Mi raccomando
Una concorsopoli senza deus ex machina né dominus, espressione di un tratto antropologico, il più radicato. Succede in Basilicata
Va detto con Marcel Mauss: in Basilicata la raccomandazione è “un fatto sociale totale”, ovverosia un tratto culturale che permea e istruisce tutte le sfere della vita della comunità. L’“aura di potere” che Marcello Pittella, governatore della regione Basilicata dal 2013, uomo del Pd al Pd fedele e forse altrettanto leale, avrebbe “coagulato” intorno a sé, e in ragione della quale il tribunale del Riesame – suoi i virgolettati – ha deciso di lasciarlo agli arresti domiciliari, temendo l’inquinamento probatorio, si capisce partendo da qui.
Una regione in cui la raccomandazione è “un fatto sociale totale”, un tratto culturale della vita della comunità
Si chiama “Il Suggello” l’indagine della Guardia di finanza che, lo scorso 6 luglio, ha portato il governatore ai domiciliari, con l’accusa di abuso d’ufficio e concorso in falso. Lui, il commissario straordinario dell’Azienda sanitaria provinciale di Matera, Pietro Quinto, il direttore amministrativo dell’Azienda ospedaliera regionale San Carlo di Potenza, Maddalena Berardi e altri dieci persone avrebbero “violato le norme di legge e regolamento dei concorsi pubblici in ambito sanitario, fornendo in anticipo le tracce dei temi della prova pratica ai candidati e procedendo in assenza di una reale valutazione di merito dei titoli e delle prove scritte, pratiche e orali”. Dalle intercettazioni, risulta che Pittella tentava di “accontentare tutti”, qualche altro si poneva il problema di dare credibilità alle prove orali, il cui esito era però già scritto, cercando di mettere in difficoltà i candidati almeno un po’ e qualche altro rispondeva che non era il caso, “di solito poi questi fanno scena muta”, meglio non rischiare. Sono spuntati, tra i raccomandanti, anche l’ex viceministro degli Interni, Filippo Bubbico, il vescovo di Matera, Antonio Caiazzo, l’ex sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo: nessuno di loro, però, risulta ancora indagato. Si saranno limitati a consigliare qualche cognome e chi di noi non l’ha mai fatto, quale italiano potrebbe dirsi senza peccato e scagliare la prima pietra. D’altro canto che peccato è, che male fa, fidarsi è bene ma cooptare è meglio.
Di questa carovana un po’ circense, indagata per il più comune dei crimini del folklore italiano, quello che in assoluto fa del nostro paese il romanzo popolare che è, il capitano sarebbe dunque Marcello Pittella, il quale figura, nell’ordinanza di custodia cautelare, come “il deus ex machina della distorsione istituzionale nella sanità lucana”.
Tuttavia, sebbene le foto di cronaca, che tagliano la realtà sui dati di superficie, lo lascino intravedere, non è così: “l’aura di potere” su cui ha contato e potrebbe ancora contare Pittella, non emana da lui.
Tecnicamente, non si tratta neppure di un’aura, bensì di una sorta di risorsa estrattiva – d’altronde, è nel sottosuolo che stanno alcune delle carte più importanti del destino della Basilicata: il petrolio, l’acqua, le necropoli. Sbaglia – meglio: semplifica – il Riesame quando scrive che Pittella avrebbe agito in “un quadro sociale degradato in modo incisivo dove sono emersi interessi distorti di ampi settori della vita pubblica, dalla politica alla chiesa, per i quali la raccomandazione sembra avere assunto il crisma della legalità”.
Prima complicazione: del degrado, in Basilicata, la raccomandazione ha rappresentato, stentoreamente, l’argine e l’antidoto, ibridandosi con le istituzioni, con Dio, con i santi, con l’alfabetizzazione, con la manutenzione degli affetti; facendosi ideologia, forma di comunicazione (Andreotti diceva, del resto, che “il potere è avere un dialogo con la gente, influire”); allargando la parentela fino a riunirla con la clientela; sistematizzandosi come modo affettivo, premura e fatto identitario (una dinamica assai simile a quella che, in altre parti del sud, ha consentito il diramarsi della mafia e del clientelismo, che della raccomandazione non è genitore e non è avo, come siamo abituati a pensare, ma è collega e, in qualche caso, capo). Fu studiando e osservando Chiaromonte, un piccolo paesino della Basilicata potentina, la stessa dalla quale arriva Pittella, che Edward C. Banfield, antropologo, elaborò il concetto di familismo amorale, che ha quindi natali lucani (erano gli anni Cinquanta).
