Altro che sparatutto, meglio i videogiochi rilassanti
Il mondo è troppo incasinato, finiremo tutti a fare un orto virtuale
Roma. La complessità è sfiancante. C’incrudelisce, pare. Comincia a valere per tutto, persino per i videogiochi. Troppo stress, troppa ansia da prestazione, troppi obiettivi da raggiungere. “Una delle nostre linee guida fondamentali è non punire mai il giocatore: evitiamo tutto ciò che potrebbe essere considerato fastidioso o inutilmente difficile”, ha detto al Guardian Ben Wasser, il programmatore di videogiochi che ha da poco ideato Ooblets, un indie game (un gioco non finanziato da una grande compagnia) ispirato ai Pokemon che consiste nell’allevare animali da fattoria, coltivare un orto e far vita agreste. Una sempre più significativa tendenza del gaming è offrire un’oasi di piacere, un’occasione di relax, uno stacco più o meno prolungato dalla fatica, dall’attività intellettuale, dalla produttività.
E’ il contraccolpo di una esautorazione che non riguarda la violenza, come ci aspetteremmo, bensì, appunto, la complessità. Da una parte, i giochi ispirati alla vita agreste o alla semplice simulazione (del volare, dello sciare, perfino del farsi massaggiare) cominciano a farsi largo sul mercato; dall’altra, se fino a poco tempo fa si discuteva di rimuovere o ridurre le sparatorie, il sangue, le guerre e le aggressioni dai giochi virtuali più popolari, ora si discute di come semplificarle, rendendo il gioco più confortevole, meno intellettualmente dispendioso, mantenendo inalterato il livello di soddisfazione che arreca a chi lo fruisce.
Succede perché la violenza, specie se spietata, vende ancora moltissimo, e questo la rende praticamente intoccabile, irrinunciabile. Tuttavia, le esigenze del mercato si sono diversificate: il pubblico non parla come mangia però di certo, e sempre di più, gioca come vive (l’ultimo film di Steven Spielberg ci ha costruito sopra una favola meravigliosa e, a tratti, spaventosa – con sudato lieto fine, trattandosi di Spielberg) e quanto e come viviamo di semplificazioni è sotto i nostri occhi tutti i giorni. Ci affatica imparare e metterci alla prova, ci affatica il dubbio, il pensiero e, ora, ci affatica anche giocare per vincere, per superare un livello: vogliamo giocare per decrescere. Non è un caso che tutti questi nuovi prodotti gravitino intorno alla vita bucolica e offrano, come massima ricompensa, la soddisfazione di non aver fatto morire una piantina di basilico. Non sottovalutate la virtù del pollice verde (e nemmeno quella del click verde): in un’intervista al Fatto Quotidiano, il poeta Arminio ha detto, in risposta all’appello di Saviano (chi non si mobilita è complice!): “Occuparsi di Salvini senza pensare a come è andato il raccolto ha poco senso”. Come vedete, tout se tient.
Insomma, va bene l’adrenalina di Tomb Raider, ma vuoi mettere la soddisfazione di piantare verza nel tuo orticello virtuale dietro la tua casetta virtuale? O startene un paio di ore a ciondolare in “uno spazio zen”, come quelli ricreati da Twirl o da Ghosts in the Shortwave, che si concedono persino una grafica astratta, ma che non propongono alcuna sfida, alcun “gioco” classicamente inteso. Gli indie game sono ormai quasi del tutto interessati a questa nuova esigenza e gli youtuber che li promuovono – soprattutto ragazzine – stanno reagendo con entusiasmo.
C’è poi, naturalmente, l’aspetto socio-pedagogico: Wasser ha detto al Guardian che i suoi giochi preferiti sono quelli che incentivano il giocatore a costruire qualcosa, molto più che a vincerla. Ed ha sottolineato: “non importa poi se sono violenti”. Negli anni Novanta e un po’ oltre, ebbe molto successo l’idea della life simulation: ebbe un successo enorme The Sims, dove si disponeva di un altro sé virtuale da portare a far la spesa, a correre, a tosare l’erba. E’ dal solco di quel successo, che sembrava accantonato, e che presto aveva fatto suonare le sirene dell’alienazione (insieme a notazioni sempliciotte ma non irragionevoli come: se proprio devo spolverare, lo faccio a casa mia e non dentro un pc) che, inaspettatamente, prende le mosse questa nuova tendenza, questo desiderio di giocare per vincere facile, tanto per non pensare.
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