Zanza, il monumento nazionale messo in crisi solo dall'arrivo del wifi in spiaggia
È morto il più grande playboy della riviera romagnola
Roma. È morto in servizio. Se n’è andato lo Zanza, cioè Maurizio Zanfanti, sessantatreenne decano dei playboy romagnoli. Probabilmente un coccolone, è il sottotesto, perché lo Zanza stava con una signorina, ventenne, in auto. Chissà se lei era consapevole di stare con un monumento nazionale, al pari del tempio malatestiano lì vicino. Anche la Bild gli aveva dedicato un grosso articolo, con occhiello: “Italienischer Papagallo machte amore mit 6.000 fräulein”. Seimila donne, aveva avuto lo Zanza, che meglio di una pro loco o film commission aveva illustrato le bellezze locali della Riviera. Aveva cominciato negli anni Settanta, facendo il buttadentro e il direttore artistico, locali come il Blow Up e lo Chic di Rimini.
Aveva cavalcato gli Ottanta col suo chiodo verde ramato, apertissimo sull’ampio petto, i capelli lunghi sbiondati tipo Joey Tempest degli Europe. Era stato celebrato anche da Michele Serra nella sua ricognizione balneare del 1985. Allora stava ancora a quota mille. “Oltre mille turiste”, diceva lo Zanza. “Statura media, fisico prestante”, scriveva Serra, “petto villoso ben in vista, sei o sette catenine d’oro tra cui una con scritto Zanza e altrettanti anelli”. La stagione record fu quella, il 1985, con 207 vittime, una media di quasi due al giorno. “In giugno e luglio arrivi tranquillamente a due”. Ad agosto anche quattro. “Una al pomeriggio e tre alla sera”. Il segreto era non quella cosa che si penserebbe bensì “la gentilezza. Devi avere sempre un pensiero per ognuna”. Scandinave, norvegesi e svedesi erano il focus di questo riminese poco sovranista. “Per le italiane c’è mio fratello”.
“Mai entrato in una palestra. Ma ho fatto moltissima palestra nei letti”, disse al Resto del Carlino quando annunciò di ritirarsi a vita privata, a 60 anni, nel 2015 (ma non lo fece mai, perché semel vitellone, semper vitellone. Il mito di questa vita randagia-acquatica è autoctono – il film riminese di Federico Fellini è del 1953). Mai sposato, il campione di questa razza. La mamma “non è contenta. Abito sopra di lei, troppo via vai”. “Non posso fermarmi”, disse lo Zanza. “Lo faccio anche per il buon nome del locale, vengono apposta”. L’apice furono appunto i medi Ottanta, quando la Riviera era diventata mainstream.
“La gente crede che sia un luogo di villeggiatura. E’ al contrario un luogo faticosissimo. Discoteche, feste, sagre: è la nostra industria principe. A qualunque ora potrà trovare qualcuno con cui divertirsi e togliersi tutte le voglie che ha, di qualsiasi genere: la chiamano l’industria del sesso”, scriveva Pier Vittorio Tondelli in Rimini, storia di un giornalista milanese che viene catapultato nella Romagna, romanzo del 1985. Al cinema, il micidiale “Rimini Rimini” (1987, Sergio Corbucci), saga di ombrelloni, corna, topless, guadagna quasi tre miliardi, generando un tragico sequel, “Rimini Rimini un anno dopo”. Lo Zanza è in piena attività, ha un’agenzia, “Club 33” per portare turiste al massimo trentatreenni in Riviera. E d’inverno batte il Nordeuropa per far la promozione. C’era la leggenda di un riminese che va in vacanza in Svezia e sul comodino di una signorina trova una foto dello Zanza.
Poi però succede qualcosa. Nell’88, ricordava sempre lui, ci fu un calo, “un’estate di magra. Solo 120 donne, contro le 150 dell’estate precedente. C’era la psicosi dell’Aids che raffreddava un po’ la passione. Poi è passata”, disse al Resto del Carlino. Anche un quotidiano svedese fece un’inchiesta. Il genius loci cambiò: la scena gay che era parte integrante della vita notturna si spostò dall’altra parte, in Versilia: perché in qualche modo la cultura bagnistica-machista adriatica non tollerava questo scarto alla regola, e così nacquero Torre del Lago e i suoi derivati.
Nel 2012 Luca Bottura intervistò un tale Isaac, playboy seguace dello Zanza, erano cambiati gli usi e costumi. “Se potessi scegliere il mio erede? Gay no, troppo moderno”, disse, con involontaria citazione vanziniana. “Forse nero” (chissà se si fosse previsto Salvini). Il seguace aveva affinato la tecnica (“se una beve una Ceres in spiaggia alle due del pomeriggio”, è fatta). Ma il mito della riviera romagnola era già appannato. “Troppe pugnette. I ragazzini si concentrano sul telefonino. Una volta arrivavano le tedesche con gli zoccoloni ai piedi e via che si trombava”. Ora c’è “il wellness, il wireless. Internet sotto l’ombrellone”. Pare che lo Zanza negli ultimi tempi ricevesse visite delle sue amiche di un tempo del Nordeuropa: e delle figlie incuriosite, con malinconia da “Sapore di mare”.
I guardiani del bene presunto