L’intrusione statale, la riforma agraria, l’iniezione di fondi fecero sì che il potere non si detenesse più in sistemi verticali
Questo non alleggerisce alcuna delle responsabilità sulle quali si sta indagando, naturalmente, ma chiarisce che, nel fosco intrigo che sta venendo fuori, e che dovremmo cominciare a osservare anche da un punto di vista etnografico, non ci sono dominus: si muovono pedine, ciascuna dotata di diversi gradi di influenza. Lo suggerisce persino la innegabile succosità di alcuni dettagli: i nomi dei raccomandati evidenziati con un evidenziatore di colore diverso a seconda di chi li sponsorizzava (in verde i protetti di Pittella, in rosa quelli di Filippo Bubbico: uh come ci ha gongolato sopra il Fatto quotidiano); la domesticità dei toni delle intercettazioni; il governatore del Pd, il volto della “roccaforte rossa lucana”, difeso da Emilio Nicola Buccico, ex componente del Consiglio superiore della magistratura in quota An (era il 2002), ex sindaco di Matera in una delle rare amministrazioni non di sinistra della storia della città, senatore di An tra il 2006 e il 2008 e nemico coltissimo e caparbio e raffinato del Pd lucano che ha scortato Matera all’assegnazione di capitale europea della cultura 2019; l’avvocato Franco Coppi, il penalista che ha avuto tra i suoi clienti Andreotti, Berlusconi e Sabrina Misseri (quando venne condannata all’ergastolo, lo scorso anno, dichiarò di aver seriamente preso in considerazione di smettere di fare l’avvocato, tanto era certo dell’innocenza della sua assistita) che entra a far parte del collegio difensivo del governatore.
Fu studiando e osservando Chiaromonte, un piccolo paesino lucano, che Banfield elaborò il concetto di familismo amorale
La coralità dell’azione, tra tutti gli estremi di questa che sarebbe una commedia perfetta del riso amaro all’italiana, è una delle spie che consentono di riportare la vicenda a un saggio impressionante, per acume e per attualità, di quasi un ventennio fa. “La raccomandazione è un segno e le persone lo usano in modi differenti, spesso contrastanti, perché è un genere culturale condiviso, anzi un linguaggio condiviso (coloro i quali rifiutano la raccomandazione in qualcuna delle forme che assume, hanno tuttavia grande dimestichezza con la sua grammatica)”, scriveva Dorothy Zinn, antropologa statunitense sposata con un lucano, nel suo saggio “La raccomandazione”, edito da Donzelli nel 2001 e basato su studi del fenomeno che aveva condotto in un paesino della Basilicata materana, Bernalda, quello dal quale emigrò il nonno di Francis Ford Coppola (è un caso, naturalmente, che sia il regista de “Il Padrino”, cioè del film che ha raccontato al mondo la mafia, altra collega della raccomandazione, talvolta sua sottoposta: è un caso e fa sorridere per il modo in cui tout se tient). Poiché, secondo Zinn, il consolidamento della categoria del clientelismo nella letteratura scientifica aveva reso marginale quella “indigena” della raccomandazione, facendo sì che gli studiosi la ridimensionassero e riducessero a fenomeno-affluente, insomma la sottovalutassero consentendo così la sua fioritura indisturbata (se nessuno vede il problema, nessuno cerca la soluzione), l’obiettivo del suo studio era non solo dimostrare che la raccomandazione è un fenomeno distinto dal clientelismo, ma pure che non rientra nella categoria dei rapporti patrono-cliente (almeno non solo) e travalica l’aspetto politico della vita sociale e culturale, come, invece, la maggior parte delle pubblicazioni delle scienze sociali sull’Italia meridionale hanno sostenuto per decenni. La figura centrale della raccomandazione è il mediatore, colui che sta tra il patrono e il cliente, e quindi, al rapporto duale che fonda il clientelismo aggiunge un terzo elemento: questa aggiunta ne fa la ramificazione che essa è, il “fatto sociale totale” che inevitabilmente diventa, lo “stile storico condiviso” che imprime.
La mediazione, in tutto il meridione italiano, istruisce le preghiere ai santi e la magia tradizionale (il “Sud e magia” di Ernesto de Martino è il sud lucano, quello dove la divisione tra religione e magia è problematica, cioè impossibile), che guardano entrambe a fonti di potere che sono al di là dell’individuo, ovvero dove c’è un potere raggiunto attraverso la mediazione. Esattamente come nella Concorsopoli che i giornali pretendono di far firmare a Pittella e che, invece, porta la firma di un luogo per intero e della sua storia per intero.
