Nuove frontiere del femminismo: riformare e correggere l'uomo troppo maschio

Simonetta Sciandivasci

Arriva la manualistica anti mascolinità tossica

Roma. Empowerment, smantellamento del patriarcato e disintossicazione dai vecchi canoni non bastano più: il nuovo indirizzo del femminismo è la manovra correttiva, la riforma del maschio.

 

“Siamo state così impegnate a risollevare le donne, che non ci siamo concentrate sulla ragione per cui abbiamo dovuto farlo e cioè il fatto che gli uomini le feriscono”, ha detto a The Cut Jessica Valenti, attivista femminista e giornalista, tra le voci più fattive del #metoo – sul Guardian ha una rubrica, “The Week in Patriarchy”, che ha inaugurato a ridosso dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca e attraverso la quale aggiorna i lettori sullo stato di avanzamento del maschilismo. Se per debellare sessismo e misoginia, finora, abbiamo agito sugli effetti, è arrivato il momento di lavorare sulle cause – e sul fatto che tali cause siano gli uomini, Valenti non ha alcun dubbio. E’ una virata di metodo che Valenti si candida, se non a guidare, almeno a promuovere e invogliare e che, tuttavia, non è una sua intuizione: è sua, però, l’idea di metterla a metodo. Da molti mesi si discute di mascolinità tossica, cioè del prototipo al quale le nostre società hanno forzato e forzano gli uomini ad aderire. Il maschio forte e greve che non deve chiedere mai né aiuto né consenso, che non vacilla, non piange e pone a fondamento delle relazioni il possesso anziché l’empatia. La definizione che, di mascolinità tossica, reca Wikipedia, è: “Uno dei modi in cui la società patriarcale danneggia gli uomini”, con tanto di esempio: “L’idea delle interazioni uomo-donna come competizione, non cooperazione”. Che il patriarcato svantaggi anche i maschi è un punto fermo della battaglia, molto osteggiata dalle femministe e non proprio recente, dell’MRA (Men’s Right Activism) che pur avendo con il femminismo molti meme in comune (“Keep Calm and Smash Patriarchy”), parte da un assunto più complesso, opposto, e sostiene che la nostre società sono state costruite sulla sacrificabilità maschile. In fondo, anche Valenti ammette che a intossicare gli uomini sia stato un preciso dettame culturale ed è da quel dettame – qui sta la novità – che ritiene sia onere del femminismo liberare gli uomini, per imporgliene un altro, migliore, elaborato dalle donne con il concorso entusiasta e “ottimista” dei femministi. Questo di liberare prescrivendo è un vizio dell’emancipazione confezionata dal femminismo pop contemporaneo che ha oppositori: Jessa Crispin (Perché non sono femminista, pubblicato quest’anno in Italia da Sur), per esempio. O la lettera delle cento francesi contro il #metoo (ridotta a un volgare “manifesto per la libera molestia” dalla stampa che non sa tradurre e dagli indignati che non sanno leggere).

 

Nel suo prossimo libro, The Mysoginists: who they are, why they hate us and how to stop them (come verrà tradotto in Italia? Qua tifiamo per I misogini spiegati bene), Valenti ha annunciato che leggeremo, oltre a una manualistica su come stanare misogini e sessisti, la proposta di un “modello di mascolinità lungimirante”, quello che secondo lei i maschi smarriti cercano e, per ora, trovano su strade sbagliate (cita Jordan Petersson, lo studioso canadese accusato di essere l’ideologo degli incel, i celibi involontari che credono legittimo costringere le donne ad andarci a letto, il quale sostiene che per arginare la violenza degli uomini si debba imporre la monogamia alle donne). “Un conto è dire che necessitiamo di una cultura alternativa per gli uomini e un altro è crearla e non so se sia responsabilità femminile farlo: devono intervenire i maschi femministi”, dice Valenti. Dunque, la ricetta sembra chiara: ispirandosi alle donne, e previo esorcismo di sé, gli uomini devono costruirsi un modello maschile a prova di femminismo. Un modello che consenta di – parola di Valenti – “rendere il sessismo una causa di ostracismo sociale: il sessista non deve poter uscire di casa, non deve vivere tranquillo”. A voler osare una critica radicale, sembra proprio il prodromo della femminilità tossica: un altro innegabile guadagno per la parificazione.

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