming: i primi credevano in temibili, vendicative presenze spirituali, mediate dagli sciamani, mentre i secondi credono esclusivamente nella materia dei propri Benelli o Winchester.

 

Il libro della Lot-Falck indaga lo sciamanesimo, i riti venatori di numerose etnie divise dalla lingua (una qualche variante ugro-finnica o turca o mongolica o manciù…) e accomunate dall’inospitale ambiente siberiano, “il paese del freddo”. Un groviglio di cerimonie, preparativi, preghiere, tabù alimentari, sacrifici animali, spiriti, divinità, amuleti che potremmo liquidare con una sola parola: superstizione. Eppure senza questo cosiddetto folclore tante specie siberiane avrebbero rischiato la fine del dodo o dello stambecco portoghese o dell’orso dell’Atlante marocchino… La religione, come informa il suo etimo, è legame, e certe religioni legano le mani dei seguaci, imponendo limiti agli abbattimenti. “Un’interdizione proibisce di uccidere più selvaggina di quanta ne sia necessaria ai bisogni vitali”, scrive l’autrice. Ecco, cibarsi degli animali uccisi è un bel discrimine fra sottilmente oscena caccia sportiva e nobile caccia rituale. Inoltre il concetto di “bisogno vitale”, nell’Europa dove un pollo arrosto costa meno di una scatola di cartucce, va ampliato al bisogno di sicurezza. Gli urbani non lo sanno e non lo vogliono sapere (gli urbani vogliono continuare a credere che i boschi siano popolati dagli animali dei cartoni animati) ma i cinghiali uccidono. Sempre più numerosi e protervi, danneggiano le coltivazioni e mettono a repentaglio la vita di ciclisti, motociclisti e automobilisti che percorrono le strade di montagna. E ormai anche di periferia, come sa chi abita in certi quartieri di Genova. Non credo che nel breve periodo la caccia possa ritrovare il significato magico-religioso descritto da Éveline Lot-Falck. Ma può e deve ritrovare un significato sociale. Oltre che, nei casi più eroici, un significato estetico: sempre su YouTube c’è il video di un giovane cacciatore della Florida che uccide i cinghiali con la lancia, e sono scene non meno ancestrali, non meno affascinanti delle incisioni rupestri siberiane riprodotte nel libro Adelphi.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).