Un’ideologia che propone una idea di soggettività intersoggettiva, interpersonale, e impone la necessità di trovare l’aggancio giusto
La ragione per cui Zinn scelse Bernalda come oggetto del suo studio, oltre a quella più ovvia e cioè che la Basilicata è la patria del familismo amorale, è che Bernalda è un esempio perfetto di “agro-città” del Mezzogiorno, cioè una città compatta costruita su una collina che si affaccia su terre coltivate circostanti. Un luogo che, fintanto che non si mischia con l’esterno, può vivere di una felice e assai facilitata autarchia e nel quale, quindi, l’ideologia del dono e la sua sottesa obbligazione (ti faccio un regalo così poi mi dovrai qualcosa anche tu) sono la prima forma di assicurazione di sé dell’individuo. Ha scritto Zinn che Bernalda reagì agli eventi che accompagnarono la nascita e il crollo della Repubblica partenopea del 1799 con una “sostanziale indifferenza”: pochi anni dopo il feudalesimo crollò, accelerando l’ascesa della borghesia agraria, che tuttavia mantenne la propria egemonia fino alla Seconda guerra mondiale, rappresentando così un secondo feudalesimo, che instaurò, nel solco delle vecchie relazioni patronali, niente di più che nuove relazioni patronali. Nel Dopoguerra, la Basilicata e altre zone rurali dell’Italia meridionale vennero trasformate in un sistema democratico di partiti politici di massa: l’intrusione statale, la riforma agraria, l’iniezione di fondi assistenziali fecero sì che il potere si detenesse non più in sistemi verticali in cui il patrono tradizionale collegava il livello locale e quello sovralocale, bensì in un sistema in cui questi livelli erano integrati tramite i partiti politici di massa che avevano legami con le associazioni sindacali. E fu così che il clientelismo e la raccomandazione andarono a contaminare anche il sistema democratico dei partiti di massa, che dal feudalesimo e sue propaggini (clientelismo e raccomandazione), il sud, avrebbero dovuto ripulirlo. Nel Dopoguerra, poi, crebbe enormemente l’apparato burocratico-amministrativo e questo aumentò i punti di contatto tra cittadini e stato: ha osservato Zinn che “in qualche punto di questo processo, la raccomandazione si è istituzionalizzata ed è diventata un modo per ottenere ciò che avrebbe dovuto essere un diritto”.
Quando il gip scrive, della concorsopoli lucana, che “la raccomandazione sembra avere assunto il crisma della legalità”, sottovaluta il Novecento lucano, quello in cui la raccomandazione è stata assurta a crisma di legalità e non per degrado, ma per fede nell’umano e nel sovrumano. Nella sezione dedicata ai ragazzi di Bernalda, Zinn annotava che i giovani bernaldesi erano impermeabili all’individualismo moderno, inteso non come egotismo, ma come capacità di sentirsi investiti di una responsabilità precisa: rendersi utili alla collettività e farlo a partire dalle proprie forze. La soggettività che si articola nella raccomandazione, invece, è assai diversa: in essa la voce individuale non richiama alcuna responsabilità e, soprattutto, è considerata inadeguata per rivolgersi a un altro: vale a dire che da soli, senza il concorso e la mediazione di qualcun altro, che sia parente o amico o conoscente o istituzione, non si può combinare nulla. “L’ideologia della raccomandazione propone una idea di soggettività che è intersoggettiva, interpersonale e impone la necessità di trovare l’aggancio giusto”.
Quando la zia emigrata a Roma torna al paese, insieme ai suoi amici cinematografari, e porta con sé uno dei suoi nipoti, strappandolo allo strazio della vita inconcludente e misera, tuttavia comodissima, che lì conduce, l’altro fratello va dalla madre e la rimprovera di non aver chiesto alla zia di portar via anche lui. Non gli passa neanche per la testa che avrebbe potuto chiedere da solo a sua zia di farlo partire con lei per Roma: vede soltanto che sua madre avrebbe dovuto intercedere per lui e, invece, non l’ha fatto. E’ una scena de “I Basilischi”, che è il primo film di Lina Wertmüller ed è anche il solo che, del nostro cinema, spiega la Basilicata perfettamente. Non il sud: la Basilicata, che è un sud introverso e aspro, montuoso e caldissimo, dove tutti, persino gli insospettabili, persino Rocco Scotellaro, il sindaco socialista di Tricarico, il poeta lucano più amato – che si auto-raccomandava ad Amelia Rosselli, di cui era innamorato, ricambiato forse sì o forse no, e della quale desiderava l’approvazione, il timbro sul suo talento – il linguaggio della raccomandazione lo hanno parlato, perché della raccomandazione, appunto, la storia di quel posto ha fatto un linguaggio, una connessione tra le persone. E chi lo sa se sarà mai estirpabile.
A luglio scorso, pochi giorni prima che lo scandalo sulla sanità lucana arrivasse sui giornali, il Sole 24 Ore ha scritto che a Potenza “soffia il vento delle nuove startup”, riportando dati Svimez secondo cui nel capoluogo e nella sua provincia si registra la più alta percentuale di start up nel Mezzogiorno e, tuttavia, i dati sullo spopolamento sono galoppanti, i più galoppanti di tutto il Sud: entro il 2030, secondo lo Svimez, la Basilicata dimezzerà i suoi 490 mila abitanti. Oltre alle infrastrutture che mancano e ai guai cronici dei terroni, a intossicare l’atmosfera al punto di mettere in fuga la generazione successiva a quella che Zinn descriveva come bloccata in un compiaciuto fatalismo autoassolutorio e destinata all’inattività, evidentemente, c’è un’aura di sottopotere antico, di cui Pittella s’è servito senz’altro, ma del quale è anche servitore, e che è rimasta un fatto sociale totale e rischia, sottovalutata com’è, naturalizzata com’è, di strangolare una regione intera, illusa che l’Europa, l’anno prossimo, terrà gli occhi puntati sulla sua capitale della cultura, la sua Matera, mentre invece l’Europa, l’anno prossimo, sarà impegnata a non sfaldarsi. E chissenefrega dei basilischi: si raccomandino al loro Dio.
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