Foto Pixabay

Sepolcri imbiancati

Giulio Meotti

Conrad li vedeva in Belgio. Dove le chiese chiudono e solo sette preti sono stati ordinati nell’ultimo anno. Una secolarizzazione irresistibile

Il Pontificio Consiglio della Cultura ha appena lanciato l’hashtag #nolongerchurches, un concorso fotografico sugli edifici di culto cattolici dismessi e convertiti a uso profano in tutta Europa. Uno si trova a Bruxelles, nel comune di Watermaeal-Boisfort, dove la chiesa di Sant’Uberto è stata appena venduta per ricavarvi una trentina di appartamenti di lusso. Il Marlow di “Cuore di tenebra”, il capolavoro di Joseph Conrad, definì Bruxelles “la città dei sepolcri imbiancati” e, come racconta l’Economist questa settimana, i sepolcri imbiancati sembrano essere i cattolici.

 

Per molto tempo, il Belgio è stato tra le società più cattoliche del mondo, producendo personalità come san Damiano di Molokai, il prete missionario morto mentre si prendeva cura dei lebbrosi, e Georges Lemaître, il sacerdote-fisico che ha inventato la teoria del Big Bang. Non soltanto alla chiesa cattolica manca ormai qualsiasi peso contrattuale nella società belga. Il Belgio è uno di quei paesi, come l’Irlanda o il Quebec, diventati esempio di una società un tempo intensamente cattolica ma in cui la religione è crollata molto rapidamente. Hanno tutti gli stessi sintomi – chiese vuote, scandali, lotte intestine, una gerarchia che segue passivamente le tendenze sociali. Ma adesso è la stessa struttura materiale e fisica del cattolicesimo belga che sta morendo. E che rischia di diventare come la celebre “chiesa trasparente” che lascia guardare oltre e che si trova su una collina di Looz, a est di Bruxelles.

 

E’ stata tra le società più cattoliche del mondo, e ha prodotto personalità come san Damiano di Molokai e Georges Lemaître

L’arcivescovo di Bruxelles De Kesel: “L’islam sta inghiottendo la nostra cultura secolarizzata. Il vuoto religioso è impudente”

“Le autorità cattoliche dicono che venti tra le maggiori chiese di Bruxelles – un quinto del totale – sono ridondanti” scrive questa settimana l’Economist. “In Belgio soltanto sette preti sono stati ordinati nell’ultimo anno”. Un punto di svolta arrivò nel 2010: l’arcivescovo di Bruxelles, André-Joseph Léonard, provò a dare vita ad alcune delle chiese della capitale, abbandonate da decenni e già minacciate di vendita dal suo predecessore, il cardinale Godfried Danneels, uno dei grandi sopravvissuti della chiesa, nominato arcivescovo nel 1979 e cardinale nel 1983. Per far questo, Léonard ha incoraggiato i piccoli gruppi a rianimare le chiese abbandonate. Secondo i piani dell’arcivescovo e nuovo cardinale Joseph De Kesel, insediatosi il 12 dicembre 2015, 36 delle 110 chiese della capitale sarebbero “inutili” e andrebbero chiuse. Per ora si prende tempo e se ne chiude un numero inferiore. Nella storia della chiesa, non c’è mai stata un’azione ecclesiale simile in una capitale europea.

 

La chiesa cattolica in Belgio è stata colpita da una delle crisi nei battesimi più drammatiche degli ultimi decenni, con meno del cinquanta per cento dei bambini sottoposti al rituale. Il declino dei battesimi è più alto a Bruxelles, che ha visto un calo di ben il 32 per cento in appena otto anni, a partire dal 2010. I trent’anni di Godfried Danneels come arcivescovo di Mechelen-Bruxelles hanno segnato il crollo. Lo ha scoperto la ricercatrice Caroline Sägesser. Dal 1977 al 1996, la percentuale di neonati battezzati è scesa dall’85,2 al 68 per cento. Un calo del venti per cento in venti anni. Poi c’è stato un calo sempre del venti per cento, ma su un periodo di undici anni.

 

A livello di matrimoni, più di tre matrimoni su quattro nel 1977 si svolgevano in chiesa; nel 1996, la proporzione era scesa a uno su due e oggi a meno di uno su quattro. La percentuale di funerali religiosi è la più alta, con 58,4 cerimonie religiose cattoliche ogni cento morti. Tuttavia è il tasso che è diminuito di più nel periodo recente. Mentre dal 1977 al 1996, era diminuito in valore relativo solo del sette per cento, negli ultimi undici anni è diminuito di ben il 25 per cento.

