Per recitare Batwoman non basta essere lesbica. Ci vuole un'ebrea
La rappresentazione delle minoranze come la fai la sbagli
Roma. “Sarei morta pur di vedere un personaggio così in tv quando ero un giovane membro della comunità lgbt e non mi sentivo rappresentata in tv. Grazie a tutti. Grazie a Dio”, ha scritto su Twitter Ruby Rose, la scorsa settimana, quando è stato ufficializzato il suo ingaggio nella parte di Batwoman per la prossima stagione di Arrow (in onda dal 2012 sull’emittente statunitense CW). In soldoni: finalmente una lesbica che interpreta una lesbica, ecce lesbica ed ecco pure la rappresentazione delle diversità fatta come si dovrebbe fare.
E invece no, altroché, non ci siamo di nuovo: centinaia e centinaia di indignati hanno preso a scriverle, su Twitter, che non è adatta, che è vergognoso e ignominioso e insultante e razzista che sia stata scelta lei, perché non è abbastanza lesbica (come lo avranno stabilito, con il lesbicometro?), è un’attrice mediocre e, soprattutto, non è ebrea (nel fumetto di Bob Kane, invece, Batwoman è una ricca lesbica ebrea che frequenta l’alta società di Gotham City ed ha alle spalle una burrascosa relazione con la detective Montoya). Un paio di giorni di graticola mediatica e, alla fine, Ruby Rose ha cancellato il suo profilo Twitter dopo averlo usato per ricordare al gentile pubblico di aver fatto coming out a dodici anni, di essersi sempre battuta per i diritti lgbt, di aver subìto discriminazioni e bullismo e omofobia e di conoscere perfettamente la frustrazione di chi fa parte di una minoranza relegata ai margini della rappresentazione, là dove tutto è macchietta e cliché.
Meno di un mese fa, Scarlett Johansson ha rinunciato a un ruolo da transessuale che le era stato affidato (e che aveva accettato con entusiasmo) perché le erano precipitati addosso insulti e colorite indignazioni che contestavano, ritenendola discriminatoria, la scelta di affidare la parte di un trans a una eterosessuale cisgender anziché a un transessuale. Lei si è scusata per l’indelicatezza, ha ribadito di amare la comunità lgbt e ha stracciato il contratto.
Ruby Rose, invece, per quanto intontita dal vedersi ritorcerlesi contro una battaglia che ha condotto in prima persona – i gay facciano i gay, gli asiatici facciano gli asiatici, i travestiti facciano i travestiti – ha solo fatto quello che stanno facendo sempre più personaggi pubblici: ha cestinato il suo account social. Ed è su questo che i giornali che hanno ripreso la notizia si stanno concentrando: l’insostenibilità di Twitter per i suoi utenti, specie se famosi.
La catastrofe culturale che sta dentro il ritenere inappropriato un attore a un personaggio con il quale non condivida in modo completo e uniforme genotipo, fenotipo e bagaglio culturale, invece, viene discussa molto meno. Il paradosso tragicomico del risolvere l’inclusione delle minoranze, di fatto, con l’esclusione delle maggioranze è una specie di razzismo buono dal quale, forse, ci si comincia a illudere che otterremo lo sgombero dei pregiudizi dal nostro sguardo. Uno sguardo sempre più incapace di definire l’essere umano al di là delle sue informazioni anagrafiche e dei suoi gusti sessuali. Non è Medioevo (magari lo fosse): è Neolitico.
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