Pochi bimbi, tanti debiti, meno crescita
Dalla Bce a uno studio americano: “La denatalità annuncia recessione”. Il rischio di finire come il Giappone
Roma. “La fertilità è un indicatore economico principale?”, si sono chiesti tre studiosi in un rapporto per l’americano National Bureau of econonomic research . “Il declino nelle nascite è il precursore di una recessione imminente”. Così è stato nel luglio 1990, marzo 2001 e dicembre 2007. Quello di Dan Hungerman, Kasey Buckles e Steven Lugauer è il primo studio a mostrare che la denatalità precede altri segni di una recessione prima che diventino visibili. “Siamo rimasti sorpresi che nessuno l’avesse notato prima”, ha dichiarato Hungerman. La denatalità ha preceduto il crollo di Bear Stearns e Lehman Brothers.
Adesso a indicare un simile rischio è il capo economista della Banca centrale europea, Peter Praet. Ieri, da Madrid, Praet ha detto che la recessione nell’Eurozona sarà influenzata dalle dinamiche demografiche della sua popolazione. Nel 2015 fu il vicepresidente della Bce, il portoghese Vítor Constâncio, ad affermare che “l’Europa sta commettendo un suicidio demografico collettivo”. Un anno dopo, Mario Draghi, dalle montagne di Jackson Hole, al meeting annuale dei banchieri centrali, disse che il crollo delle nascite e l’invecchiamento – assieme all’aumento del debito pubblico – minacciavano l’Europa, generando un effetto a catena maligno di denatalità, indebitamento e bassa crescita. “Entro il 2025 ci saranno 35 persone su cento con 65 anni nei paesi dell’Ocse, contro le 14 nel 1950”, disse Draghi. “Allo stesso tempo, i tassi di debito pubblico sono aumentati in questi paesi dal 56 per cento rispetto al pil nel 2007 a circa l’87 per cento di oggi”. Meno lavoratori, più pensionati, più spesa pubblica e più crisi del debito. È il Giappone.
“Siamo pronti alla giapponesizzazione dell’economia’”, ha scritto Jean-Pierre Robin sul Figaro. “Nel 1980, tutti davano per scontato che i giapponesi fossero sul punto di dominare il mondo”, ha spiegato l’americano Jonathan Last. “Ma la robusta facciata economica del paese nascondeva una struttura demografica fatiscente”. Nuovi numeri usciti questa settimana rivelano che un giapponese su tre ha oggi più di 65 anni. L’Italia segue a ruota con il 23 per cento di ultra 65enni. Di questo passo nel 2040 i vecchi saranno due terzi della popolazione giapponese.
Andrew Milligan, capo della Standard Life Investments di Edimburgo, indica otto caratteristiche che ritiene contribuiscano al declino inesorabile del Giappone: “Un mercato azionario debole, banche zombi, deflazione, zero tassi di interesse, stallo politico, denatalità ed elevato rapporto debito-pil”. Caratteristiche tutte proprie dell’Italia. Dalla sua, il Giappone ha invece alti livelli di investimenti in ricerca e sviluppo, alti standard educativi e una bassa fuga dei talenti. Tre caratteristiche assenti in Italia. Il Giappone quest’anno avrà la crescita più lenta delle economie del G7, trend che dura da vent’anni. “La demografia del Giappone indebolisce la sua crescita del pil”, ha dichiarato Rob Carnell, capo economista per l’Asia presso la Ing. Il Fondo monetario internazionale calcola “l’impatto dell’invecchiamento potrebbe abbassare di un punto percentuale all’anno il pil del Giappone nei prossimi trent’anni”.
Entro il 2065, l’Onu si aspetta che la popolazione giapponese cadrà di 28 milioni di persone, corrispondenti a un calo del 22 per cento. Il numero di aziende in Giappone è diminuito del 31 per cento dal 2006 al 2013. E il Giappone spenderà quasi un quarto del prodotto interno lordo per il welfare nel 2040, secondo le prime proiezioni del governo. Sarà una crescita del 60 per cento della spesa pubblica rispetto a oggi. E l’Italia?
Due settimane fa a Treviso c’è stato Statistcall, il Festival della Statistica. Il dato emerso va oltre le peggiori aspettative. A condizioni invariate rispetto a oggi, l’Italia potrebbe veder crollare la propria popolazione, arrivando a poco più di 16 milioni di abitanti rispetto ai 59 milioni attuali. “Perché ciò si verifichi tra cento anni, anche se già tra venti anni saremo comunque otto milioni in meno – ha detto il professor Matteo Rizzolli della Lumsa di Roma – è sufficiente comportarsi come adesso, non fare nulla per favorire la natalità”. L’anziano giapponese è stato il primo a vivere il futuro.