 

La frequenza complessiva in chiesa è scesa a meno del dieci per cento. Geert De Kerpel, portavoce della Conferenza episcopale belga, ha dichiarato che i risultati sono negativi, ma ha insistito sul fatto che “non c’è bisogno di panico”.

 

Dal 2019 non ci sarà più neanche l’Institut d’Etudes Théologiques, la celebre facoltà di Teologia del Belgio, un frutto del Concilio Vaticano II. Farà a malapena in tempo a celebrare quest’anno i cinquant’anni e poi a scomparire. Intanto, le chiese passano di mano. Nel centro di Namur, la chiesa di Saint-Jacques è stata trasformata in un negozio di abbigliamento. A Tournai, la chiesa di Sainte-Marguerite ora ospita appartamenti. A Mechelen, la chiesa dei frati minori è un hotel. A Liegi, la chiesa di Sant’Antonio è una sala espositiva. A Huy, la chiesa di Saint-Mengold è utilizzata per concerti, spettacoli, convegni. A Mons, la cappella Saint-Georges sulla Grand Place ospita mostre. A Tournai, la cappella dell’ex seminario è stata riallestita per essere utilizzata in concerti e altri eventi “culturali”. A Marche-en-Famenne, l’ex chiesa dei gesuiti è stata trasformata in un hotel-ristorante.

 

Il rantolo cattolico del Belgio si vede dal numero di nuovi sacerdoti. “La diminuzione del numero dei sacerdoti non deve essere percepita come un processo inevitabile”, disse Papa Benedetto XVI ai vescovi del Belgio nel 2010. Eppure, otto anni dopo, appare davvero inevitabile. L’abate Alphonse Borras, teologo e canonista, vicario generale della diocesi di Liegi, ha appena pubblicato un libro, Quand les prêtres viennent à manquer. Quando non ci saranno più preti. E’ quello che accadrà presto al Belgio.

 

Le Soir ha scritto: “In dieci anni, la chiesa cattolica belga avrà perso un prete su quattro. Una diserzione che minaccia il culto. Perché il sacerdote è la pietra angolare dell’edificio ecclesiale. Senza di lui, nessuna messa. Senza messa, nessuna chiesa”.

 

Chiuderà la celebre facoltà di Teologia di Bruxelles, nata col Vaticano II, e il paese ora deve importare preti africani o polacchi

“E’ dieci volte più probabile che un cattolico entri in una chiesa in Polonia che in Belgio”, ha appena rivelato uno studio

E’ una secolarizzazione irresistibile, quella belga.

 

In una inchiesta a firma di Chloé Andries, pubblicata sul settimanale La Vie, si legge come “nel 2009, la chiesa ha ordinato solo undici nuovi sacerdoti. In alcune aree, come la Tournaisis, rimane un solo sacerdote per diciotto parrocchie”. E le nuove vocazioni sono tutte “esterne” alla società belga. “Un terzo delle nuove vocazioni proviene dal Rinnovamento carismatico e la maggior parte dei seminaristi non viene dalla diocesi”, spiega Joël Rochette. Nel 2014, il paese poteva ancora ancora vantare tre ordinazioni a Bruxelles e sette a Namur. E’ vero che su questi sette c’erano solo due diocesani contro tre del Cammino neocatecumenale e due fratelli di Tiberiade.

 

Nell’ultimo anno, la vendemmia è molto meno abbondante. Soltanto sette nuovi sacerdoti in un paese di undici milioni di persone nel 2017. Due, Stany Fernandes e Gianpaolo Cesareo, rispettivamente di origine indiana e italiana, sono cresciuti con il Cammino neocatecumenale. Un altro è il giovane seminarista ivoriano Ettien Léon N’Guessan. A Mechelen-Bruxelles, ci sarà solo un’ordinazione in lingua olandese, quella di Servaas Bosch. I cattolici praticanti sono appena l’1,5 per cento della popolazione della capitale dell’Unione europea, secondo un sondaggio dell’Università di Lovanio.

 

Il quotidiano francese La Croix ha pubblicato il risultato di un’indagine condotta in ventuno paesi europei sul rapporto tra i giovani e la religione. In Belgio soltanto il due per cento dei giovani frequenta la chiesa, riecheggiando quanto ha detto il rappresentante belga al sinodo sui giovani, Annelien Boone, il quale ha affermato che i giovani del suo paese “hanno imparato a vivere felici senza Dio”.

 

Secondo un’indagine della diocesi di Mechelen-Bruxelles, l’età media dei 453 preti della diocesi (203 francofoni, 250 di lingua olandese) era 73 alla fine del 2016. E se prendiamo solo sacerdoti attivi (107 di lingua francese e 100 di lingua olandese), l’età media è di 63 anni. Nel 1960, c’erano 10,500 sacerdoti in Belgio. Oggi ce ne sono solo tremila. Jean-Claude Barreau ha parlato in un saggio di “rapida scomparsa del clero” nel suo libro pubblicato da Seuil dal titolo L’Église va-t-elle disparaître? La chiesa scomparirà? In Belgio pare di sì.

 

“Non è raro incontrare preti che praticano mentre sono ben al di sopra dell’età della pensione”, dice Caroline Sägesser, ricercatrice presso l’Osservatorio di religioni e secolarità.

 

Negli ultimi anni, i sacerdoti dell’Africa centrale (Congo, Burundi e Ruanda) e della Polonia si sono moltiplicati nelle chiese belghe. Non tutte le diocesi del Belgio sono uguali di fronte alla diminuzione del numero dei preti. E’ in quella di Tournai che le conseguenze sono più spaventose. La situazione è così critica che molte chiese sono state costrette a chiudere per mancanza di partecipazione. “Siamo ancora lontani da una completa scomparsa, ma ci sono alcuni luoghi di culto in cui non c’erano più masse o persone a cui partecipare. Abbiamo alcune chiese chiuse e altre che sono state dismesse”, spiega Hubert Wattier, addetto stampa della diocesi di Tournai. Tra le chiese che hanno dovuto chiudere i battenti, uno su altre ha fatto notizia: la chiesa della Beata Vergine, che ha interrotto le sue attività religiose diversi anni fa per mancanza di fedeli.

 

Come ha detto Stephen Bullivant, direttore del Centro Benedetto XVI presso l’università St Mary di Twickenham che ha eseguito il più approfondito studio sulla scomparsa dei cattolici in Europa, “in termini geografici, la distanza tra Bruxelles e Varsavia è di circa mille chilometri. In termini pastorali ed evangelici si avvicina di più al milione. La probabilità che un cattolico polacco sulla ventina vada a messa una volta a settimana è 24 volte più grande di quella di un belga. Al contrario, è dieci volte più probabile che un cattolico belga non metta mai piede in una chiesa rispetto a un polacco. Polonia e Belgio sono casi estremi. Ad ogni modo, la maggioranza dei paesi del nostro campione si avvicina di più al Belgio che alla Polonia”. Il fatto stesso che la gerarchia belga non pubblichi più stime presta il fianco a quanto si mormora, ovvero che l’osservanza è quasi vicina allo zero, anche nelle Fiandre tradizionalmente più devote.

 

Nel Belgio di oggi, l’osservanza religiosa è riservata agli anziani cattolici o alla giovane minoranza musulmana. In una intervista due anni fa con L’Echo, il cardinale De Kesel ha detto: “In un momento in cui la nostra cultura occidentale si sta secolarizzando, l’islam la sta inghiottendo. Sarebbe imprudente creare un vuoto religioso”. Ma questa imprudenza era già diventata una impudenza nazionale. In Belgio, un paese forgiato dalla chiesa, che deve la sua esistenza nel 1830 alla volontà di rimanere cattolico contro le provincie del Nord diventate calviniste, la cui Università di Lovanio fu per secoli un importante centro di pensiero cattolico e la cui arte cattolica è riconosciuta in tutta Europa, il cattolicesimo è in via di estinzione.

 

Salvo sorprese, c’è un serio rischio che la chiesa in Belgio diventi poco più di un’agenzia per la conservazione di antiche chiese vuote e che non vengono chiuse soltanto per pudore. Non a caso, lo scorso febbraio, il cardinale Robert Sarah ha scelto proprio il Belgio per un discorso in cui il teologo ratzingeriano e di colore ha accusato l’occidente di “cose agghiaccianti”.

Di più su questi argomenti:
  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.